L'uomo che ha attraversato l'Africa di corsa
🌍🏃🏻♂️ L'impresa di Russell Cook ci offre alcuni spunti su come lo sport può essere raccontato efficacemente a un pubblico sempre più esigente
Ciao! Prima di immergerci nel racconto di oggi, alcune rituali informazioni di servizio.
Innanzitutto, è uscita la seconda puntata di Storie di Corsa, il podcast di A cosa penso quando corro? La storia che raccontiamo è quella della maratona olimpica di Atene 2004 dell’ultimo oro dell’Italia nella maratona a cinque cerchi: Stefano Baldini.
Impossibile scindere il racconto della maratona di Atene 2004 da quello dell’atleta brasiliano Vanderlei De Lima e del prete irlandese Cornelius Horan, conosciuto come The Grand Prix Priest per la sua rocambolesca invasione di pista durante il gran premio di Formula 1 di Silverstone 2003.
Ma vi ho anticipato anche troppo: qui trovate il link alla puntata!
Altro annuncio: A cosa penso quando corro? finalmente ha una pagina Instagram ufficiale!
Ecco il link: @acosapensoquandocorro
Qui pubblicherò aggiornamenti sull’uscita degli episodi sia della newsletter che di Storie di Corsa, oltre che link ai contenuti interessanti che vedo durante la settimana. Per cui seguitela!
Russell Cook: l’uomo che ha attraversato l’Africa di corsa
In questa puntata
Cosa c’entra Forrest Gump?
Highlights dell’impresa di Russell Cook
Come si raccontano le grandi imprese oggi?
Conclusioni: un pubblico sempre più esigente
Letture interessanti e fonti
Cosa c’entra Forrest Gump?
Se c’è una cosa che comincia a provocarmi un certo fastidio sono i media mainstream che parlano di corsa, specie quella che mi piace commentare e praticare. Quella che per sua stessa natura è più misteriosa e inaccessibile, non tanto per snobismo, quanto per sue caratteristiche intrinseche: la corsa su lunghe distanze.
Sì, lo so, è sbagliato. Mi sembra di vivere un revival dei miei sedici anni, quando impazzivo se quei debosciati del TG1 osavano parlare dei centomila che infiammavano il concerto rock di Vasco Rossi.
Parliamoci chiaro: a chiunque sia minimamente esperto di qualcosa ascoltare, guardare o leggere le ubersemplificazioni radiofoniche, televisive, cartacee dei mass media di massa (proprio loro, i grandi nemici delle battaglie di gioventù) provoca sensazioni contrastanti. Da un lato, sei felice, perché quel piccolo angolo di paradiso personale volgarmente chiamato hobby, bistrattato e incompreso da chiunque ti sia intorno, finalmente riceve la luce di un raggio di sole: nella tua testa, ora che il servizio del TG1 ha raggiunto i 4 milioni di italiani raccolti nel religioso silenzio interrotto dai grugniti tipici della mensa, ti senti meno solo. Dall’altro, sei abbattuto e sconfortato. Perché i media di massa per loro stessa natura mangiano, masticano, digeriscono e, tutti sapete cosa succede alla fine, voilà, ecco le vostre notizie, semplificate al punto da essere deformi, scollate dalla realtà. Non sempre con effetti positivi. Ovviamente questo non succede sempre, ma comunque un numero sufficiente di volte.
Ora, un titolo come Russ Cook attraversa l'Africa come Forrest Gump è un peccato veniale nella scala gerarchica degli affronti che si possono fare allo sport che ci piace.
Perché è vero: Russ Cook ha attraversato l’Africa, da Sud a Nord. Della sua impresa parleremo tra poco.
A cercare il pelo nell’uovo - e credetemi, mi sento estremamente pedante nel proporvi queste righe - tutti o quasi tutti sappiamo che Forrest Gump non ha mai attraversato l’Africa da capo a capo - come se Italia1 non trasmettesse ogni anno Forrest Gump in una delle serate family friendly tra Natale e Capodanno. Sì, lo so: si tratta di imprese similari, paragonabili: entrambi, Cook e Gump, sono andati da costa a costa attraversando pur diversi continenti egualmente sterminati.
