Siamo runner intelligenti? Parte 2
Secondo episodio della mia ricerca sul tema del rapporto tra corsa e intelligenza: cosa fa di un podista un runner intelligente?
Buongiorno e buona domenica!
Come al solito, vi ricordo che su Spotify e combriccola trovate il mio podcast Storie di Corsa: sono disponibili le prime quattro puntate. Alcune esigenze molto pratiche mi hanno costretto a rivedere parzialmente la frequenza di pubblicazione: per costruire puntate dense, significative e (spero) interessanti, ho dovuto rimodulare la frequenza di pubblicazione.
Qui, come sempre, l’ultimo episodio. PS. Ci tengo a ringraziare di cuore chiunque si sia preso un momento per ascoltare Storie di Corsa e per darmi il proprio feedback.
Nella puntata precedente…
Domenica scorsa su A cosa penso quando corro? ho introdotto uno dei temi più complessi e allo stesso tempo inestricabilmente soggettivi di cui abbia mai parlato in questo appuntamento. Dopo una serie di uscite in cui ho universalizzato la corsa spalmandola come marmellata sopra fette larghissime di pane amaro, il running è tornato al centro dell’obbiettivo.
Ho cercato di mettere a fuoco un tratto della corsa che avevo sempre dato per scontato, a partire da una domanda che mi sono fatto guardando altri sport e altre discipline sportive. Mi sono chiesto: cosa fa di un podista un runner intelligente? Quali sono le caratteristiche di un podista intelligente, relativamente al running?
La domanda è sorta appurando la presenza di quella che senza mezzi termini viene definita intelligenza appioppata ai singoli quando si parla di una vastissima gamma di sport.
Raramente - o comunque più raramente - su sport di fatica come il running (ma lo stesso potremmo dire, ad esempio, del nuoto) si sente parlare dei grandi sportivi come di figure più intelligenti della media degli altri sportivi che praticano lo stesso sport, relativamente allo specifico sport. Inizialmente, ho provato a spiegarmi il tutto con un fattore di complessità dei regolamenti e degli obiettivi: la complessità dei regolamenti e l’astrazione degli obiettivi è direttamente proporzionale all’intelligenza richiesta per giocare a uno sport - teorema discutibilissimo, che necessiterebbe di alcune revisioni profonde e sostanziali, ma seguitemi: siamo tutti d’accordo con l’idea che fare gol (senza essere in fuorigioco) o fare canestro (senza fare passi) siano obiettivi più astratti e arbitrari che non andare da A a B di corsa nel minor tempo possibile, giusto? E difatti quante più volte sentiamo elogiare l’intelligenza di un calciatore in campo rispetto a quella di un podista in gara?
Poi sono passato a una storia della corsa di resistenza come forma di adattamento - dove l’adattamento è una forma di intelligenza - nello sviluppo delle caratteristiche che hanno portato allo sviluppo e alla compiutezza dell’essere umano nell’antropocene.
Infine, sulla scorta di quanto proposto da una delle fonti del mio tractatus, ho rielaborato la mia idea di quali siano i tratti caratterizzanti del corridore intelligente.
Trovate tutto nella puntata uno di questa doppia uscita.
La parola agli altri
Siccome un tema così complesso e soggettivo non può dipendere dall’idea che un singolo si è fatto sul proprio percorso particolare e unico, ho pensato di porre la stessa domanda ad altri runner di vari livelli, con vari retroterra sportivi e storie personali. Ringrazio tutte e tutti questi atleti e appassionati per l’interesse, l’entusiasmo, il tempo che si sono presi per elaborare la loro personale risposta alla domanda.
Qui trovate le loro risposte, senza un ordine preciso.
Prima di cominciare, una precisazione e una richiesta: il tema resta e resterà sempre aperto. Se hai una tua risposta alla domanda lascia un commento o rispondimi via mail per parlarne, mi piacerebbe raccogliere ancora più opinioni e magari nel futuro costruire una puntata ancora più densa. E ricorda: non c’è bisogno di essere un maratoneta, un ultrarunner o un professionista per dare la tua risposta sul tema
Lorenzo Lotti
Runner ormai leggendario per il suo primato italiano sui 100 chilometri e per i suoi Guinness World Record, maratoneta da 2 ore 30 minuti, allenatore di una sconfinata gamma di atleti con ogni sorta di obiettivo - dagli amatori alle prime armi ai navigati pirati degli asfalti e degli acciottolati di mezzo mondo - Lorenzo mi ha dato la risposta più tecnica, se vogliamo sport-specifica dell’intero pacchetto.
