Il mezzofondo è un far west
Il mezzofondo è la parte più eccitante dell'atletica leggera, ed è un territorio senza padroni
Buongiorno a tutte e tutti!
Questa è A Cosa Penso Quando Corro?, la newsletter il cui autore deve chiedere scusa ai propri lettori milanesi e lombardi: da quando quattro settimane fa ho pubblicato la puntata dal titolo “È quasi primavera, finalmente” avrò visto, se va bene, cinque giorni di sole.
Intanto, abbiamo ufficialmente superato la simbolica soglia dei 500 iscritti: benvenute e benvenuti, e grazie! La solita presentazione di questa newsletter: A Cosa Penso Quando Corro? è uno spazio in cui si parla di running, come sport da guardare, come sport da praticare; come fatto sociale, economico, culturale e introspettivo.
E che esce ogni due domeniche alle 10 del mattino.
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La puntata è lunga: qui c’è un indice per orientarvi. Come sempre, se la mail dovesse essere troncata, accedete alla puntata completa da questa pagina.
Gli ultimi sette, folli giorni di Grant Fisher
Grant Fisher vs. Cole Hocker
«Non ci sarebbe stato modo per me di essere così veloce senza Cole»
«Non so esattamente come mi sento, ma è un processo emotivo interessante da osservare»
«Datemi una lepre per chiudere sotto i 12’50»
Yared Nuguse: American dream
The Goose is Loose
Il distruttore di sogni: la piovra Jakob
Segnalazioni
Questa puntata sul mezzofondo l’avevo impostata, scritta e rivista quasi tutta entro mercoledì 12 febbraio. Ah, che bello! Si stava impossessando di me la sensazione di poter chiudere il PC dopo una settimana di lavoro e di scrittura per potermi finalmente godere un weekend tranquillo - il primo di sole dopo quasi due settimane ininterrotte di grigia pioggia milanese. Solo tanto riposo e tanta corsa - mi sto pur sempre allenando per una gara questa primavera: se vi interessano le gesta del più average dei runner average mi trovate qui.
Ma dopo la sera di sabato 13 febbraio ho dovuto ricominciare tutto da capo. Perché nel giro di sette giorni è successo quasi di tutto. Andiamo con ordine - ma non troppo.
Gli ultimi sette, folli giorni di Grant Fisher
Sabato 8 febbraio, la vigilia della ritualità sportiva più importante dell’anno americano - il politicizzatissimo Super Bowl - a circa 2,100 chilometri dal Caesar Superdome di New Orleans dove gli Eagles e i Chiefs si stavano preparando alla loro nottata speciale, nel raccolto Armory Track and Field Center di New York andavano in scena i Millrose Games.
I Millrose Games sono un evento piacevolmente americano-ma-non-troppo (come quasi tutto quello che succede tra New York e Boston): il racconto di questo meeting è lontano dalla sovrabbondanza bold che troviamo attorno alle narrazioni dei grandi eventi statunitensi, che si tratti di sport e non - prendere come esempio la baracconata della Formula 1 quando sbarca a Miami o a Las Vegas, o il grande-Grande-GRANDE del Super Bowl (con gli spazi pubblicitari da 30 secondi venduti a 8 milioni), o il circo dell’All Star Game NBA. No, i Millrose Games non sono della stessa parrocchia. Un po’ perché attorno all’atletica non girano tutti quei soldi che hanno gli altri, ma mica solo per questo. Non so bene cosa sia, forse una grazia newyorkese - la stessa degli US Open - che rende tutto quello che gira attorno alla Grande Mela magico e fiabesco (almeno se visto da dietro ai pixel di uno schermo). Qui trovate un recap completo dei Millrose Games, che qui non ho spazio di portare.
Grant Fisher vs. Cole Hocker
Fatto sta che durante le due ore dei Millrose Games di New York è successo di tutto.
Prima Grant Fisher ha fatto il nuovo record del mondo indoor sui 3,000 metri, correndo in 7’22”91 - il tempo da battere era il 7’23”81 di Lamecha Girma. Sotto il mark del record mondiale insieme a Fisher c’era una vecchia conoscenza di questo spazio: il campione olimpico dei 1500 metri Cole Hocker, che è arrivato corto di 23 secondi. I due hanno staccato di circa 8 secondi il francese Jimmy Gressier - novello detentore del record di Francia sui 5,000 metri indoor, con un inciucio particolare riguardante le scarpe utilizzate durante la prova (al John Thomas Terrier Classic della settimana prima).
