La gara che mangia i suoi giovani
🏃Storia della Barkley Marathons, la gara di corsa più dura del mondo, e il racconto dell'edizione 2024. Per la prima volta una donna, Jasmin Paris, ha concluso il percorso
🏃🏻♂️🏃🏻♂️ Buona domenica e buona Pasqua a tuttə, care lettrici e cari lettori.
Vorrei cominciare questa puntata ringraziando chi si è presə un minuto per rispondere al breve sondaggio che ho proposto nella scorsa puntata, e che ripropongo in fondo a questo episodio. Ho letto e fatto tesoro di tutte le risposte.
Sono felice di leggere che tra i formati preferiti su A cosa penso quando corro? ci siano le storie, di corse, di gare e di atletə.
E allora oggi raccontiamo una storia
O per meglio dire, raccontiamo molte storie, quelle del variopinto manipolo di uomini e donne che nel tempo hanno legato il proprio nome a una delle gare di trail running più brutali che siano mai state concepite: la Barkley Marathons, che dal 1986 va in scena nel parco naturale di Frozen Head State Park, tra i boschi del Tennessee.
L’edizione 2024 si è appena conclusa, e sarà ricordata per tanto tempo. Ben cinque dei quaranta runner selezionati dal carismatico ideatore della gara, Lazarus Lake, sono arrivati al cancello giallo del parco, che rappresenta il traguardo.
Capisco che chi senta nominare la Barkley Marathon per la prima volta possa sentirsi un po’ spaesatə. Ben cinque finisher su quaranta? Cosa significa? Contestualizziamo questo dato, perché preso da solo non dice molto, e sicuramente una spiegazione dell’eccezionalità di questo numero comincerà a darvi una misura della complessità fuori da ogni misura di questa gara corsa su fuori sentiero, terreni accidentati e salite verticali.
Considerando un numero limite di quaranta partecipanti all’anno, dal 1986 al 2024 solo venti persone sono arrivate al traguardo. Le edizioni concluse senza nessun finisher sono state la maggioranza assoluta - il caso opposto, che ci sia qualcuno che torna indenne al cancello giallo di Frozen Head State Park, è l’eccezione.
Questo numero da solo dice qualcosa circa il livello di difficoltà di un ultra trail selvaggio, brutale, estremo, ma in grado di affascinare ogni anno migliaia di persone che sperano di poter partecipare. Tanto che la Barkley Marathons è a tutti gli effetti considerata una gara di culto nel panorama.
All’ucraino esordiente (!!!) Ihor Verys sono seguiti i veterani Jared Campbell, John Kelly (rispettivamente quattro e tre Barkley concluse) e Greig Hamilton. Ma il nome dell’anno è quello della quinta finisher: Jasmin Paris, la ventesima persona, nonché prima donna ad aver mai completato la Barkley Marathons nell’arco di quasi quarant’anni di storia.
Oggi raccontiamo la (o sarebbe meglio dire le) Barkley Marathons, «la corsa che mangia i suoi giovani», la sua spietata e sarcastica mistica del fallimento, e l’assoluta protagonista di quest’anno: Jasmin Paris, veterinaria britannica consacrata nella storia della corsa grazie alla sua straordinaria impresa.
In questa puntata
Che cos’è la Barkley Marathons?
La mistica del fallimento
Jasmin Paris
Fonti e contenuti utili
Prima di iniziare. La Barkley Marathons è stata raccontata da tanti atleti e addetti ai lavori in modo molto più esaustivo di quanto lo potrebbero fare queste righe. A questa gara è dedicato un bel documentario del 2015 che ho citato in questa puntata - Barkley Marathons, the race that eats its young. Il più importante lavoro italiano sulla Barkley è in divenire, e se ne sta occupando Simone Luciani di Esco a Correre, che quest’anno è stato in Tennessee per documentare la gara - ne stanno uscendo una serie di contenuti di altissimo livello. Come sempre, trovate tutti i link in fondo.
Che cos’è la Barkley Marathons?
È impossibile ridurre la complessità di un trail come la Barkley Marathons all’asettico mutismo dei numeri, che decontestualizzati dal complesso sistema rituale che permea la gara finiscono per dire meno di quanto in realtà non significhino.
