I video motivazionali servono a qualcosa?
🏃🏻♂️🏃🏻♂️ È solo rumore di fondo comunicativo fine a sé stesso? È solo marketing?
Inizio questa puntata con un grande annuncio: ho creato il mio podcast - ricordo di aver letto da qualche parte che se a 27 anni non hai un podcast vuol dire che nella tua vita c’è qualcosa di sbagliato.
È nato Storie di Corsa. Provo a raccontarvi le storie delle gare, degli atleti e delle atlete, delle vicende e degli aneddoti più interessanti del mondo del running.
La puntata pilota è largamente basata sull’ultima uscita della newsletter: l’incredibile storia della Barkley Marathons e di Lazarus Lake. Credo che, per quanto sia stato bello (anzi, bellissimo) scrivere della Barkley, ci siano elementi della gara che sia giusto riportare a una dimensione orale: che è una dimensione dignitosissima, da coltivare al pari della tradizione scritta.
La trovate qui.
Fatemi sapere la vostra opinione con una risposta a questa mail o un commento alla puntata.
In questa puntata
Perseguitato da David Goggins
Questione di Marketing
Il video motivazionale più bello che abbia mai visto
Anatomia del video motivazionale
Perseguitato da David Goggins
Gli algoritmi di YouTube ce la stanno mettendo tutta per farmi maledire il periodo della mia vita da insicuro in cui sono caduto in quel trappolone chiamato crescita personale: un polpettone radioattivo di cultura del lavoro 24/7-365, produttività, routine mattutine, habit tracker, carisma, win friend and influence people.
Che poi, quando presi a piccole dosi - e contestualizzati coscienziosamente nella propria vita - i dettami che trapelano da questa cultura non sarebbero neanche così sbagliati. È sempre il troppo di vigore che ammazza tutto, e i membri di questa nicchia (tipicamente maschile) sono particolarmente inclini a lasciarsi prendere la mano.
Se questa sottocultura un po’ tossica, con accenni fuffagureschi, che ha reinventato in chiave totalmente markettara la filosofia stoica - trasformando Marco Aurelio in una specie di Tony Robbins - avesse un volto, potrebbe essere quello di David Goggins.
David Goggins è un personaggio che non può non suscitare una sorta di attrazione: per capirci, ha lo stesso magnetismo di individui come Robert California di The Office. Dopo 10 minuti - passati in una sorta di timore reverenziale al cospetto di questo freak atletico che urla al mondo la propria motivazione dettata dalla mediocrità altrui - può anche bastare.
La Gazzetta dello Sport sembra non poter fare a meno di riportare un virgolettato in cui Goggins viene definito l’uomo più cazzuto del mondo. E in effetti uno che ha perso oltre 50 chili solo per rientrare nelle forze speciali, ha superato per tre volte la hell week dei Navy Seals, ha un record per il numero di trazioni alla sbarra in 17 ore (più di 4000), corre ogni giorno almeno venti chilometri, poi si allena per tre volte, spende un’ora facendo stretching, qualche cosa sulla motivazione deve saperla.
E sia chiaro, tanto di cappello per David: le imprese che ha portato a casa in carriera non sono scherzetti o passeggiate di salute. È la retorica con cui le condisce e le riporta che mi lascia un po’ perplesso.
Magari, ti fai condizionare da qualcuna delle sue frasi sull’essere nell’1% dei migliori individui sul pianeta, o su quanto faccia schifo la comfort zone, e finisci per cadere nell’imboscata algoritmica. Oltrepassi la riga che non devi passare: guardi un video di troppo. Per i database di Google sei marchiato a vita: high achiever wannabe.
L’algoritmo droga il tuo feed di video reel super brevi e motivazionali, spesso non creati nemmeno dal povero David Goggins, che sembra comunque sguazzare in questo mondo di motivazione in pillole - che evidentemente gli dà manforte nella vendita di corsi e webinar.
C’è un grande ma:
a me questi video più che motivazione mettono ansia.
Questione di marketing
All’inizio della mia carriera da runner appassionato di sport, i video motivazionali in genere mi gasavano, pur avendo già sviluppato un gusto che mi allontanava dalla forma dei video stile-Goggins. D’altra parte, corro da soli tre anni: era un mondo diverso, almeno stando ai ritmi a cui cambia il mondo oggi, ma non era così diverso.
