Buongiorno a tutte e tutti!
Certe settimane scrivere è più difficile di altre: scrivere di corsa o sport suona addirittura come qualcosa di quasi totalmente superfluo, e fuori luogo.
Intanto, grazie ai nuovi iscritti che si stanno unendo in queste ultime settimane, ACPQC? sta crescendo alla svelta, cosa di cui sono estremamente grato. Per chi è appena arrivato, o per chi deve ancora arrivare, A Cosa Penso Quando Corro? è uno spazio in cui si parla di running, come sport da guardare, come sport da praticare; come fatto sociale, economico, culturale e introspettivo.
Ogni domenica mattina alle 10.00 esce una puntata.
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Il treno per tornare a casa, da Milano, questa volta l’ho preso nel tardo pomeriggio: parti che è giorno, arrivi che è notte.
Le sere della seconda metà di settembre cominciano presto e finiscono prestissimo: alle otto è già buio (ma buio buio) e provando a sbirciare fuori dal finestrino, nel tratto tra Bologna e Forlì, quello che percepisco sui terreni agricoli sono enormi pozzanghere illuminate da una luna gialla, e gigantesca - per questa volta vi risparmio la mia foto di merda alla luna perché non rende, quindi provate a immaginarvelo e basta. Il colore dell’oro lunare dà alle increspature della melma la consistenza di un metallo liquefatto.
L’altra volta - nel maggio del 2023 - a Faenza ci hanno fatto scendere e abbiamo preso la navetta fino a Forlì: allora sì che ho visto tutto per bene. La cosa che più mi aveva sorpreso nel guardare fuori dal bus è che, nonostante l’acqua avesse invaso i campi che vedevo dall’autostrada, dando a tutti gli appezzamenti la stessa identica, nauseabonda tonalità di marrone, nel guardare quelle terre era comunque impossibile non percepire la pace dell’ordito geometrico che le governava. Un campo dopo l’altro, e poi un altro, e poi un altro: il grigio-marrone del pantano era delimitato da nient’altro che dai ciuffi di erbacce dei fossi. I fossi! Viviamo in un paesaggio che ci nutre e ci governa tramite gli ordini che questi strambi buchi nel terreno, capolavori di ingegneria idraulica ricolmi di sterpi, alghe, bisce e anfibi impartiscono ai nostri campi.
Tutto questo fatto della natura senza senso che distrugge quello che ci adoperiamo a costruire con minuzia matematica e geometrica mi ha fatto venire in mente un saggio-racconto di David Foster Wallace che leggevo proprio in questi giorni, Tennis, trigonometria e tornado. Lui giocava a tennis nell’Illinois: di città costruite a scacchiera, terreni agricoli geometrici, pula di grano e moscerini. I campi da tennis erano una miniatura del Mondo vero, fatto di angoli, seni e coseni; e tutto diventa un calcolo, dalle traiettorie disegnate dalle foglie che si alzano, alla geometria dei colpi. «L’analisi matematica era, quasi alla lettera, un gioco da ragazzi». E poi il vento, un vento che «ha più nomi di quanti gli inuit ne abbiano dati alla neve», che nel microcosmo del campo da tennis era una specie di alleato misterioso: e allora buttala sgangheratamente al centro quella pallaccia insulsa, e lascia che quei fabbri schizzati che cercano gli angoli a ogni punto si facciano beffare da qualche folata che spegnerà la palla da qualche parte come una preghiera inesaudita. Out. «L’Illinois centro orientale è fiero di essere parte di quella che i meteorologi chiamano fascia dei Tornado». C’è tutto questo racconto della violenza insensata dei tornado:
I tornado erano onnipotenti e non obbedivano a nessuna legge. La forza senza legge non ha forma, ha solo un istinto e una durata.
Correre in Romagna
Ripenso più o meno a queste parole mentre sono fuori a correre in una delle prime giornate di sole pieno dopo una settimana di nuvoloni grigi.
Mi arrivano da amici che vivono ai limiti delle zone interessate dall’alluvione foto, video, vocali; stanno tutti bene, nessuno di loro è stato colpito. Chi è vicino porta aiuto, come può: come chi è lontano, sempre come può. Si diramano informazioni della Protezione Civile: sgombrare la strada, evitare di passare con le auto.
