Un inverno ricchissimo
Non solo record e prestazioni assurde, ma anche vecchi problemi: quelli del Kenya con il doping
Buongiorno a tutte e tutti!
Bentornati su A Cosa Penso Quando Corro?, newsletter resistente. All’influenza senza dubbio.
La solita presentazione di questa newsletter: A Cosa Penso Quando Corro? è uno spazio in cui si parla di running, come sport da guardare, come sport da praticare; come fatto sociale, economico, culturale e introspettivo.
E che esce ogni due domeniche alle 10 del mattino.
Per recuperare le puntate precedenti potete consultare l’archivio di ACPQC?
Non so voi, ma quest’anno più degli scorsi mi sembra che in appena due mesi siano successe veramente tante cose. Che poi: non sarà una di quelle cose che diciamo tutti gli anni? (Lo è, palesemente). Il prossimo anno, il primo di marzo ci guarderemo indietro e penseremo: «mamma mia, ma nel 2025 non erano mica successe tutte queste cose dal primo dell’anno a oggi». Magari ha un nome questa specie di bias? Qualcuno lo sa?
Vale anche per l’atletica: ma quante cose sono già successe da inizio anno? Ci pensavo questa settimana, mentre me ne stavo a letto con la febbre. Di nuovo. Esatto, ho ripreso la febbre per due volte nel giro di neanche un mese. Sono sinceramente stupito di questa ricaduta, non l’avevo proprio mai sentita questa cosa di gente che si ammala per due volte in un mese: pensavo che al primo giro gli anticorpi (da rappresentate della generazione di Esplorando il corpo umano me li figuro come squadristi vestiti di bianco, con tanto di manganello e distintivo - chissà se almeno loro sono obbligati a portare il numero identificativo sulla camicia) ci avessero fatto il callo a sto virus infame, e a un secondo approccio lo avrebbero preso a calci in culo. E invece, ho dato troppa fiducia ai tutori della legge che scorrazzano su e giù tra i linfonodi del mio corpo. Ma poi dai, ma chi è che si prende la febbre per due volte in un mese?
Beh, durante questo blocco di tempo granitico - ritmato dall’alternanza scientifica tra il paracetamolo e il ketoprofene, dalla misurazione della temperatura e dalle partite a tetris (l’unica attività cerebrale che non mi costasse una recrudescenza troppo violenta del mal di testa) - ho ripensato a quanto abbiamo già avuto modo di vivere quest’anno, in neanche sessanta giorni da Capodanno. Ora, vi potrei fare una mega lista di cose successe, magari su un unico paragrafo. Ma fare le liste di un paragrafo fatte bene, quelle che riescono a toccare velocemente tanti punti restituendo tridimensionalità a ognuno di essi, è un’arte e il margine di errore è altissimo: e quindi o sei una penna geniale, tipo Alberto Arbasino, oppure il rischio con le liste è quello di scimmiottare chi fa le liste (e non parlo mica di Arbasino, no, mi riferisco a ben altro genere di personaggi pubblici diventati famosi per elencare le cose male abbastanza da diventare un meme). Io non sono una penna: figuriamoci una penna geniale; quindi bando alle liste.
Per fortuna, però, diverse cose ve le ho già raccontate in maniera approfondita nelle scorse settimane. Già a metà gennaio erano successe diverse cose, e tante stavano per succedere. Prendete la settimana dei sette record: di cui vi ho parlato nella scorsa puntata, e di cui poi ho scritto sotto una lente diversa su Ultimo Uomo, aggiungendo al racconto il nuovo formidabile record di Jacob Kiplimo nella mezza maratona di Barcellona (ha corso in 56’42”).
Delle altre cose successe ne ho selezionate tre.
L’esordio stagionale (e vincente) di Francesco Puppi
Un atleta che quest’anno ho fatto voto di seguire, anche come impegno per espandere la mia conoscenza sul trail running - una branca dell’atletica orograficamente lontana per me che sono un ragazzo del mitologico forese ravennate (la quintessenza della pianura, tanto che per scrivere le sue pagine più intense sulla Pianura Marco Belpoliti è dovuto venire fino a Campiano) - è Francesco Puppi.