L’intelligenza nella corsa su lunga distanza la si dimostra nella gestione di gare e allenamenti. È una questione di strategia e di gestione.
Forse il singolo maggiore esempio di intelligenza nella corsa è il negative split (con negative split si intende una seconda metà di gara corsa più veloce della prima): che richiede una gestione della gara impeccabile, una partenza con il freno a mano tirato, una parte centrale in cui si prende velocità e un finale da correre in maniera più veloce della prima parte. È qualcosa su cui ancora oggi tanti professionisti e amatori si perdono: presi dal contesto della partenza, e dal ritmo forsennato degli altri, si dimenticano della loro prova e partono a mille.
O peggio ancora: si convincono che la brillantezza dell’inizio gli possa far prendere secondi preziosi per il proprio personale. Cosa falsa, perché l’alta velocità in partenza si paga sempre nella seconda parte, specie su gare lunghe.
L’esempio più lampante di intelligenza unita a talento nella gestione di una gara è stato il povero Kelvin Kiptum: in maratona correva sempre tempi monstre (tre gare, tre performance sotto le 2 ore e i due minuti), e lo faceva sempre in negative split. Kiptum avrebbe avuto al 100% i mezzi atletici per correre prime metà ai limiti del record mondiale in mezza maratona, rischiando poi molto sulla tenuta nella seconda parte di gara. Non lo faceva: perché oltre a mezzi atletici fuori dal comune poteva contare su una pianificazione eccellente delle proprie performance e, soprattutto, sull’intelligenza di attenersi al canovaccio che si era prefissato. E per questo era sempre in grado di finire fortissimo, migliorando di volta in volta i propri tempi.
Tommaso Meneghin
Bollare
come runner, o anche come ultrarunner, sarebbe un torto alla sua poliedrica natura creativa, che spazia da YouTube, al podcasting, passando per una newsletter - la , che esce tutti i lunedì mattina, pronta pronta per il caffè.Quando ho posto la domanda a Tommaso, che tra le sue tante imprese podistiche è finito sotto i riflettori soprattutto per la 100 Thanks Miles - per il nostro caro sistema metrico decimale 160 chilometri, dettagliatamente raccontata in questo video -, lui non ha esitato neanche un secondo a svicolare dagli aspetti strategici per andare a parare sulla gestione dell’aspetto mentale.
L’aspetto mentale fa un atleta più intelligente, più bravo di un altro. Quando corri le ultradistanze l’aspetto mentale è estremamente più presente rispetto ad altri tipi di sforzi: quando le distanze si dilatano e vedere la fine è più difficile, e la fatica ti mangia, è importante saper ritrovare la motivazione e la concentrazione.
Courtney Dauwalter (una delle atlete di ultrarunning più importanti nel panorama mondiale) parla proprio di una pain cave, una caverna del dolore in cui entra, accetta il dolore e lo trasforma in motivazione.
Ilasake - Ilaria Delbono
Ilaria sta documentando la sua passione per la corsa su YouTube e sui social (compreso un percorso da zero a maratona, e più recentemente un percorso da zero a testimonial Asics), e lo sta facendo in maniera sana. Là dove il discorso attorno alla corsa sta diventando a tratti stucchevole - al limite del demenziale a volte (prima o poi ci faccio una puntata) - Ilaria racconta la sua passione prendendola con tutta la serietà possibile pur senza sacrificare la normalità di un linguaggio semplice e accessibile. Qui trovate il suo canale, che merita più di una visita (e anche l’iscrizione).
La sua risposta alla domanda passa dalla strategia per poi andare a toccare una serie di aspetti pratici a cui non avevo pensato.
Un runner intelligente è un runner strategico: quello che non tira in allenamento anche se è appena stato superato, quello che non esagera col passo a inizio gara ma si trova un gruppetto che lo traini, quello che sta attento all'alimentazione, allo stretching, all'idratazione.
Per riassumere un runner intelligente è un runner diligente, ma sappiamo tutti che ogni runner diligente per essere intelligente deve dare anche spazio alle richieste del cuore: quindi sì, mo accelero e lo supero!