Credo faccia un grande piacere agli Ultrarunner essere paragonati dai giornalisti a Forrest Gump - farà sicuramente piacere a Russell Cook, definito dal giornalista in questione, in vena di complimenti, come «magrissimo», con un cappello da pescatore (Bubba-Gump reference) e la barba che sembra «un rampicante». In pratica un misto tra Forrest Gump, Trevor Reznik de L’uomo senza sonno e Barbalbero del Signore degli Anelli.
Gli highlights dell’impresa di Cook
In effetti, sotto sotto no, non credo che a Russell Cook possa fregare più di tanto degli epiteti appioppatigli dalla stampa italiana.
Oltre ai dati somatici forniti in precedenza, l’identikit di Cook è 27 anni; britannico; soprannominato The Hardest Geezer (il tipo più tosto).
Per compiere l’attraversamento longitudinale dell’Africa gli ci sono voluti 352 giorni e oltre 16,000 chilometri, per un totale di circa 376 maratone. Poco meno di un anno fa, il 22 aprile 2024, Russell Cook è partito dal punto più meridionale dell’Africa continentale, Cape Agulhas, a sud-est di Città del Capo, Sudafrica. Ha attraversato sedici Stati africani, per giungere il 7 aprile 2024 a Ras Angela, Tunisia, estremo settentrionale del continente.
Una strada tortuosa
Il percorso di Russell Cook e del suo team non è stato il più veloce in linea d’aria. Se avessero voluto prendere la strada più corta, innanzitutto avrebbero dovuto traversare il deserto del Sahara nel suo punto centrale: un’impresa troppo tassante anche per il tipo più tosto.
Non che di giornate del deserto non ce ne siano state: Cook ha attraversato prima il deserto di Namibia, poi una porzione del deserto del Sahara, in particolare tra Mauritania e Algeria. Un classico dei video che lo ritraggono nel deserto sono gli occhialini da nuoto di tutte le fogge che ha indossato durante le fasi di attraversamento, per proteggersi dalle tempeste di sabbia.
Anche le giornate in mezzo alla natura rigogliosa, come quella delle foreste tropicali di Congo, Camerun e Nigeria non sono mancate.
Barriere fisiche a parte, l’organizzazione dell’impresa ha richiesto una meticolosa pianificazione logistica (Cook ha fatto trasportare via nave dall’Inghilterra un van e tutte le provviste necessarie per lui e la crew che lo avrebbe seguito), una preparazione dei documenti per l’attraversamento delle frontiere, oltre che un’attenzione particolare a ponderare il passaggio da regioni dell’Africa Sub sahariana dall’elevata instabilità geopolitica. Su tutte, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana.
Il tracciato che Cook ha seguito gli ha permesso, ad esempio, di attraversare una lingua di terra molto esigua nel territorio dell’instabile Repubblica Democratica del Congo. Per una breve pillola geopolitica sull’instabilità della zona - la Cina, tra gli altri, nutre ricchi interessi a tutta l’area atlantica dell’Africa per la ricchezza di materie prime - rimando alla puntata che
di Mappe ha dedicato al Congo, e a quella che ha dedicato alla Repubblica Centrafricana.Nonostante tutte le dovute attenzioni, l’impresa non è stata priva di rischi per l’incolumità di Cook e dei suoi compagni. Mettiamoci rapine e rapimenti, incontri ravvicinati con i pirati e con animali selvatici; ma anche gravi problemi di salute, intossicazioni alimentari, debilitazione per la stanchezza e la disidratazione - in Nigeria, visitato da un medico locale, Cook si è fatto convincere a ridurre il chilometraggio giornaliero. Mettiamoci anche qualche incidente diplomatico sfiorato al confine con l’Algeria - tutto risolto per il meglio grazie alla mediazione della diplomazia britannica.
