🏃🏻♂️🌳 Il dibattito delle scorse settimane sull’inquinamento dell’aria in Pianura Padana, dove vivo e pratico sport, mi ha destabilizzato. Veramente siamo arrivati al punto in cui gli esperti hanno non dico sconsigliato, ma invitato alla cautela nel praticare attività sportive e non all’aperto?
Durante gli stessi giorni ho letto questa puntata de Il colore verde dell’ottimo Nicolas Lozito.
Le domande hanno cominciato a girarmi in testa: lo sport che pratico è sostenibile? La community di cui faccio parte da ormai tre anni quanto è attenta all’urgenza delle tematiche ambientali?
In questa puntata di A cosa penso quando corro? cerchiamo di capire qualcosa di più su questo tema.
La corsa è un business in esplosione - i soldi girano dove ci sono persone pronte a spenderli (per abbigliamento e scarpe sportive)
I consumi legati alla corsa sono un problema
Cosa possiamo fare, in quanto runner, per limitare il nostro impatto?
La corsa è un business in esplosione
La corsa è uno sport che ha aumentato il proprio appeal nell’arco degli anni post-pandemia, quando un grande numero di nuovə runner hanno cominciato a popolare strade, parchi e sentieri. Il trend sembra ben lontano dall’aver raggiunto un plateau.
Secondo un report di RunRepeat nel 2021 il running era il biggest fitness trend. Per dare alcune statistiche degli anni post-pandemici:
L’increase nel numero di runner post-pandemia è stato del 65%;
Il 28% di nuovi runner ha cominciato a praticare la corsa proprio durante la pandemia.
Parlando di gare, la distanza che ha raccolto il maggior numero di nuovi adepti è stata la Maratona. Due dati del periodo pandemico sostengono questo dato: le distanze percorse in allenamento sono cresciute del 37% e il passo durante la corsa è rallentato dell’8%. Più kilometri ad un passo più lento = ricetta perfetta per la tua prima maratona.
Il fitness tracker Strava ha affermato che la quota di corridori che corrono nelle maratone è quasi raddoppiata sulla sua piattaforma lo scorso anno, con una crescita maggiore prevista per il 2023. (dalla newsletter
di Giovanni Armanini, 11 novembre 2023).
A proposito, seguimi su Strava a questo link!
Dopo un calo nel numero delle partecipazioni nel triennio 2020-23, le maratone stanno tornando ad essere il business redditizio che erano pre-Covid. Attorno ad esse si muovono giri d’affari miliardari. I grandi brand lo hanno capito, e fanno gravitare ingenti somme di denaro verso queste gare, attraverso accordi commerciali e sponsorizzazioni di vario genere.
I soldi - e quindi gli investimenti - come sempre inseguono nicchie di appassionatə pronti a spendere (e tanto).
Il consumismo legato alla corsa è un problema
L’esplosione del fenomeno running e la grande frontiera della maratona hanno portato a un enorme incremento dei consumi attorno alla sfera della corsa.
Prendiamo le scarpe. Diamo un’occhiata ai due grafici:
Mentre per i ricavi del settore delle calzature sportive nei soli Stati Uniti sono previsti numeri in costante crescita tra oggi e il 2028, l’andamento degli affari di Nike e Puma mostra chiaramente la sterzata decisa della curva dopo il 2020, anno cruciale della pandemia. Tra i brand, parrebbe averla spuntata quello che durante i lockdown (e non solo…) ha giocato una delle sue partite comunicative migliori (vi ricorderete questa adv).
Riportando i numeri a livello globale, la storia non cambia: l’industria si aspetta un +4.56% annuo di revenue tra il 2021 e il 2026.
Per correre bastano le gambe?
Viviamo nell’ovattata concezione secondo cui la corsa è uno sport accessibile da tutti i punti di vista. Per praticarla bastano di fatto due cose: le nostre gambe; che la forza di gravità spinga verso il basso ogni nostro passo, così che possiamo rimbalzare da un piede all’altro. Si esce di casa, si comincia a correre. Stop, as easy as that.
Sport economico e facilmente accessibile.
Ma è proprio così?
Visto che siamo nel 2024 e la tecnologia ha fatto passi in avanti per dotarci di attrezzatura da running che più che a farci sembrare professionisti serve a preservare il nostro corpo nel praticare questa attività, vediamo brevemente una lista di essentials. NB. Si tratta solo e soltanto del minimo indispensabile per cominciare a correre in una giornata di sole, né calda, né fredda, né ventosa - una condizione ideale insomma.
Scarpe, da cambiare a cadenza regolare, al consumo delle suole - anche per evitare problemi a schiena, ginocchia e caviglie.
Le calze: anche queste vanno cambiate perché si bucano e si scuciono - alcune, addirittura, perdono reattività.
Abbigliamento di base: magliette tecniche traspiranti, leggins, o pantaloncini.
Per le donne ci vuole l’intimo adatto - i reggiseni/top sportivi non sono super a buon mercato.
Raddoppiamo il tutto (a eccezione delle scarpe): ci vogliono almeno due cambi, perché se cominci a correre, esci almeno due volte alla settimana.