Leonardo Urbani
Leonardo è un creator che seguo e stimo per la qualità dei contenuti proposti, per la chiarezza della sua esposizione, per i format creativi con cui ci ha portato nelle sue sfide personali. E, per i fini di questa puntata, un runner che dopo aver corso la sua prima maratona ha concluso un IronMan, e ora sta preparando la sua prima maratona sub 3 hours - tutto documentato sul suo canale YouTube.
La sua visione dell’intelligenza nel running è un’ode alla corsa in tutti i suoi volti: fisico, mentale, strategico, tecnico, emozionale. Ve la faccio leggere tutta.
La corsa non è solo correre: ma molto di più. Si può correre per svago, per meditare, per ricaricarsi…oppure si può correre a livello agonistico, per cercare la performance. In tal senso, quello che fa di un runner un runner intelligente è il suo approccio emotivo alla corsa, che necessita di diversi ingredienti:
Umiltà nel ricercare e seguire gli insegnamenti di chi è più esperto.
Disciplina per rispettare le tabelle di marcia, anche nei giorni no.
Sensibilità per capire quando fermarsi, e quando spingere.
Pazienza per i miglioramenti e nella gestione degli infortuni. E soprattutto un grande cuore… Perché la corsa è anche questo: quando il corpo non ce la fa più diventa una questione di cuore!
Sara Mostaccio
Sara ormai è una presenza fissa su A cosa penso quando corro? I percorsi di questa newsletter e della sua
- il racconto settimanale dell’avvicinamento alla sua prima maratona, quella di Atene a novembre.La sua opinione non poteva mancare in questa puntata costruita dagli ospiti. Ed è un’opinione interessantissima, in cui la dimensione di intelligenza legata al running fonde i piani fisico e mentale come poche altre risposte hanno fatto.
Nella mia esperienza quello che fa la differenza è la capacità di ascolto, che include tanto la propriocezione quanto l'autopercezione, coinvolgendo quindi il livello fisico e quello mentale.
Ascoltare con attenzione sempre vigile i segnali del corpo e della mente e trovare l'equilibrio che permette di arrivare a destinazione dando valore all'intero percorso, distinguendo e ricalibrando in ogni momento le richieste del corpo e le possibili trappole della mente o, al contrario, capire fino a che limite spingere il fisico contando sul puntello potentissimo della testa.
In questa ricerca costante di equilibrio e nella capacità di dare risposte differenti in ogni fase della corsa secondo me sta l'intelligenza del runner, anche (o soprattutto) quando questo impone una rivalutazione radicale della strategia.
Introspective Runners
Il solito, vulcanico Tommaso Meneghin è fondatore di un bel progetto di nome Introspective Running. La tagline - chiamiamola così - del progetto è:
La corsa è molto più di uno sport. È un’occasione per guardarsi dentro. È un’occasione per evolvere.
Il progetto mira ad aumentare la consapevolezza attorno al tema della salute mentale (soprattutto maschile) attraverso lo sport.
Ho posto la stessa domanda sul gruppo Telegram degli Introspective Running Runs, dove c’è un costante flusso di idee, di richiesta di consigli, di opinioni attorno a corsa, trailrunning, gare, consigli. Un ambiente sano, un ambiente bello.
Riporto qui alcune delle risposte delle tante e tanti che mi hanno risposto.
Come Tommaso, anche Filippo è partito da Courtney Dauwalter e «la sua capacità di vivere i momenti di difficoltà e non di scappare da essi. Secondo me quello è uno degli aspetti più importanti»:
Un altro aspetto secondo me fondamentale è la capacità di ascoltare il proprio corpo per sapere comunque quando fermarsi, riposare o capire quando abbiamo messo L’asticella un po’ troppo alta. Non vuol dire arrendersi, ma essere consapevoli di se stessi.
Lorenzo, invece, porta il discorso su un piano differente - molto interessante: unisce la corsa a una dimensione di quotidianità, senza dimenticare il pragmatismo con cui guardare agli obiettivi.
Un runner intelligente è colui che trae il meglio dalla attività di corsa. Stessa cosa in tutti gli altri ambiti.
Penso si ponga degli obiettivi che siano ambizioni; che siano abbastanza impegnativi e allo stesso tempo realistici. Aggiungo che secondo me deve anche raggiungerli prima o dopo. Se non dovesse raggiungerne alcuni, allora li dovrebbe trasformare.