Ma partire dalle cifre può comunque essere utile per saggiare la follia di questa gara.
Nella pratica, questo trail consiste di un percorso ad anello di lunghezza variabile mai inferiore ai 30 chilometri (più 35 che 30), da ripetere per cinque volte entro un tempo limite di 60 ore. Il percorso è alternativamente svolto in due sensi opposti: la prima volta in senso orario, poi in senso antiorario, e così via.
Ne risulta un totale di oltre 100 miglia (160 chilometri: la distanza tra Bologna e Piacenza), a cui vanno aggiunti tra i 18 e i 20 mila metri di dislivello complessivo (più o meno come salire e scendere dall’Everest due volte).
Inoltre, se durante i primi quattro loop i runner possono fare squadra e spalleggiarsi a vicenda, l’ultimo giro risponde a una regola brutale: ogni runner che comincia deve prendere la direzione opposta a quella del runner che lo ha preceduto, rendendo di fatto l’ultima tranche una corsa in solitaria.
Durante la gara, che si snoda su due giornate e mezzo di corsa, è raro vedere i runner dormire, se non per qualche minuto nell’arco delle sessanta ore. Le temperature cambiano in maniera repentina tra giorno e notte - non aiuta la volubilità meteorologica di un mese come marzo.
Serve dire che eventi climatici come pioggia, vento, nebbia non fermano lo svolgersi della gara?
Fuga da Brushy Mountains
La mente dietro la Barkley Marathon è Lazarus Lake, al secolo Gary Cantrell, ex impiegato diventato figura di culto come designer di gare di endurance. Con la sua folta barba, la sigaretta perennemente incollata alla bocca, e la voce calma e cadenzata, Lazarus Lake ricorda una versione montana e selvatica dello Steve Zissou interpretato da Bill Murray.
La nascita della Barkley Marathons è avvolta nel mistero. Sarebbe da rintracciare in un fatto di cronaca dai risvolti folkloristici - d’altronde, parafrasando Borges, un Paese senza una tradizione epica radicata pesca da dove può gli elementi per costruire una cultura popolare.
L’ispiratore della gara sarebbe James Ray Earl, assassino di Marthin Luther King, imprigionato nel remoto carcere (oggi dismesso) di Brushy Mountain, le cui mura confinano con i boschi di Frozen Head State Park. Nel 1977 Earl riuscì ad evadere e a fuggire negli intricati fuori sentiero del parco statunitense. Il tentativo di evasione di Earl durò quasi 55 ore, nelle quali percorse appena 12 miglia (circa 20 chilometri).
Al che - sempre secondo la leggenda - il pensiero di Lazarus Lake sarebbe stato un: «dannazione, si può fare di meglio» (per una versione ufficiale della storia attendiamo l’intervista di Esco a correre a Lazarus Lake).
Una gara analogica
La Barkley Marathon si può considerare a tutti gli effetti una gara analogica. Nessun tipo di device elettronico è concesso.
Gli unici avanzamenti tecnologici a disposizione dei podisti in gara sono una cartina fisica (il percorso della gara è condiviso con poco meno di una giornata di anticipo rispetto allo start) e un orologio che segna l’orario di partenza del primo loop.
Chi è più avvezzə a gareggiare si starà chiedendo: come si monitora il passaggio degli atleti da determinati punti per appurare che il percorso sia stato effettivamente svolto?
Il metodo è brillante. All’inizio di tutti e cinque i loop Lazarus Lake consegna ai concorrenti un numero di pettorale sempre diverso. Lungo il percorso ad anello sono distribuiti undici libri, nascosti tra rovi, costruzioni abbandonate, in buche tra gli alberi: a ogni giro i partecipanti devono strappare da ognuno degli undici la pagina corrispondente al proprio numero di pettorale.
Solo riconsegnando tutte e undici le pagine un loop può considerarsi concluso.
Un sistema di ritualità
Come dicevamo all’inizio, la Barkley Marathons è irriducibile ai numeri paurosi entro i quali serve rientrare per concludere anche solo un giro del percorso - di fatti concludere anche un solo giro è sinonimo da grandi capacità fisiche e mentali.
