Mentre provo a impostare un pezzo per commentare l’alluvione nella mia Romagna, mi accorgo che vorrei padroneggiare un elemento particolare della scrittura.
La leggerezza.
Sì, la stessa leggerezza a cui Calvino dedica l’intera prima lezione americana. Leggerezza come capacità della scrittura efficace (uno dei tanti significati di letteratura?) di saper fotografare la pesantezza delle cose da una prospettiva inedita.
Parlare frontalmente di certe cose è difficile e grave. Probabilmente poco proficuo. Il concetto passa di rado o lascia un segno che ha lo stigma dello stereotipo. Guardare le stesse cose di scorcio, però, può aiutare a sbarazzarsi dell’elemento più istituzionale per cogliere il cuore delle questioni.
Calvino porta come esempio di messa in pratica di questo tratto di poetica un suo romanzo, il Sentiero dei nidi di ragno. Come raccontare con la Resistenza partigiana attraverso gli occhi di un bambino. Come un gioco: e il gioco, per i bambini, è un fatto della massima serietà possibile.
Vorrei possedere la stessa capacità di raccontare quello che è successo senza arzigogoli retorici, sciatterie, appesantimenti. Con il giusto numero di frasi; e con frasi della giusta lunghezza.
Vorrei trovare una prospettiva attraverso cui raccontare in maniera leggera quello che è successo alla mia Terra: in maniera leggera, ma con la massima serietà, andando al cuore di una questione che ad oggi è più grande di me.
Ecco, forse questo è il nodo da cui partire. La questione è più grande di me, ma forse non è più grande di noi.
Noi romagnoli ed emiliani. Penso, ad esempio, alla serenità con cui tanti miei coetanei - a Roma qualche indefesso scaldasedie ci ha definito bamboccioni senza voglia di fare nulla - hanno accettato la necessità e senza farsi pregare sono scesi a spalare fango, chi cantando Romagna Mia, chi sorridendo per una foto in compagnia di sconosciuti, volontari, vicini di casa. Tutto accompagnato con un “bè a qualcuno è andata peggio, e poi dai se siam qua è già qualcosa”.
Un po’ come se fosse un gioco: ci hanno dato questo livello da superare e noi ci mettiamo a lavorare.
E, piano piano, secondo le regole del gioco, il fango viene via e le strade si liberano.
Ho visto negli scatti di questi giorni la voglia delle persone di partecipare alla vita delle proprie comunità, nella buona e nella cattiva sorte. Una grande autocoscienza, un senso di presenza nell’attimo che si sta vivendo.
Ho visto intenzionalità nei gesti. Chi aveva il badile in mano, chi aveva il trattore per portare via gli animali dalle stalle, chi ha documentato con foto e video, chi ha fatto passaparola di informazioni utili, chi ha aiutato come ha potuto, anche solo con una parola, o con pochi euro.
Nessuno fuori posto, forse solo qualche ministro occupato da una gerarchia di priorità del tutto personale, ma tant’è.
Ho già sforato nel campo della pesantezza. E sto descrivendo un mondo idilliaco che chiaramente non è. Perché avremmo tutti preferito essere preoccupati da cosa fare sabato, o se andare in spiaggia domenica, più che vivere quello che sta succedendo: ed è superfluo, un po’ ridicolo e sicuramente ridondante ricordarlo.
Mi consolo all’idea che questa inadeguatezza delle parole sia fisiologica. Le immagini dovranno decantare un po’ nella nostra memoria collettiva, prima di poter tracciare contorni netti dai quali distaccarsi e a partire dai quali trovare sguardi inediti - sempre che sia necessario.
Ministri twitteranno, fiumi caleranno, colpevoli saranno additati. Noi andiamo avanti come abbiamo sempre fatto.
Questa foto non è stata realizzata da Dall-E come il resto delle copertine, ma è una foto della serie che Francesco Pio Marasco sta scattando per documentare l’accaduto nella zona di San Pietro in Vincoli (RA).