Lo scontro tra i due connazionali è stato bellissimo. Fisher e Hocker si mettono subito al seguito delle lepri - ho scoperto che oltre che pacer negli USA li chiamano rabbit. Fisher conduce: è più piccolino, il volto incorniciato da un caspo bruno e ricciuto, decorato da uno strano ghigno sul volto (non so dire se sia fatica o un vero e proprio sorrisetto); Hocker gli si francobolla dietro: inconfondibile, con il capello raccolto in una coda cortissima, il suo collo lungo e ritto, e quel dondolio raccolto delle braccia che lo fa sembrare uno struzzo all’attacco. Quando l’ultimo rabbit abbandona i podisti al loro destino a sei giri dal traguardo Fisher è sempre in testa. Hocker attacca solo tre giri dopo, e passa in testa.
Fisher su quel momento della gara ha detto:
«Speravo di essermene sbarazzato, ma lui era sempre lì, e alla fine si è messo davanti: sono contento che si sia messo davanti così presto. Se avesse aspettato un altro po’ forse avrebbe avuto davvero lo spazio per staccarmi, perché la sua accelerazione è davvero pazzesca e a me spesso serve tempo per reagire».
Cole Hocker ha ponderato il proprio attacco contando sul suo kick finale; quello che non ha previsto è una difesa tanto strenua di Fisher, che si è preso tutto il vantaggio possibile dalla scia del rivale. Lungo il primo rettilineo, a metà dell’ultimo giro, su un’accelerazione esterna di Fisher sembra che Hocker abbia la forza di resistere: per un attimo l’inseguitore viene ricacciato indietro. Ma non è finita qui: Fisher trova forza e spazio per attaccare facendo il giro largo sulla curva finale. Hocker prova a rimarginare, ma l’altro gli sfila via all’esterno. Grant Fisher, con il suo sorrisetto stampato sulla fascia colpisce Cole Hocker con la sua stessa arma: il kick.
«Non ci sarebbe stato modo per me di essere così veloce senza Cole»
Durante una delle interviste post gara, un’intervistatrice chiede a Fisher cosa abbia pensato dopo aver tagliato il traguardo sapendo di aver fatto un record del mondo.
«Oh non ci ho pensato proprio per niente, il mio unico pensiero in testa era Cole. Poi ho alzato gli occhi e ho visto del record e ho pensato “Santo cielo”. Per battere Cole ci vuole un record del mondo».
Al di là della gara bellissima, stiamo parlando di uno scontro tra due atleti che oltre a un pool genetico di livello mondiale mettono in campo una rara intelligenza tattica ed emotiva. A fine gara, Fisher parla a lungo dell’importanza del fattore Hocker nella conquista del suo record.
«Ci credo davvero al fatto che ognuno abbia tirato fuori il meglio dall’altro. Cole ha un ottimo range tra gli 800 e i 5,000 metri, io ho un ottimo range tra i 1,500 e i 10,000 metri. Se avessimo gareggiato sui 2,500 metri mi avrebbe battuto. Ma sui 3,000 l’ho fregato, almeno per oggi. Non ci sarebbe stato modo per me di essere così veloce senza Cole».
Segue un commento molto bello sul fatto di uscire da un’annata importante per entrambi - Cole Hocker gareggia da campione olimpico, Grant Fisher è tornato da Parigi con due medaglie di bronzo: sui 5,000 e 10,000 metri.
«È figo che entrambi abbiamo voglia di darci battaglia dopo la miglior stagione delle rispettive carriere. Ci saremmo potuti crogiolare su questi risultati, e decidere di non sfidare altri podisti competitivi; e invece entrambi avevamo voglia di uscire a combattere».
«Non so esattamente come mi sento, ma è un processo emotivo interessante da osservare»
A fine gara, Cole Hocker ha la faccia di uno a cui abbiano detto: «correrai sotto il record del mondo, ma non vincerai la gara».