C’è un complesso sistema di gestualità e tradizioni che accompagnano la gara e alla gara nei mesi, giorni, attimi immediatamente precedenti allo start. Questa fitta rete simbolica non è parte integrante della corsa stessa: ne è la sostanza vitale.
I rituali e le tradizioni giocano un ruolo cruciale nella Barkley, contribuendo a creare un'atmosfera unica e indimenticabile. (Simone Luciani per Runner’s World)
Facciamo qualche esempio.
Esiste un offertorio particolare al momento del check-in e ritiro pettorale. Le buone maniere vogliono che insieme alla quota di partecipazione di 1 dollaro e 60, coloro che partecipano alla loro prima Barkley portino a Lazarus Lake una targa autoctona del proprio paese di origine; a chi partecipa una seconda, terza o quarta volta di solito sono richieste cose come pacchetti di sigarette, o calzini.
All’interno della liturgia della partenza Lazarus Lake stabilisce l’ora dello start a sua completa discrezione con il suono di una conchiglia gigante; una volta radunati tutti i concorrenti alla partenza, Laz decreta la partenza con l’accensione di una sigaretta.
Una mistica del fallimento
Qual è l’oggetto della celebrazione al centro del sistema di rituali della Barkley Marathons?
Non si tratta della corsa, o dello sport; né tantomeno di cose come ricchi contratti di sponsorizzazion, o copertura mediatica - l’unica source of truth è l’account Twitter dell’ex ultrarunner Keith Dunn. Non è nemmeno la natura - che ha comunque un peso specifico tutto suo nella gara, dato che dai suoi capricci dipendono le aspirazioni di tutti.
Dopo aver studiato la Barkley Marathons per un po’ di tempo, mi sono fatto l’idea che l’elemento portante della ritualità sia il fallimento.
Tutto quello che ruota attorno alla gara è pensato al solo scopo di portare i suoi partecipanti al fallimento. A partire dal processo di iscrizione, che è segreto: pochissimi lo conoscono, e ovviamente non possono rivelarlo. Un margine di errore minimo durante l’iscrizione significa aver fallito la possibilità di gareggiare: le domande di Lazarus Lake nel momento di inviare la richiesta di partecipazione richiedono risposte totalmente strampalate, ma estremamente precise, tanto che di circa 1300 richieste di partecipazione all’ultima edizione 1260 ne sono state scartate.
La lettera di ammissione alla gara è un messaggio di condoglianze.
Nondimeno, dal fallimento nostro e degli altri abbiamo qualcosa di utile da imparare: Lazarus stesso riporta che il 75% delle persone che mollano durante una Barkley lo fanno al campo base, di ritorno da uno dei cinque loop, perché «il fallimento sta tutto tra la tua sedia e l’inizio di un nuovo loop: iniziare qualcosa è la parte più difficile».
Dice Lazarus Lake:
Se devi affrontare una sfida, fa che sia una vera sfida. Non c’è nessuna vera sfida che puoi affrontare senza avere di fronte il fallimento come controparte. Tutti vogliono riuscire. C’è una sorta di dark humor dietro a tutto questo: alcuni fallimenti sono veramente spettacolari. Ma in fondo, si tratta solo di dare alle persone la possibilità di scoprire qualcosa su sé stesse. (Barkley Marathons. The Race that eats its youngs)
E in un’altra occasione commenta:
Mi piacciono le grandi performance, quelle in cui le persone veramente si spingono oltre i propri limiti. Non tutti vincono. Ma c’è da imparare molto di più dal fallimento che dal successo. (To Finish Barkley, Karel Sabbe)
Ed è vero: alcuni fallimenti sono stati davvero spettacolari.
Il più crudele è forse quello del fenomenale Gary Robbins, che nel 2017, con tutte e undici le pagine a disposizione, ha mancato il suo obiettivo per una svolta sbagliata a due miglia dal cancello giallo, e per soli sei secondi sul tempo totale: 60.00.06.