Per chi fosse curiosə sui costi medi del running, qui c’è un sondaggio statunitense del 2020 con una stima annua delle spese, divise tra runner uomini e runner donne (spoiler, il costo finale della spesa per le donne è maggiore di quello degli uomini).
Dove sta il problema?
Il problema non sta nella lista in sé: ogni passatempo, sport, hobby - chiamatelo come volete - ha le proprie spese, e ogni appassionato presto o tardi si fa i propri conti in tasca e viene a patti con la sua voglia di perseguire al meglio la propria passione.
Il problema sorge quando si forma una nuova bolla all’interno della quale tante persone in massa cominciano ad acquistare, consumare una serie di prodotti spesso scarsamente sostenibili a livello di consumo di materie prime e lavorazioni e fabbricati a basso prezzo sulla pelle di lavoratori provenienti da aree economicamente svantaggiate).
Moltiplichiamo gli essentials della lista di prima ai circa 630 milioni di runner a livello globale.
Aggiungiamo che i prodotti legati alla corsa hanno spesso cicli di vita molto brevi, e che i brand nel perseguire i loro interessi economici ci mettono del loro: spesso, ci invitano sottilmente ad anticipare i fine vita della nostra attrezzatura in nome di nuovi modelli di scarpe, di abbigliamento, di orologi sportivi. Si amplifica una spirale di consumo che contribuisce a esacerbare una serie di problemi più o meno noti sull’inquinamento e le emissioni di gas serra a livello globale (il settore tessile ne è responsabile per il 5%).
L’industria delle scarpe sportive è una grande parte del problema dell’inquinamento - se fosse una nazione, sarebbe la 17esima più inquinante al mondo. Emetterebbe, cioè, la stessa CO2 del Regno Unito. (Da un articolo di Runner’s World, citato in fondo)
La verità è che i brand ci convincono che ogni gara, ogni nuovo obiettivo, ogni cambio di stagione, ogni festa è una scusa buona per comprare.
Mentre i grandi eventi podistici acquistano consapevolezza sul loro impatto, e adottano contromisure per limitare i danni, noi runner come ci comportiamo con i nostri acquisti?
Cosa ce ne facciamo di tutta questa roba?
Qui sorgono un paio di riflessioni.
Ci serve veramente tutto quello che acquistiamo per correre?
O forse spesso e volentieri cadiamo nelle trappole di marketing di brand ci che convincono dell’assoluta necessità di accumulare scarpe, orologi, outfit, accessori?
A queste prime domande ne segue un’altra, forse ancora più urgente.
Come possono le istanze della salvaguardia ambientale sposarsi con un business soggetto ad una esplosione tanto macroscopica? Come possono le campagne contro il fast fashion, l’abbigliamento non sostenibile, sull’invito a rivedere i nostri comportamenti di consumo coniugarsi alle esigenze di una nicchia sportiva tanto in crescita e tanto orientata al consumo - anche veloce - di materiali e di abbigliamento?
Sento già alcuni che diranno: eh ma allora smettiamo di campare e facciamo prima, vuoi toglierci anche la corsa?
Uno sguardo alternativo
Credo che il Pianeta abbia problemi più urgenti da affrontare che preoccuparsi dell’ennesimo branco di invasati che inquinano per il solo gusto di svegliarsi alle 5 del mattino per correre 40 kilometri.
Certo, è una visione tragica della categoria di runner, con cui mi sarebbe difficile fare i conti.
Ma forse c’è una via di mezzo, in attesa che i brand rispondano alle istanze di un target (o almento di una parte) attento a quello che vuole (il bene della nostra unica Casa):
E se, consapevoli della nostra fallibilità, proprio noi runner fossimo portavoce di una maggiore attenzione al grido di disperazione del Pianeta? In un mondo dove essere perfetti è impossibile, potremmo provare almeno a impegnarci per muovere passi nella giusta direzione.
Dovremmo essere i primi promotori di uno stile di vita più rispettoso della natura e dei luoghi in cui corriamo. Ci muoviamo sul mezzo più sostenibile in circolazione, le nostre gambe. Viviamo nella nostra quotidianità il contatto con l’aria aperta, amiamo correre tra gli alberi, nei parchi; tante e tanti tra noi corrono in natura, tra le montagne, in spiaggia.
Se non noi, chi?
Cosa fare nel nostro piccolo?
Ci sono una serie di azioni che ci possono aiutare ad aiutare il pianeta senza rinunciare ai comfort che migliorano la nostra esperienza di sportivi.
Innanzitutto, vi sottopongo la stessa domanda che mi guida quando sono tentato di acquistare nuova attrezzatura:
I capi di abbigliamento che ho nell’armadio e uso per correre sono sufficienti? Mi serve davvero acquistare l’ennesimo paio di scarpe? L’ennesimo completo sportivo?
Cambiare scarpe è utile per evitare di farci male. Possiamo fare la nostra parte per allungare la vita delle nostre calzature: trattandole bene - ad esempio slacciandole dopo ogni corsa, pulendole, asciugandole quando sono zuppe di sudore, utilizzando la carta di giornale per non sformarle - possiamo portarle diversi kilometri oltre la soglia di non ritorno.