Anche Raoul ha una visione estesa dell’intelligenza sulla corsa:
Un runner intelligente è chi riesce a sintetizzare e fare sue tutte le esperienze vissute in ogni singola corsa, gara, trail e portarle alla consapevolezza di sé, di crescita interiore ma non solo quelle di forza mentale ma anche "di pancia" emotiva spesso il mio ago della bilancia, se riesco a incanalarla nel modo giusto e non farle prendere il sopravvento allora è tutto più facile.
Poi ognuno con le sue doti innate riesce a fruttare di più quella mentale, emotiva o fisica.
Leonardo ha ripreso temi che sono emersi da altre risposte, approfondendo ulteriormente con un taglio specifico sulle ultradistanze - citando figure impareggiabili del panorama internazionale:
Credo che l’intelligenza sia il saper conoscersi e gestire ogni situazione.
Sulle lunghe distanze, i momenti di crisi arrivano e tende a vincere chi ha la testa dura e riesce a tenere botta (con crisi parlo di cose gestibili come demotivazione, fame, vedersi sorpassare da altri, freddo/caldo etc), purtroppo sono situazioni poco allenabili al contrario del fisico - motivo per cui odio e amo sto sport.
A proposito, nominerei anche Jim Walmsley che ha imparato a sue spese che partire forte non serve a niente e saper gestire una gara è fondamentale per arrivare bene al traguardo («in the last hours of the race - durante la crisi che ha avuto ad UTMB 22 - I did a year worth of thinking (…) that’s what I needed to grow as ultra athlete» cit. dal documentario di wahoo su di lui su YouTube) o il nostro Puppi nazionale (Francesco Puppi) quando racconta quanto si affidi alla testa negli ultimi km per spingere.
Sulle corte distanze penso valga lo stesso: è un attimo spingere troppo e finirsi perché si è davanti o demotivarsi perché non si sta performando secondo le aspettative.
Luca si rifà all’idea di un’intelligenza molteplice e sfaccettata, spalmata sull’intero processo della corsa - anche nel tempo, introducendo la nozione di un’esperienza inestricabile dall’intelligenza.
Credo che l’intelligenza si possa allenare con l’esperienza.
A differenza di altri sport credo che per essere intelligenti nella corsa ci voglia molta esperienza. Non fraintendermi: c’è chi matura esperienza in pochi anni ,chi non maturerà mai. Non credo però che si possa valutare l’intelligenza/esperienza di un runner solo in una performance, bensì in tutto il processo dal riscaldamento all’allenamento al saper fermarsi o rallentare o a non infortunarsi e per finire alla gara.
Quindi ci sono tante intelligenze da allenare con l’esperienza.
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Non sono un runner (ohimè mi annoia correre; uso la corsa quando non ho i pesi a portata, o quando la via del ritorno in montagna è troppo lunga e "la mollo giù"). Leggo con curiosità il tema (cose tipo Goggins, a proposito di pain cave e simili), e come ghostwriter mi è capitato di scrivere le memorie di un maratoneta diventato triatleta e infine IronMan.
L'anno scorso ho fatto il mio primo vertical; senza allenamento specifico, "solo" con i miei 100k annui di dislivello camminati, e nel momento di picco di forma (ahah).
Allora, non conosco l'intelligenza del runner: nel vertical ho tirato come un pazzo nei primi 50 metri anche se mi avevano detto di non farlo assolutamente, ho sofferto, poi ho ignorato delle cose, mi sono divertito, ho tallonato dei "vecchi esperti del settore" e ho fatto infine un tempo discreto.
Però anche solo durante quei 34 minuti pazzi, mi sono reso conto di una potenzialità che la corsa "in argine, in pianura, con la musica nelle orecchie e nessun particolar obiettivo" mi ha sempre nascosto: la possibilità di "spacchettare" l'intelligenza in elementi finiti, interconnessi ma analizzabili e intervenibili in isolazione, e pure in emergenza: ad esempio le sensazioni dei talloni (mio punto debole, neanche a farlo apposta), la gestione cosciente del fiato, i pensieri da gestire per distrarsi dal fiatone, la lettura del terreno in piccolo, quella dell'ambiente in grande, il rapporto con la quota in aumento, con la temperatura, con la vicinanza dei talloni altrui, l'interpretazione del passo degli altri per prevedere ostacoli e passi migliori.
Interessantissima possibilità.