Il fallimento più sensazionale, invece, è quello dell’ultrarunner belga Karel Sabbe, che nel 2023 è diventato il diciassettesimo finisher della Barkley Marathons. In un intenso documentario Sabbe racconta della sua straordinaria performance del 2022 (anno senza finisher): al quarto loop, in notturna, in preda alle allucinazioni Sabbe si è ritrovato a chiedere informazioni a una donna che poi si è rivelata essere un cestino dell’immondizia; è infine stato recuperato dallo sceriffo della zona ed essere riportato al campo base in un auto della polizia - tra le risate di Lazarus Lake e Keith Dunn.
Una sorta di humor molto pesante è il collante che tiene insieme l’evento: perché se tutto questo non fosse, in fondo, un immenso scherzo, nessuno prenderebbe seriamente l’idea di sottoporsi a una tortura come la Barkley Marathons.
Chi arriva e chi no
La controparte del fallimento è un’esperienza di partecipazione fisica ed emotiva al successo tanto forte che Lazarus stesso afferma di sentirsi «elevato per il solo fatto di trovarsi presente a testimoniare un tale evento».
Le condizioni meteorologiche propizie di quest’anno hanno dato a Lazarus e ai presenti ben cinque motivi di gioia.
Ihor Verys, talentuoso e statuario atleta ucraino-canadese, taglia il traguardo per primo: oltre ad essere finisher è anche vincitore, e per di più alla sua prima Barkley (un dettaglio non di poco conto, è estremamente raro vedere un virgin trionfare in una gara a cui è fisiologico dover fare la tara).
Seguono a pochi minuti di distanza Jared Campbell e John Kelly: facce notissime, leggende di Frozen Head State e ultrarunner fenomenali. Insieme mettono insieme sette finish alla Barkley - diremmo i Messi e Ronaldo della competizione.
Ai tre si aggiunge Greig Hamilton, un neo zelandese (primo a completare la Barkley) membro dell’associazione internazionale di orienteering. Quando arriva al cancello, consegna le sue pagine e preme il bottone rosso datogli da Lazarus - altro elemento simbolico e dissacrante: alla pressione esce il suono That was easy. Mancano 38 minuti alla fine dei giochi.
Resta una sola partecipante in gara, a lottare tra i boschi di Frozen Head State. Jasmin Paris non è un nome qualsiasi nel panorama dell’ultrarunning, né della Barkley: durante i suoi due precedenti ha concluso la fun race (così Lazarus definisce i primi tre giri) e nell’edizione 2023 è stata la prima donna a concludere quattro loop - salvo poi abdicare prima del quinto.
Per la terza volta sta sfidando le forze della Barkley Marathons.
Dalle fell a Frozen Head State Park
Jasmin Paris è una veterinaria britannica di quarant’anni, con una passione per il trail running e la corsa in alta quota. Per quanto possa sembrare strano per un’atleta con le capacità per concludere una gara come la Barkley, Jasmin non è una professionista, né vive il running in una dimensione professionistica.
Inizialmente, la cosa mi puzzava di discriminazione salariale tra atleti e atlete: dopo qualche ricerca, però, viene fuori che tanti dei partecipanti alla Barkley, oltre a essere runner di altissimo livello, sono persone che faticano a staccarsi da una vita normale. Ad esempio, il fortissimo Harvey Lewis è professore in una High School di Cincinnati; Karel Sabbe - l’uomo che parlava con i cestini - è un dentista. John Kelly - tre volte finisher - è CTO di un’azienda high-tech.
E così Jasmin Paris vive la sua vita da persona e runner assolutamente comune: bici per andare al lavoro, uno stile di vita sano, e (proprio come tantə di noi) qualche difficoltà nell’essere metodica con lo stretching.
Nello scorso decennio si è affermata come una vera e propria leggenda del fell running, o hill running, ossia una corsa off-road, su strade sterrate, fatta di salite muscolari e discese tecniche. Il suo palmares include diverse vittorie in varie competizioni, compreso un bronzo ai mondiali di Skyrunning del 2016 (su un tracciato di oltre 105 chilometri) e un oro alla Skyrunner ultra Extreme.