Se dopo qualche corsa le scarpe appena acquistate non dovessero calzare bene, o dovessero dare noie, non è detto che diano gli stessi problemi ad altre persone: il second hand è un ottimo modo per dare un’altra chance a questi prodotti, senza farli finire in discarica.
Per non parlare del fine vita delle calzature. Le scarpe da corsa finite sono ottime per andare a fare la spesa. Opportunamente ripulite sono una soluzione valida per andare in palestra; oppure, ci sono brand che raccolgono le scarpe utilizzate per mettere in moto iniziative molto interessanti. C’è un progetto che si preoccupa di recuperare le scarpe non più utilizzate in modo tale da sfruttare la gomma delle suole e altre parti per creare il tartan per piste d’atletica: un’alternativa per creare spazi di sport e aggregazione evitando lo spreco di materie prime.
Siamo super per le imprese che facciamo in strada, in gara, o sui sentieri in montagna. Cerchiamo di esserlo anche per come trattiamo la natura che ci ospita e tanto ci offre. Ad esempio buttando le confezioni dei gel e delle barrette nel bidone - ne vedo tante nei fossi, o ai lati delle strade.
Insomma, le azioni che possiamo compiere per dare una mano al pianeta sono tante: come sempre, per quanto i nostri piccoli gesti possano sembrare insignificanti, tante gocce formano ln mare.
Cerchiamo di essere all’altezza dei valori intrinsechi alla nostra community.
Mi piacerebbe sapere la vostra opinione da runner sul tema: ci sono azioni che fate per cercare di impattare meno sull’ambiente? Ci sono accortezze che prendete nella scelta dell’abbigliamento da corsa/per lo sport? Confrontiamoci nei commenti e teniamoci in contatto!
Sul tema ci sono molti contenuti interessanti
La puntata de
che ho citato in apertura (la leggi qui), e un interessante articolo sul fast-fashion citato all’interno della stessa (lo leggi qui).La puntata di
citata nel capitolo sulla maratona (la leggi qui).Il progetto Green Runners - a sostegno di una maggiore consapevolezza sul nostro impatto da sportivi sull’ambiente.
Un articolo di Runner’s World sulla sostenibilità delle scarpe da corsa (lo leggi qui).
Un articolo di inizio 2023 su alcuni pain point sull’organizzazione delle gare di corsa in presenza (lo leggi qui).
🏃🏻♂️ Ti è piaciuta A cosa penso quando corro? Come puoi sostenere il progetto
Se non lo hai ancora fatto, iscriviti alla Newsletter: ogni iscrizione è importante, mi motiva a credere in questo progetto.
Condividi A cosa penso quando corro? con amici, parenti, contatti, su Instagram, Twitter, Facebook, in un balletto su TikTok. Vedi tu!
Il mio profilo Instagram: @ban.zo_
Se questa puntata ti è piaciuta e ti va di sostenere questo progetto, sostieni A cosa penso quando corro? letteralmente al prezzo di un caffè al bar.
Dall’osservatorio di Runlovers riporto qualcosa di personale e qualcosa di più generale.
1. Ricevendo tantissimo materiale per provarlo, il mio unico contributo è quello di non comprarne. Beh, non solo: regalo quello che non uso (parliamo di decine di scarpe e capi di abbigliamento usati poche volte) e lavo ogni volta solo il primo strato. Pantalonicini, calze e antivento li uso più volte
2. Questa è la nota più dolente: su Runlovers cerchiamo da ormai 3 anni di sensibilizzare con articoli singoli ma anche con cicli interi (io ne ho curati diversi) sulla vita più rispettosa dell’ambiente, sull’alimentazione, sui consigli pratici. Posso essere brutale? Non gliene frega niente a nessuno o comunque a pochissimi. Articoli del genere sono scansati come se fossero uccelli del malaugurio o al più come contenessero cose che “È così, cosa ci vuoi fare”. Sono sempre ottimista ma su questo argomento non lo sono molto, ahimè.
Per il resto continuiamo a scriverne, se non altro resterà agli atti che abbiamo fatto la nostra parte.
Grazie, è sempre molto interessante quello che scrivi.
Mi inquieta sempre vedere alle gare quei cumuli di vestiti abbandonati alla partenza, mantelline di plastica e montagne di bottigliette e bicchieri ovunque. Mi domando anche io cosa si possa fare, a livello di attenzione organizzativa ma pure individuale. Nel mio cerco di fare quanto posso, che corrisponde essenzialmente al fare meno o non fare affatto: vivo di rendita con l'abbigliamento/attrezzature che ho già, mica corro per sfilare; cambio solo le scarpe quando devo, per preservare le ginocchia, e le vecchie scarpe da corsa passano tutte a uso civile finché possibile, oppure le dono se sono ancora in buono stato per camminare; la spazzatura che produco (gel&co.) me la riporto a casa in tasca per il riciclo; corro vicino a casa, per evitare di spostarmi in auto pure per andare a correre. Non so se sia abbastanza, forse non lo è mai. Ma interrogarsi è già un passo.