Il video motivazionale (ne esistono praticamente di qualsiasi tipo), anche qualora non motivasse, ha una capacità tutta sua di raccogliere sotto un unico ombrello i membri di particolari nicchie alle quali ci sentiamo legatə per vedute, facendoci sentire meno solə.
Sarà forse per questo che un malcelato (anzi proprio in bella vista) sotto testo motivazionale è l’ingrediente segreto di tanti commercial sportivi?
All’interno del reticolo narrativo i brand si prendono il ruolo di aiutanti, mentre i protagonisti sono gli sportivi più pagati al mondo, che da un lato sono chiamati a dare credibilità alla narrazione stessa; dall’altro prestano il proprio corpo a chi guarda. Come a dire: «quello che fa queste cose nella vita reale sono io, ma sei anche tu per mezzo del mio corpo: transustanziazione attraverso il brand» - suona come una supercazzola, ma (giuro) non lo è.
Gli anni 2000 hanno rappresentato forse uno spartiacque per questo tipo di narrazione dei brand.
Nike è stata, come accade tante volte, la versione più avanzata di questo cambiamento. Il primo storico commercial di cui ho personalmente memoria ad andare in questa direzione è Take it to the next level, del 2008, dove chi guarda è fulcro dell’azione, all’interno del video, il protagonista è l’io-spettatore, che agisce la vita di un calciatore professionista - hard work (a piccole, ma giuste, dosi) compreso.
Altri celeberrimi spot dove la quotidianità delle persone normali entra in un cortocircuito con il professionismo dei grandi campioni sono Winner Stays On, del 2014 - in cui il calcio sregolato delle periferie incontra gli stadi e la copertura mediatica - e The Switch, del 2017 - dove Cristiano Ronaldo scambia la propria vita con uno squattrinato raccattapalle - oppure, per spostarci sul basket, c’è Come out of nowhere - voce narrante LeBron James: the Chosen One nume tutelare degli underdog. Ma con il tempo Nike è diventato un mostro a tre teste così grande da non avere bisogno nemmeno dell’appeal dei super testimonials: prendiamo questa campagna.
Insomma, alla fine della fiera è una delle prime lezioni di marketing: i brand non vendono scarpe, vendono il loro perché. E un brand sportivo non può esimersi dal pompare in maniera diretta il driver della motivazione: E se la prossima persona fossi tu?
Il video motivazionale più bello che abbia mai visto
Questa settimana ho visto un video che non so nemmeno se definire motivazionale, ma che ha suscitato in me qualcosa.
Si tratta di un video di Casey Neistat, che qualche mese fa ho definito «una delle icone di YouTube a livello mondiale. Padrino di tutti i creator, video maker geniale, per certi versi visionario».
Il nome di Casey non cade a caso sotto a proposito dell’argomento. I video più o meno velatamente motivazionali girati da Casey Neistat sono tantissimi. Al prolifico video maker è anche da Nike di girare una promo per il brand - il risultato è spettacolare.
Ma concentriamoci su una delle ultime creazioni: il titolo è Sisyphus and the impossible dream. È un video che parla di corsa, ed è uscito un mese fa. Lo lascio qui senza aggiungere troppo: prendetevi dieci minuti per guardarlo.
Anatomia del video motivazionale
Questo video è un capolavoro. Ci sono tutti gli elementi che lo rendono un contenuto motivazionale efficace.
Ho cercato di individuare una serie di caratteristiche proprie di un buon video motivazionale. Ho provato a condensarle in una breve lista.
Alla base di un buon video motivazionale c’è sempre una narrazione. Per questo il reel non può veramente motivare. È troppo breve per racchiudere qualsiasi sviluppo delle situazioni emozionali complesse che si possono scatenare durante un percorso di miglioramento.
Se il video motivazionale va da A a B, senza seguire nessun meccanismo narrativo, allora forse state guardando uno spot elettorale - che è un po’ l’effetto che mi fanno i reel motivazionali.