Atleta formidabile, un vero esperto di corsa (sotto praticamente tutti gli aspetti, dalla fisiologia, alla prestazione in gara), Francesco Puppi è una di quelle personalità da seguire sia nelle imprese sportive, sia per la sensibilità, autoconsapevolezza e introspezione con cui guarda al proprio percorso professionale e umano. Il suo esordio stagionale alla Transgrancanaria, distanza Marathon, ha abbracciato le aspettative di chi era pronto ad assistere ad una grande gara: d’altronde, cosa ci si può aspettare di diverso davanti a 600 ore di allenamento caricate su Strava? (Il dato è fornito dal diretto interessato). È chiaro, se poi il risultato è una vittoria pazza, di quelle che sembrano scriptate, che ti fanno alzare dal divano - ditemi voi se un sorpasso ai 100km/h a cinquecento metri dal traguardo non lo è - tanto meglio.
Questa Transgrancanaria è una gara impossibile da distillare in poche righe di commento: dietro il risultato finale c’è una ricchezza di sottotesti che vanno oltre l’elemento della competizione e di quello che possiamo testimoniare da spettatori. A questo proposito Francesco - che ha un suo Substack - ha scritto un resoconto della gara a cuore aperto, ma senza troppi fronzoli, nel quale tocca con leggerezza diversi dei punti focali che hanno guidato i suoi ultimi mesi.
Ovviamente, vi invito a leggerlo: intanto perché è scritto bene, la prosa è piana e lucida; e poi perché non capita spesso di avere la fortuna di testimoniare i processi mentali di un atleta professionista in presa diretta.
Il record del Mondo di Francesco Fortunato
Sabato 22 e domenica 23 febbraio ad Ancona ci sono stati i campionati italiani assoluti di atletica leggera. Parte delle alte sfere FIDAL vivono una specie di rapporto irrisolto con questo evento, per la tutto sommato sparuta presenza di big dell’atletica italiana all’evento. Che poi, non è vero niente: i nomi pesanti hanno come sempre bazzicato la duegiorni di quest’anno - vi basterà dare un’occhiata ai risultati per rendervi conto dell’abbondanza di talento in pista ad Ancona. Comunque, il fatto che una fetta ampia degli atleti di punta abbia deciso di saltare l’evento per motivazioni puramente tecniche comprensibilissime (siamo pur sempre nel periodo dei grandi meeting internazionali, tra una settimana ci sono gli europei indoor ad Apeldoorn, e tra tre settimane ci sono i mondiali di Nanchino) manda un po’ in cortocircuito parte dell’intellighenzia nostrana. Vabbè, lasciamo stare le questioni di palazzo, a cui penseranno gli inquilini.
Sabato pomeriggio comincia a rimbalzare da tutte le parti, repostata da World Athletics, Eurosport, Sky Sport e tutta la sfilza dei media di settore, la grafica bold che ha accompagnato tutta la settimana che va dall’8 al 16 febbraio: World Record. Ma come, ancora? Sì, di nuovo. C’è un nuovo record del mondo, questa volta nei 5,000 metri di marcia. A corredo della grafica c’è la foto di una vecchia conoscenza: presente quella sensazione di «ah ma io questo l’ho già visto!». E in effetti Francesco Fortunato non è un parvenu dell’atletica italiana. Illuminato dalla luce che i campionissimi Massimo Stano e Antonella Palmisano hanno riflesso sulla marcia dopo l’exploit olimpico di Tokyo 2020 (oro olimpico sia maschile che femminile), Fortunato è inserito in maniera eccellente nella squadra nazionale sia a livello individuale (sui 20km è campione europeo nel 2023, e bronzo europeo nel 2024, con partecipazione olimpica) che per quello che riguarda le staffette miste (campione del mondo nel 2024 con Valentina Trapletti).
Fortunato ha completato i 25 giri della pista indoor in 17’55″65, con oltre tredici secondi di anticipo sul precedente record di 18’08″86 che il russo Mikhail Shchennikov aveva siglato nel 1995 - no, non c’era ancora l’URSS, ma quasi. Che poi, vai a capire perché i russi abbiano questo feeling con i 5,000 metri di marcia, visto che nel corso dei trent’anni che separano i due record ufficiali altri due atleti russi hanno battuto la misura di Shchennikov, ma con prove non omologate.
Ora, i 5,000 metri sono - lo possiamo dire senza il rischio di offendere nessuno - una distanza secondaria nell’ecosistema della marcia. Per atleti abituati a gareggiare in outdoor sui 20k (la distanza prediletta di Fortunato), sui 35k o sulla distanza maratona, (se non sui 50k), i 5,000 metri sono quasi una gara di sprint.