L’alluvione non ha obbedito a nessuna legge, nemmeno a quella che avrebbe richiesto un minimo di tregua per chi aveva ripopolato dopo più di un anno la propria casa, reimbiancata di fresco con i colori di un pallido ritorno alla vita di sempre. E invece mille persone sono di nuovo fuori di casa, sfollate: uno di quei verbi lontani che mai fino all’anno scorso avremmo pensato di appioppare a gente così vicina a noi, quelli che incrociamo alla Festa dell’Uva a SPIV o ai Set Dulur di Russi.
No. Nessuna tregua dalle acque. Le acque ci hanno rimesso al nostro posto nel rapporto di forza con la Natura. Le acque non ascoltano le preghiere, né i moniti di chi avverte da tempo: cambiamento climatico. Scrive Il Colore Verde:
Quello che è successo «non è ideologia, è termodinamica», per dirla come Serena Giacomin — climatologa a capo dell’Italian Climate Network. L’alluvione in Emilia-Romagna è solo uno degli effetti più recenti della tempesta denominata Boris, che nell’ultima settimana ha causato grandi danni in vaste aree dell’Europa centrale dove si stima siano morte circa 20 persone. La causa principale è l’aumento delle temperature medie dell’aria e del Mar Mediterraneo. Boris arriva infatti dopo un’estate bollente. Maggiore calore significa acqua che evapora più velocemente e quindi nuvole che, come spugne, si gonfiano più rapidamente e si sfogano con più intensità.
(Dall’ultima puntata del Colore Verde)
Se, infine, ci sono voci che le acque non ascoltano proprio per niente sono quelle di chi battibecca di denaro e di soldi: «è colpa mia», «no è colpa tua». Ma questo è un altro discorso, e non mi va di farlo qui.
L’argine che percorro in alcune delle mie uscite non è stato intaccato: la zona dove vivo fortunatamente è sicura, e lo è stata per tutti questi giorni - non è stato così l’anno scorso, i segni ancora si vedono. In fondo, correre in campagna, qui in Romagna, è correre con le acque. L’inesauribile lavorio di razionalizzazione del reticolo idrografico, messo a sistema in favore dell’agricoltura, ha creato la nostra campagna. In qualsiasi percorso si interseca un fiume, un fosso, un canale; o lo si costeggia fino a qualche incrocio più pericoloso o più liminare degli altri, così che ci si ritrova costretti a voltarsi indietro e a tornare da dove si è venuti, o a cambiare bruscamente direzione, con un angolo di 90 gradi. Alla fine della corsa, riguardando il percorso sulla linea gialla tracciata dal GPS, si indovina la regolarità degli appezzamenti del terreno, costeggiati dalle strade: costeggiate dai fossi adacquatori. Gli uomini che camminano: le acque che li accompagnano - o forse è più vero il contrario.
Ci ho corso nella sospensione di qualche alba d’estate, prima che la luce, salendo dal mare, rubi all’ombra qualsiasi cosa, lasciando tutta la terra scoperta. Ci ho corso nella calma del tramonto, quando il sole scende e vanno in scena le ritualità che propiziano una notte serena (le lunghe passeggiate dei cani, la rimessa dei trattori). Fughe mentali, passo dopo passo, nella calma della campagna gelata, o infuocata, o nebbiosa.
Questa è la mia terra, qui è dove sono cresciuto, qui è dove corro: quello che sono e quello che diventerò. Se penso che tutto questo potrebbe finire, e che glielo stiamo lasciando fare con le nostre mani, mi si stringe il cuore.
La foto di copertina di questo episodio, la foto usata per la grafica e la foto usata nell’intermezzo sono del bravissimo fotografo e reporter Michele Lapini. Trovate qui il suo profilo Instagram, che raccoglie una selezione dei suoi lavori.
Le puntate precedenti sul tema
Avevo già scritto dell’alluvione del maggio 2023. Era il periodo precedente la transizione di ACPQC? a una newsletter di sola corsa.
Le leggete qui:
E poi, a un anno dalla prima alluvione quest’anno:
Altri pezzi a cui tengo
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