Il video motivazionale mostra il fallimento, senza paura. Dopotutto, il racconto del fallimento è un espediente autobiografico cardine per la legittimazione di sé agli occhi del pubblico.
Tuttə noi oggi tendiamo a raccontare in chiave apologetica e autocelebrativa le nostre debolezze: nulla come l’ombra del fallimento mette in risalto la luce del successo.Il video motivazionale ama il concetto di underdog.
Un video motivazionale non deve necessariamente essere breve solo perché l’attenzione del pubblico tipo è bassa. Il buon video motivazionale deve essere della giusta lunghezza a raccontare efficamente la storia.
Un video motivazionale ha sempre un Aha! moment. Dopo la titubanza c’è sempre uno scatto improvviso che dà inerzia al video. Può essere il momento in cui il protagonista scopre che la sua avventura non è un viaggio con una destinazione, ma un processo (un espediente molto utilizzato); può essere il momento in cui, dopo l’ennesima tentazione a mollare, il protagonista decide di andare avanti.
La conclusione ideale della narrazione motivazionale è un finale aperto. Succede in quasi tutti gli esempi che abbiamo visto sopra: e da qui dove si va? quali altri obiettivi ci sono ancora da raggiungere? Il lavoro è veramente concluso? Vale anche come domanda: e tu, che sfida hai in programma per te stesso?
A proposito di video motivazionali: proprio questa settimana ne parlavo con
, che mi consigliava il bellissimo Do what you can’t di Casey Neistat - un’ode ormai vecchia di undici anni alla content creation industry più indipendente. Due giorni dopo Tommy fa uscire questo video.Voi avete qualche video motivazionale da consigliare? C’è qualche caratteristica comune a tutti i video motivazionali efficaci?
Parliamone nei commenti!
Letture da A cosa penso quando corro?
🏃🏻♂️ Ti è piaciuta A cosa penso quando corro? Come puoi sostenere il progetto
Se non lo hai ancora fatto, iscriviti alla Newsletter: ogni iscrizione è importante, mi motiva a credere in questo progetto.
Condividi A cosa penso quando corro? con amici, parenti, contatti, su Instagram, Twitter, Facebook, in un balletto su TikTok. Vedi tu!
Il mio profilo Instagram: @ban.zo_
Il mio profilo Strava: Lorenzo Bandini
Se questa puntata ti è piaciuta e ti va di sostenere questo progetto, sostieni A cosa penso quando corro? letteralmente al prezzo di un caffè al bar.
C'è una sottile linea tra motivazionalità e tossicità. Di recente ho visto il film sulla nutatrice Nyad; con i titoli di coda scorrevano filmati televisivi della persona reale, e quello che ne esce tra film e spezzoni è un carattere piuttosto "abusivo", sordo a consigli ma anche a necessità altrui, e soprattutto tossico (penso a come il personaggio reale vantava di suonare una tromba alle 4 di mattina, orario degli allenamenti, in spregio ai vicini definiti "dormiglioni", per "fare sapere che lei stava facendo". Piuttosto terribile.
As and aside: ho letto il libro di Goggins, è stata comunque una lettura affascinante, il classico amore-odio. Lui è pazzo, ma almeno urla solo durante i suoi eventi!
Ciao Davide! Grazie per i tuoi spunti che sono sempre interessantissimi e molto centrati.
Al di là del documentario da te citato, che recupererò quanto prima, la questione degli allenamenti al mattino presto, che è un cardine della cultura motivazionale sia positiva che negativa, mi ha fatto sentire in difetto tante volte. In estate, per correre tanti chilometri è spesso obbligatorio farlo in orari scomodi, specie per chi come me vive in campagna (nessun tipo di ombra per cercare un minimo di riparo). All’epoca la cosa mi faceva sentire meglio anche sul piano morale, sono sincero - chiaramente senza mai arrivare a certi picchi.
Su Goggins, forse ne ho fatto un ritratto troppo violento e fin troppo caricaturale. Effettivamente i video dove strilla “World needs savages” mi strappano una risata :) Alla fine anche lui deve vendere un prodotto, e la formula che ha trovato evidentemente funziona - come dici tu, senza disturbare nessuno fuor di algoritmi.