È comprensibile. Cole Hocker è un atleta introspettivo, lontano dalla postura da alpha che mantiene vivo l’interesse extra-pista dei due galli Ingebrigtsen-Kerr. I suoi commenti post gara offrono sempre degli spunti di riflessione interessanti. Nell’intervista post gara a Citius Mag le lacrime spezzano più volte il filo del suo discorso. Il suo discorso è profondo, e ha a che fare con la troppa severità con cui a volte tendiamo a giudicare noi stessi e il nostro meglio:
«Quando dai il 100% in qualcosa, come ho fatto io in questa build up, il rischio che corri è che qualcosa possa andare storto rispetto ai tuoi piani. Ma io ho comunque fatto tutto quello che potevo. Fino ad ora, chiaro: è ancora così presto, non voglio mettere ancora più enfasi. Sto facendo un’incredibile build, credevo di poter vincere con 7’23.
La vittoria sarebbe stata bella: non so cosa sento esattamente a livello emotivo. Credo solo sia un processo mentale interessante da analizzare»
Poco prima, riflettendo sulla gara aveva detto:
Il miglior scenario possibile per me oggi era fare 7’26 e vincere la gara. Penserete che sia folle reagire in questa maniera dopo un 7’23.
Quando guarderò ad oggi in retrospettiva, questa sarà una gara cruciale per la mia carriera. Tornare dalle Olimpiadi da campione, essere annunciato per la prima volta come medaglia d’oro, è una cosa che ti mette tanta pressione sulle spalle. Devo ancora bene interiorizzare questa cosa. Forse ci vuole una doppia medaglia olimpica [come Fisher] per battermi.
«Datemi una lepre per chiudere sotto i 12’50»
Ma il buon Cole Hocker può stare tranquillo. Nessuno mette in dubbio che abbia dato il suo 100% - ha pur sempre corso anche lui sotto il record del mondo - ma la condizione di Grant Fisher in questo periodo è difficile da battere più o meno per tutti, e su qualsiasi distanza.
Neanche sette giorni dopo i Millrose Games, Fisher si è spostato a nord di New Yokr, al BU Valentine Invite di Boston. Come il nome dà ad intendere, questo evento indoor si tiene la sera di San Valentino alla Boston University - anche se poi si spalma tra il 14 e il 15 febbraio. Grant Fisher si presenta ai blocchi di partenza della sua grande specialità, quella che gli è valsa un bronzo olimpico a Parigi: i 5,000 metri. Già dopo il record dei Millrose Games si sarebbe lasciato scappare la richiesta di un pacchetto di rabbit che potesse scortarlo a un passo per metterlo in scia del record indoor - il 12’49”60 di un brillantissimo Kenenisa Bekele nel 2004.
Così è stato. Al mark di metà gara, quando la seconda lepre lascia la pista, Fisher è pienamente in lizza per il primato: con lui c’è solo il francese Jimmy Gressier (che ai Millrose Games era arrivato terzo dietro a Hocker). Giro dopo giro il solco tra i due si scava, e Fisher si trova nella situazione opposta rispetto a quella della settimana prima: è un solo work. A circa sette giri dal traguardo cominciano i doppiaggi, materia discussa: perché negli ultimi giri, nel pieno di un record in costruzione, alcuni dei runner up stanno un pelo troppo larghi e costringono Fisher a un giro lungo. Fisher esce dal traffico con circa 44 secondi a disposizione per chiudere con un record, con un giro dalla fine. Gliene bastano 40, e con 12’44'“09 oblitera per circa cinque secondi il record di Bekele (che negli Stati Uniti ha l’età per guidare).
«Volevo questo record, ho trovato i pacer giusti per guadagnarlo. Gli ultimi giri la pista mi sembrava lunga 400 metri. Mi sono detto “se non scoppio ce la posso fare”: durante gli ultimi 600 metri ho creduto di vedere il firmamento. Ma all’ultimo giro ho capito che era mio, e ho spinto al massimo»
Nelle parole di Fisher a fine gara è bello notare anche la consapevolezza di essere diventato un atleta capace di gareggiare in una grande varietà di situazioni.
«Mi sarebbe piaciuto che oggi ci fossero stati competitor velocissimi, ma poi ognuno ha i suoi schedule e io nel mio planning delle gare ho visto questa opportunità. Sabato scorso [ai Millrose Games] è stata una battaglia. Oggi è stata una prova crono. Alla fine è bello per me provarle entrambe».