Nonostante le difficoltà e i pericoli, Russell Cook e la sua crew si sono detti grati per l’ospitalità delle persone incontrate durante tutto il percorso, a partire dai luoghi più pericolosi. Parole al miele, ad esempio, sono riservate all’Angola, nonostante nel paese si sia verificata la rapina con tanto di pistole puntate.
Come si raccontano le grandi imprese oggi?
Arrivati a questo punto sorge spontanea una domanda: perché? Per rispondere Russell stesso si cimenta nel più classico dei
«Se ce l’ho fatta io, chiunque può raggiungere l’obiettivo che si è prefissato, anche se per il 99% delle persone non sarà attraversare l’Africa correndo».
Ma per arrivare a convincerci di questo assunto The Hardest Geezer aveva proprio bisogno di fare quello che ha fatto? Non bastava fermarsi a qualcosa di più semplice?
Oltre al gusto per la sfida impossibile ed esotica dell'attraversamento dell’Africa, il continente forse più difficile da percorrere per questioni fisiche e politiche, la missione è servita a raccogliere denaro per una buona causa. Russell Cook è riuscito a racimolare più di 800 mila sterline da devolvere a un’associazione che si occupa di running e salute mentale per giovani in condizioni disagiate.
La creazione e cementazione di una fanbase che potesse foraggiare la raccolta fondi è passata da un puntuale lavoro di content creation attorno al proprio viaggio, avvenuto su diverse piattaforme social. Chiaro: non si tratta solo di raccogliere denaro. Un’esperienza del genere chiama la necessità di una documentazione precisa e di alto livello - anche perché non tutti i giorni si trovano esseri umani disposti a fare quello che hanno fatto The Hardest Geezer e il suo team.
Cook e la sua crew hanno documentato il viaggio nella sua interezza con una fitta serie di Vlog, seguitissimi in tutto il mondo, non solo in Gran Bretagna - dove la sfida ha goduto del beneficio di una copertura mediatica di favore anche da parte dei media tradizionali.
L’utilizzo del Vlog come mezzo per documentare queste sfide è un tema interessante.
Se dovessi analizzare queste sfide da appassionato di sport e da appassionato di come lo sport viene raccontato, credo che ci siano una serie di motivi che le rendono estremamente affascinanti, escludendo il fatto che si tratta pur sempre di imprese così mastodontiche che non possono passare inosservate.
In un’infosfera fatta di prodotti replicabili e facilmente scopiazzabili, queste imprese non sono estemporanei tormentoni virali: la traversata dell’Africa di corsa, da sud a nord, non è simulabile dal primo che si metta in testa di volerci provare - figuriamoci, nonostante molti ci provino, non è possibile nemmeno correre una maratona senza allenarsi.
Chi si cimenta in queste imprese non è un improvvisato: due passeggiate in montagna non rendono nessuno pronto al K2. Ci vogliono anni, se non decenni di preparazione per questo tipo di sfida. Cook, ad esempio, era già un affermato ultrarunner - per dirne una: a 22 ha corso da Istanbul a Londra.
Gli sportivi (e i brand che li supportano) hanno trovato nei mezzi di divulgazione che la rete ha messo a disposizione una cassa di risonanza molto interessante per il racconto di sé e delle proprie imprese, a bassissimo prezzo e senza praticamente nessuna barriera in entrata.
Pur raccontando storie particolari di umani incredibili nella loro unicità, il Vlog non necessità di budget stellari, né di case di grandi case di produzione; per la verità, una versione primitiva del blog non necessiterebbe nemmeno di chissà quali doti di editing video.
La possibilità di appoggiarsi a YouTube toglie i creator dalle logiche dei palinsesti televisivi, dando a ognuno la possibilità di creare prodotti personalizzabili sotto praticamente qualsiasi aspetto, a partire dalla frequenza di pubblicazione.
