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Non sono un runner (ohimè mi annoia correre; uso la corsa quando non ho i pesi a portata, o quando la via del ritorno in montagna è troppo lunga e "la mollo giù"). Leggo con curiosità il tema (cose tipo Goggins, a proposito di pain cave e simili), e come ghostwriter mi è capitato di scrivere le memorie di un maratoneta diventato triatleta e infine IronMan.

L'anno scorso ho fatto il mio primo vertical; senza allenamento specifico, "solo" con i miei 100k annui di dislivello camminati, e nel momento di picco di forma (ahah).

Allora, non conosco l'intelligenza del runner: nel vertical ho tirato come un pazzo nei primi 50 metri anche se mi avevano detto di non farlo assolutamente, ho sofferto, poi ho ignorato delle cose, mi sono divertito, ho tallonato dei "vecchi esperti del settore" e ho fatto infine un tempo discreto.

Però anche solo durante quei 34 minuti pazzi, mi sono reso conto di una potenzialità che la corsa "in argine, in pianura, con la musica nelle orecchie e nessun particolar obiettivo" mi ha sempre nascosto: la possibilità di "spacchettare" l'intelligenza in elementi finiti, interconnessi ma analizzabili e intervenibili in isolazione, e pure in emergenza: ad esempio le sensazioni dei talloni (mio punto debole, neanche a farlo apposta), la gestione cosciente del fiato, i pensieri da gestire per distrarsi dal fiatone, la lettura del terreno in piccolo, quella dell'ambiente in grande, il rapporto con la quota in aumento, con la temperatura, con la vicinanza dei talloni altrui, l'interpretazione del passo degli altri per prevedere ostacoli e passi migliori.

Interessantissima possibilità.

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