Yared Nuguse: American dream
Torniamo indietro nel tempo, e a sud sulle nostre mappe, ma sempre lungo la costa atlantica degli Stati Uniti. Siamo di nuovo ai Millrose Games di New York, nel pomeriggio dell’8 febbraio. Smaltita la sbornia del record di Grant Fisher e del suo scontro epico con Cole Hocker, i Millrose Games entrano nel vivo. Perché a differenza di quasi tutti i meeting di atletica del mondo, il momento topico di questo evento non è lo showdown degli sprinter - che si tratti di 60 o 100 metri a seconda del fatto che ci sia un tetto o meno sopra la testa dei partecipanti.
L’attesa dei Millrose Games si canalizza tutta attorno alla storica gara sul miglio: la Wannamaker Mile - nominata in onore di Rodman Wanamaker, l’uomo d’affari che nel 1908 creò il meeting. E già dal 1908 il miglio più famoso del mondo si corre in giro per New York: dopo gli inizi in un’armeria locale, nel 1914 la location è spostata niente meno che al Madison Square Garden, dove si gareggia fino al 2012, prima di essere spostata al The Armory (non la stessa armeria degli inizi) di Upper Manhattan, dove tutt’oggi si tengono i Millrose Games.
La gara maschile è stata vinta per la terza volta di seguito da Yared Nuguse, che ad oggi non sarebbe sbagliato considerare il miglior specialista dei 1,500 metri al Mondo. Nuguse è uscito dal 2024 con un bronzo olimpico al collo - dopo aver defenestrato il campione in carica Jakob Ingebrigtsen fuori dal podio olimpico - oltre che a varie vittorie di peso nella Diamond League (l’ultima e più tonante è quella di inizio settembre 2024, quando vince il rematch della finale olimpica con Ingebrigtsen-Kerr-Hocker). Nonostante ciò, Nuguse vive in uno strano limbo tra l’essere un corridore di culto e un underdog. A inizio anno, per esempio, World Athletics lo aveva escluso dal novero degli eletti a reclamare la corona dei 1,500 metri nel 2025.
Ecco, una cosa che mi sono sempre chiesto è: di questa roba, agli atleti gliene fregherà qualcosa? Nel caso di Yared Nuguse non lo so davvero, sono sincero. Magari sotto sotto gli dispiacerà pure, ma mi sembra un ragazzo troppo maturo per farsi abbindolare da certe polemiche. Yared Nuguse è un immigrato di seconda generazione, nato nel 1999 da genitori di origine etiope. Il padre Alem Nuguse, professore di matematica, arriva negli Stati Uniti nel periodo della presidenza Reagan, mentre nella regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia, è in atto la grande diaspora etiope: al ribaltamento del regno del Negus Selassie, incarcerato dai ribelli socialisti Derg (un gruppo paramilitare supportato dall’Unione Sovietica), segue l’istituzione di un piano di sviluppo decennale con l’obiettivo di modernizzare e lanciare l’Etiopia - ottenendo esattamente l’effetto opposto, con la conseguente fuga di tantissimi autoctoni. Classe 1999, all’inizio della high school dell’atletica gliene importava il giusto: il giovane Yared era interessato dalla prospettiva di studiare in una buona scuola per diventare un dentista. Poi, la storia è sempre la stessa: qualcuno lo nota mentre corre, per caso, e il coach della High School lo convince del fatto che competere ad alto livello può aprirgli diverse prospettive interessanti.
E in effetti il piano funziona: tanto che riesce ad entrare all’università di Notre Dame, in Indiana, dove però oltre alla carriera scolastica, anche la sua carriera sportiva decolla. Già per Tokyo 2020 aveva strappato il suo primo pass olimpico - che non viene emesso, perché mel 2021 Nuguse è fermo per un infortunio al quadricipite. Il 2024 è l’anno che cambia il suo destino e quello del mezzofondo statunitense agli occhi del Mondo. Prima vince un argento nei 3,000 metri indoor ai mondiali di Glasgow; poi, il bronzo olimpico nei 1,5000 metri lo proietta nell’élite del mezzofondo mondiale.
Ma fino a che punto? Fino a che punto l’immagine pulita di Yared Nuguse può competere con le staffilate dei Montecchi e Capuleti del mezzofondo, la fazione Ingebrigtsen e la fazione Kerr? Avrà la forza di mettersi di traverso come si è messo di traverso Cole Hocker a Parigi?
La risposta semplice è: sì. In parte perché ci è già riuscito l’anno scorso - che gli sia stato dato credito mediatico o meno non importa, il risultato parla per lui. In parte perché il suo anno è cominciato con l’iconica prova ai Millrose Games.