Antesignano in queste sfide al limite delle capacità umane è sempre un britannico, Ross Edgley. Nel 2017 ha avuto la brillante idea di circumnavigare a nuoto il Regno Unito, e della sua impresa è rimasto un bel documentario in stile vlog, a puntate, sponsorizzato da RedBull.
Il numero di sportivi che mostrano il procedere del loro percorso attraverso il Vlog si è moltiplicato, e con il tempo la qualità dei contenuti ha raggiunto livelli estremi, cinematografici. Per fare qualche esempio tra i miei preferiti legati alla corsa, ci sono i vlog di Eric Floberg in preparazione alla maratona di Boston (che si corre domani), o quelli di Nick Bare in preparazione alle sue maratone, ultramaratone e IronMan.
Alcune formule per il successo, ovviamente, si fissano e quella che una volta era arte si fa maniera - anche seguendo precetti scientifici: è il caso delle thumbnail, le copertine dei video di YouTube, che devono rispondere a specifici requisiti per funzionare, come
analizza nell’ultima puntata.Conclusioni: un pubblico sempre più intelligente
La comunicazione dello sport attraverso il Vlog, quando portata avanti in maniera intelligente - e cioè senza mentire allo spettatore - fornisce al pubblico così tante informazioni specifiche, puntuali, interessanti rispetto a quello che siamo abituati a conoscere dello sport.
Il racconto di Russell Cook e della sua missione di attraversare l’Africa di corsa, ad esempio, ha messo in luce non tanto quello che tutti gli appassionati sanno circa il correre per tante ore, per tanti chilometri, per tanti giorni consecutivi, perché sarebbero informazioni superflue tanto per i più esperti, quanto per le persone meno addentro al mondo del running (che si sentirebbero in qualche modo ostracizzate). Piuttosto, l’incedere documentario mette in luce l’importanza del gioco di squadra, della programmazione; scardina il pensiero idealizzante che dietro a imprese mitiche ci siano superuomini e superdonne che percorrono, intoccabili, la loro strada.
Il supporto che una piattaforma come YouTube può dare al racconto di queste imprese ci fa riflettere su un cambio di marcia da parte dei creator, indipendentemente dai budget.
Un pubblico sempre più selettivo, esigente e preparato chiede per inverso sempre meno artificiosità ai racconti, che non hanno più bisogno di effetti speciali o fuochi d’artificio per suscitare attenzione.
Letture interessanti e fonti
Oltre agli articoli di Mappe che ho già citato in puntata (e che ri-cito qui: Congo, e Repubblica Centrafricana), sull’instabilità geopolitica dell’Africa ci sono tantissimi contenuti molto dettagliati sul canale YouTube di Nova Lectio. Qui, ad esempio, un video sulla drammatica situazione della Nigeria (di chi sarà mai la colpa? E perché proprio degli occidentali). Qui un video sul Marocco e la frontiera più fortificata al mondo.
Ri-cito anche l’uscita di Antonio di LetMeTellIt sulle thumbnail di YouTube.
Il canale YouTube di Russ Cook.
Un articolo di Daniele Manusia su «Ultimo Uomo», in cui si parla di come le squadre di calcio e le leghe sportive più ricche cercano di monopolizzare la narrazione di sé - attraverso prodotti di intrattenimento spesso scadenti.
A proposito di Vlog e corsa: una vecchia puntata di A cosa penso quando corro? in cui ho raccolto i nomi di alcuni creator stranieri a tema corsa. La maggior parte di loro usa il Vlog per comunicare.
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Ma la domanda sorge spontanea: a quando il canale youtube di "A cosa pensa mentre corro"?
Il tuo spunto è davvero molto intelligente. Mi permetto di farti riflettere su una cosa: non tutto può essere popolare, ma se attraverso la popolarità cresce l’attenzione su un movimento (running, trail, sport) ne beneficiano anche i primi appassionati. Accettare il compromesso è un atto di maturità e democrazia. Chiudersi nelle proprie stanze e dire “so tutto io” non credo faccia bene alla società.
Con stima 😃