Quando meno te lo aspetti
Eravamo rimasti all’arrivo di Greig Hamilton. Mancano ventuno minuti al limes temporale delle sessanta ore.
Mezza Gran Bretagna (è sera inoltrata sul nostro lato del pond) attende notizie, refreshando compulsivamente l’account Twitter di Keith Dunn.
I video dell’arrivo di Jasmin dal camp, dove Lazarus e un pubblico sparuto attendono la fine dei giochi sono emozionanti. Non appena la maglietta rossa di Jasmin comincia a intravedersi tra gli alberi una serie di grida cominciano a sollevarsi - «Come on Jasmin». Quando la figura si fa nitida sullo schermo sono tutti in piedi ad applaudire: il volto di Jasmin è contorto dalla fatica, non c’è nulla di piacevole in quello che quest’atleta sta facendo per portare a casa il risultato.
È una sensazione che chiunque abbia corso, a qualsiasi livello, conosce. Il corpo semplicemente si chiede «perché?» e la risposta è «prima arriviamo, poi facciamo i conti».
All’arrivo Jasmin si accartoccia sul cancello giallo di Frozen Head State, per poi accasciarsi, stremata, al suolo. Ce l’ha fatta. 59 ore, 58 minuti, 21 secondi.
Un video di nove anni fa riporta la ferma convinzione di Lazarus Lake sull’impossibilità per una donna di concludere una Barkley: a questa affermazione aggiunge «dimostratemi che sono in fallo. Se una donna finisse ne sarei entusiasta». A differenza di quanto non sia accaduto per tutti i finisher nella storia della Barkley, Lazarus non attende Jasmin sotto la tenda posta a fianco del cancello, pronto a conteggiare le pagine: è appoggiato alla sbarra, come volesse godersi il momento da una prospettiva privilegiata.
Il giorno in cui una donna ha premuto il bottone rosso è arrivato: lo sguardo di Lazarus è felice e appagato.
That was easy.
Mi piace chiudere questa puntata intensa con le parole di Jasmin subito dopo l’arrivo:
Qualsiasi avventura in cui tu sia coinvoltə, credi in te stessə e prenditi i tuoi rischi. Io sono dovuta tornare tre volte [alla Barkley] per riuscire. Non ho mai smesso di pensare che fosse possibile: vale sempre la pena metterci l’impegno se si tratta di qualcosa che vuoi davvero.
Grazie a chiunque sia rimasto con me fino a qui.
Fonti, letture, ispirazioni
Scrivere questa puntata ha richiesto una ricerca massiccia attorno alla Barkley, e a tutti i personaggi che vi gravitano attorno.
Come già riportato in apertura, il contributo in italiano di maggior livello è un lavoro in itinere che si concluderà con il rilascio di un documentario, ed è quello portato avanti da Simone Luciani di Esco a Correre (@escoacorrere) sul suo canale YouTube. Nelle scorse settimane Simone è stato a Frozen Head State Park in compagnia del leggendario Harvey Lewis: sul suo canale sono già presenti tre video ricchissimi e interessantissimi - comprensivi di anteprime di interviste a Lazarus Lake.
Qui i link: l’introduzione, la prima puntata, la seconda puntata.
I contenuti video e audio sulla Barkley e sui suoi protagonisti sono sterminati. Qui una brevissima selezione di materiale che ho utilizzato per la stesura.
Il punto di partenza imprescindibile per scoprire la Barkley è il documentario del 2015 The Barkley Marathons: the race that eats its young. Qui il trailer: trovate il documentario sulla versione statunitense di YouTube a questo link.
Un altro pezzo d’arte su YouTube: il racconto di Gary Robbins - Where the dreams go to die.
Il documentario di Karel Sabbe, diciassettesimo finisher della Barkley, sull’edizione del 2023 offre uno sguardo privilegiato sulle dinamiche interne della gara - la confezione del documentario è piacevolissima.
Questo articolo del Post racconta la Barkley in maniera sintetica ma esaustiva.
Per chi volesse approfondire la conoscenza di Jasmin Paris, questo articolo è un ottimo punto di partenza.
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Grazie Lorenz per questi preziosi approfondimenti!
Che meraviglia! 🤩