Ma un record del Mondo è un record del Mondo: non mettiamoci a fare gli schizzinosi quando ci succede qualcosa di bello - possibile rivisitazione dell’inflazionato adagio di Kurt Vonnegut «Quando siete felici fateci caso». Bisogna anche saper leggere il momento: e allora, vediamo che celebrare il record di Francesco Fortunato è doveroso. L’atletica italiana ha avuto un inizio di anno dolce amaro, con il caso Jacobs-Tortu che ha rimesso il movimento al centro dell’attenzione, ma sotto la luce peggiore possibile. È un peccato: tutto è iniziato con Jacobs e Tortu nel 2021, e con Jacobs e Tortu rischia di finire. Siamo già a fine ciclo? Le grandi gioie di atleti come Fortunato, insieme a quella schiera di giovani fortissimi che dalla classe di Tokyo 2020 hanno ereditato la fame di grandezza, sono qui per dirci che no, i sogni del movimento sono ancora al sicuro: non smettiamo di celebrarli quando si avverano.
Non è tutto oro quello che luccica: ancora problemi per il Kenya
Nel pezzo che ho scritto per Ultimo Uomo sulla Settimana dei record ho cercato di dare enfasi a un concetto a cui credo molto: mentre celebriamo giustamente l’abbondanza di record, dobbiamo anche stare in guardia dalla tentazione di valutare la bontà di una gara di atletica sulla base della presenza o meno di un primato. La dicotomia record-no record non è un paradigma sostenibile per la salute dello sport.
Per alcuni atleti restare al top, vincere, portare record, non è un privilegio, non è un gioco contro i limiti propri e altrui, ma una necessità. Quando gareggiare e competere significa affrancarsi da una vita di miseria, restare sulla cresta dell’onda è un obiettivo per il quale non c’è ostacolo che tenga. Se l’ostacolo diventa insormontabile, anche la possibilità di aiutarsi con l’illecito diventa buona. Sto parlando, di nuovo, della crisi di doping endemica che colpisce gli atleti della federazione keniana. È recentissima la notizia della sospensione di Brimin Kipkorir, ultimo vincitore della Sydney Marathon - che dallo scorso ottobre non è più una maratona qualsiasi, visto che dal 2025 entrerà ufficialmente nel prestigioso ciclo delle Major Marathons. Kipkorir, stando a una nota dell’Athletic Integrity Unity, sarebbe risultato positivo all’EPO dopo un test del 22 novembre 2024.
Del problema doping in Kenya vi avevo già parlato lo scorso ottobre in un pezzo dedicato, che vi lascio qui. La magnitudo della questione è fuori scala: il presidente di World Athletics Sebastian Coe nel 2022 affermava che «il 40% degli atleti positivi al Mondo è keniano», e nell’arco di un anno e mezzo la situazione è solo marginalmente migliorata. Non che parole e sforzi siano mancati: se avete letto il pezzo vi ricorderete della partnership tra Anti Doping Kenya Association con la Premier League inglese per portare un centro di analisi di livello internazionale in loco, a Eldoret.
L’ennesimo capitolo di una faccenda sporca, che colpisce in maniera complessiva tutto il movimento, anche nella parte pulita: che si trova presa nell’imbarazzante fuoco incrociato dei giornalisti che alzano il sopracciglio davanti a prove speciali. Ricorderete, ad esempio, il caso di Ruth Chepngetich, alla quale, all’indomani del clamoroso record femminile in maratona dello scorso ottobre, furono praticamente da subito sollevate insinuazioni più o meno velate circa un suo possibile utilizzo di doping.
Mondo vola, ancora
Per finire su una nota positiva, l’ennesimo record mondiale di Mondo Duplantis. Ci eravamo salutati in Polonia a 6.26, ci ritroviamo in Francia a 6.27.
Non so, dopo 11 volte fa ancora notizia? La scena più bella della serata è forse la corsa del padrone di casa Renaud Lavillenie, ultimo detentore del primato mondiale prima dell’arrivo di Duplantis, ad abbracciare l’amico (13 anni più giovane) non appena ricade sul materasso. Nel frattempo, è pure diventato cantante - il pezzo si chiama Bop e non so, non credo matchi l’energia di Mondo in gara: ma magari sbaglio.
Ah, a 38 anni e a carriera già praticamente conclusa qualche anno fa, ritroveremo Renaud Lavillenie ad Apledoorn, Paesi Bassi, agli europei indoor di atletica, tra venerdì 6 e domenica 9 marzo. Duplantis non ci sarà. Chissà se toccherà a Manolo Karalis ballare?
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