The goose is loose
Il miglio di Wanamaker 2025 parte nel chiaroscuro. In una lineup impacchettata di talento puro - insieme a Yared Nuguse e Hobbs Kessler ci sono giovani fenomeni come il prodigio australiano Cameron Myers e l’atleta NCAA Gary Martin - a far parlare alla vigilia è l’assenza pesantissima di Josh Kerr, fermato da un’influenza notturna. A proposito di questa assenza Nuguse si dice rattristato di non aver potuto sfidare il campione del Mondo, e che lo aspetta alla prossima gara.
Alla partenza Nuguse scatta subito davanti, appena dietro alle lepri Kessler gli si pianta dietro e non lo molla; Myers conduce gran parte della gara nel gruppo. La corsa di Yared Nuguse è meravigliosa, maestosa. Solo il kick finale gli contorce il volto, perché Kessler non lo molla, è quasi più vicino a lui di quanto Hocker non fosse vicino a Fisher sui 3,000 metri. Nuguse chiude in 3’46”63, che è record del Mondo indoor sul miglio. E un’altra volta ancora nel corso della giornata, con lui sotto il mark del precedente record ci finisce anche il runner-up Hobbs Kessler, capace di correre sotto i 3’47. Cominciano a rincorreresi sui social i post che riportano la caption The Goose is Loose (l’oca è sciolta, libera), riprendendo il soprannome di Yared Nuguse - The Goose, l’oca, che gioca sull’assonanza nella pronuncia. Dietro ai due è arrivato Cameron Myers con il nuovo record mondiale U20 sul miglio, nonché record australiano (3’47”48), mentre Gary Martin ha prodotto il secondo tempo collegiale di sempre (3’48”82); nel mentre sono caduti anche i record nazionali irlandese e francese.
A fine gara, riflettendo sulla propria prova, Nuguse torna sul suo record sul miglio: un obiettivo che, pur con la vittoria delle due precedenti edizioni della Wanamaker Mile gli era sfuggito. L’intervistatore gli chiede cosa sia cambiato questa volta:
«La confidenza che deriva dalla prova olimpica, la confidenza nell’allenamento. Sono passati due anni e mezzo da quando sono diventato professionista. Ho imparato tanto, non ho più paura di mettermi davanti al gruppo, né di andare a fare il lavoro sporco se ce n’è bisogno»
Chiaramente è arrivata anche la domanda su Hobbs Kessler: la risposta è stata diplomatica.
«Pensavo solo: “non mollare, continua a spingere”. Sapevo che se avessi mollato mi avrebbero passato»
Il distruttore di sogni: la piovra Jakob
L’ultima domanda dell’intervista post gara a Yared Nuguse su cui mi vorrei focalizzare è quella in cui l’intervistatore fa notare al neo detentore del record mondiale quanto stiano diventando forti sul mezzo fondo gli Stati Uniti.
«Non ho visto la gara di Cole e Grant, ma ho sentito quanto siano andati forte. È fantastico. È semplicemente fantastico che gli americani stiano riuscendo ad andare così forte. [Cole Hocker e Grant Fisher] sono le persone a cui so di essere simile. È bello vederli qui a Millrose e fare così bene»
Il povero Nuguse, così fiero del team USA (come dargli torto) e così contento di essersi conquistato il record sul miglio, non sapeva che la paternità del primato sarebbe durata appena cinque giorni. Al meeting indoor di Liévin, nel nord della Francia, si presenta Jakob Ingebrigtsen all’esordio stagionale; e in effetti, a ben pensarci era un po’ di tempo che non si sentiva parlare di Ingebrigtsen.
La condizione di Jakob è spaventosa. La gara in sé non ha troppo senso di essere commentata, perché Inegbrigtsen si invola da subito con i suoi pacers, senza lasciare a nessuno alcuno spazio per rientrare. Il distacco si accumula sullo schermo, mentre Ingebrigtsen azzanna brandelli di pista, metro dopo metro. Le lepri seguono la precisa indicazione di fare il passo per il record del mondo. Il ritmo folle di Nuguse è presente sotto forma di scia luminosa di colore verde che corre a lato della pista.
Ingebrigtsen anticipa i led verdi durante gran parte della gara; è, piuttosto, attratto dalla luce blu che le precede, che dovrebbe aiutare i pacer a tenere il ritmo corretto per scortare il record. All’ultimo giro migliora il già proprio record mondiale sui 1,500 metri indoor, correndo en-route in 3’29”61 (confermerà poi, durante l’intervista post gara, che il suo obiettivo primario era proprio quello di ottenere un ottimo split sui 1,500, idealmente sotto i 3’30”); poi si mette davanti alla luce blu - che segnala, lo ricordiamo, non il passo utile per il record, ma quello utile per le lepri - e si prende il record mondiale sul miglio in 3’45”15, ricamando la bellezza di un secondo e mezzo al precedente di cinque giorni prima di Nuguse.
All’arrivo, si scrolla dalle spalle qualcosa: volendo guardare al gesto senza malizia potrebbe essere molto semplicemente la ruggine dell’allenamento. Ingebrigtsen ricorda spesso che il suo Norwegian training method è un protocollo utilissimo e funzionale su di lui (e direi), ma che offre poche chance di testarsi davvero durante la fase di costruzione. Già quando aveva distrutto il record dei 3,000 metri outdoor, lo scorso agosto alla Diamond League della Silesia, aveva spiegato che la gara è praticamente l’unico vero banco di prova della sua condizione, e che gareggiare al massimo è il suo unico modo per fare un assessment della sua fitness.
A essere maliziosi, però, il gesto potrebbe dirci qualcosa di più. Che la polvere sulle spalle siano le parole che Josh Kerr gli ha riservato lo scorso mese, quando lo ha attaccato definendolo incapace di correre qualsiasi scontro senza pacer? Ingebrigtsen, in risposta, era stato laconico:
«Il giorno in cui Kerr contribuirà alla rincorsa di qualche record del Mondo, lo prenderò seriamente. Ma solo quel giorno».
Dopo il 2024 non brillantissimo di Ingebrigtsen sui 1,500 metri (e solo su quella distanza), la palla è di nuovo al centro: ma non di una sfida a due, quanto piuttosto di una Royal Rumble, che si estende dai 1,500 ai 5,000 metri, su tutto lo spettro delle discipline del mezzo fondo. L’ultima settimana di gare e record ha dimostrato che ridurre lo scenario del mezzofondo mondiale alle scaramucce da tabloid tra Ingebrigtsen e Kerr è un appiattimento di cui lo sport tutto sommato non ha bisogno. Gli atleti in campo hanno la forza di reagire con la maginificenza dei loro scontri e delle loro prove alle etichette che noi per amore di narrazione epica tendiamo a costruire per presentare il nostro sport a pubblici nuovi.
Sia chiaro, l’epica dello scontro a due, della divergenza di pensiero tra Ingebrigtsen inseguitore di record e Kerr lottatore senza quartiere è utile per avvicinare nuovi appassionati attraverso un sistema binario in cui l’associazione è facile: ma all’interno di un sistema maturo non è che un primo passaggio, più giornalistico che altro. Sarà nostro compito affrancarci, man mano, da questo sistema binario “introduttivo”: con l’abbondanza del talento che i vari Fisher, Nuguse, Myers, Hocker, Ingebrigtsen, Martin, Kessler e Kerr mettono a nostra disposizione la sfida non sembra poi neanche così difficile.
Segnalazioni
Voglio chiudere la puntata facendo una segnalazione. Le newsletter sportive belle su Substack sono tante, e parlano principalmente di calcio. Se c’è una newsletter non-calcistica che leggo sempre con molto piacere è
. Abel ha deciso di portare una bellissima mission: raccontare gli sport minori, e quindi, praticamente per esteso, gli sport senza palla.Sia le storie che i recap di Abel sono sempre interssanti, e Oltre il podio è un bellissimo modo per rimanere connessi su tante notizie da tanti sport di nicchia - compresa l’atletica. Per questo iscrivetevi!
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Onorato ❤️
Ecco, ho visto la “gara” di Lievin su Eurosport (quelle americane non si vedono facilmente). Chiamarla gara non è esatto: era semplicemente un tentativo di record del mondo, ovviamente riuscito, disseminato di lepri e lampadine varie, ma no, non era una gara. Ora, da quanto scrivi posso sperare che, se gli atleti più forti venissero schierati in un solo evento, forse vedremmo una competizione vera, ma sino a quando ognuno di costoro (particolarmente il norvegese) cercherà semplicemente il tempo, non ci godremo uno spettacolo agonistico decente.