La maratona lunga 54 anni: Episodio 3
🇸🇪 Stoccolma 1912: -27 giorni alla maratona Olimpica di Parigi 2024. Da qui alla gara raccontiamo le maratone olimpiche più iconiche, e le storie incredibili di atleti e paesi ospitanti
Se leggete questa puntata di ACPQC? nella giornata in cui è uscita - domenica 14 luglio 2024 - dovete sapere che questa giornata, oltre a essere l’anniversario della presa della Bastiglia, è anche la ricorrenza spaccata della maratona olimpica di Stoccolma 1912.
L’Olimpiade svedese rappresenta una sterzata decisiva verso un’idea di Olimpiadi come le intendiamo oggi: organizzata, meticolosa, funzionante. E partecipata: è la prima edizione in cui anche l’Asia è rappresentata. A farlo sarà il Giappone: e al centro di questo episodio ci sarà proprio la strampalata missione olimpica nipponica in Svezia.
La prima volta del Giappone ai Giochi Olimpici è del 1912, a Stoccolma.
Diciamo che fino a quel momento l’imperatore Meiji e il suo folto seguito di dignitari hanno avuto altro a cui pensare prima di formare una delegazione olimpica - cose come uscire da un passato di divisioni feudali, governate dal bello e dal cattivo tempo fatto dai Samurai, dotare il paese di infrastrutture adeguate, prepararlo a scambi commerciali con l’America e con l’Europa.
Ma quando la richiesta di avere una squadra olimpica giapponese ai giochi svedesi arriva direttamente dalle parole al miele del comitato organizzativo scandinavo, per il governo giapponese è difficile dire di no.
La lettera di invito è una tirata su come nella testa del barone De Coubertain i giochi dovessero essere un’iniziativa globale, fratellanza, importante è partecipare ecc. ecc. Caro Giappone, non puoi mancare!
Non che il governo giapponese volesse dire di no a un invito tanto solenne. Ma, insomma, il paese non era pronto, nessuno ci aveva mai pensato veramente all’eventualità di una partecipazione; quelli che sapevano che in Europa, a 8000 chilometri di distanza e a sette ore di fuso, si sarebbero tenuti i Giochi Olimpici (i che?), si contavano sulle dita di una mano.
Intanto il governo dice di sì, poi fa quello che i governi sanno fare meglio: scaricare patate bollenti. Questa, poi, viene incartata in un pacchetto bello rovente indirizzato al Ministero dell’Istruzione
E il Ministero dell’Istruzione sicuramente ci avrà tenuto a non fare brutta figura e a mandare una delegazione forte numerosa e competitiva, giusto?
No.
Il ministero scarta la patata bollente, la reincarta e poi la spedisce. Il destinatario è niente meno che Kano Jigoro, il fondatore del Judo, che consiglia al paese di entrare nel Comitato Olimpico Internazionale. Bene, la missione si farà, con un ma: si possono finanziare al massimo due atleti. Non ci sprechiamo, mi raccomando.
L’organizzazione della squadra nipponica è affidata a una figura mitica dello sport giapponese: Hoyozo Omori. Con i suoi baffi e il suo taglio di capelli con riga nel mezzo, la prima volta che ho visto una sua foto ho subito pensato a James Naismith, l’inventore del basket. Poi vengo a scoprire che Omori si forma come insegnante di educazione fisica proprio negli Stati Uniti, tra Stanford e lo Springfield College del Massachusetts, il luogo fisico dove Naismith ha inventato la pallacanestro nel 1891. Sono meno stupito nello scoprire, quindi, che Hoyozo Omori è colui che porta materialmente in Giappone il basket e la pallavolo.
Imbracciando il suo compito, il selezionatore individua due atleti: un velocista di nome Yahiko Mishima, figlio di un importante ufficiale dell’imperatore (cui, guarda un po’, sarà riservato l’onore di essere il primo porta bandiera nella storia olimpica giapponese), e Shizo Kanakuri, figlio di venditori di sakè di una remota isola dell’arcipelago, trasferitosi con i pochi soldi a disposizione a Tokyo per studiare alla Scuola superiore. Kanakuri è un maratoneta: e nei trials organizzati da Omori avrebbe corso una prova in 2.32, segnando quello che per l’epoca sarebbe stato un record mondiale. Cliché dell’infanzia passata a correre svariati chilometri per e dalla scuola? Ce l’abbiamo, ovviamente.
Intanto, l’edizione si Stoccolma si avvicina: dove sono i soldi del Ministero dell’Istruzione per finanziare la spedizione giapponese? Come si dice sorpresa in Giapponese? Perché i soldi non ci sono. Cambio di programma: la delegazione rappresenterà il Giappone, ma gli atleti dovranno pagare di tasca loro se vorranno andare. Ora, se per il figlio dell’ufficiale imperiale Mishima la cosa può essere un problema relativo, per il ventenne squattrinato Kanakuri la storia è diversa. Ma il suo sogno olimpico è sostenuto dal fratello e dai compagni di classe, che organizzano una colletta nazionale (!!!) con cui raccolgono il denaro sufficiente per permettere a Shizo di partire per la Svezia.
Con il peso della responsabilità nei confronti di chi ha creduto in lui Shizo Kanakuri può confermare che sì, sarà parte della prima squadra olimpica giapponese.
Un viaggio turbolento
Per evitare problemi con il fuso orario, per acclimatarsi alle rigide temperature scandinave, alla luminosa stagione estiva svedese e soprattutto per non perdere i mesi di allenamento più importanti a ridosso della gara, la spedizione guidata da Hoyozo Omori parte da Tokyo a metà maggio. Per arrivare a Stoccolma, impiegano circa 18 giorni: attraversano il Giappone e si imbarcano per Vladivostok; poi si fanno tutta la Transiberiana. Quello che succede da Mosca in poi possiamo solo immaginarlo: probabilmente un treno per San Pietroburgo e infine un traghetto per Stoccolma.
Tutte le buone intenzioni del povero Hoyozi vanno a farsi bellamente benedire. Arrivato in Svezia il suo atleta di punta Shizo Kanakuri è l’ombra di sé stesso. Si può dire che se ne sia stato continuativamente seduto per 18 giorni - per non parlare di quella che deve essere stata la qualità del sonno sui treni della Transiberiana. Sistematosi a Stoccolma, le cose non migliorano: le luci dell’estate svedese gli provocano problemi di sonno. Narcolettico e barcollante, anche l’allenamento è lacunoso: perché Hoyozi Omori, intanto, si becca la tubercolosi, ed è praticamente allettato durante tutti i mesi che portano all’Olimpiade.
Vabbè: ormai è dall’altra parte del Mondo, e persone da tutto il Giappone hanno speso una moneta per lui. Ci deve almeno provare.
Infine quel miraggio chiamato Olimpiadi arriva veramente. Nel bello stadio olimpico di Stoccolma, fresco fresco di costruzione, con i suoi mattoni a vista che fanno molto Scandinavia, i giochi svedesi iniziano, portando con sé alcune interessanti novità: tra cui le corsie della pista di atletica segnate con il gesso, e un primo rudimentale sistema di fotofinish.
Bloopers: Yahiko Mishima
Pronti, partenza, via. Non si fa in tempo a chiudere la cerimonia che il 6 luglio 1912 Yahiko Mishima è già in pista in uno stadio olimpico gremito. Spendiamole due parole su di lui, perché la sua esperienza olimpica è davvero grottesca.
Dicevamo, il pomeriggio del 6 luglio 1912, con un personal best sui 100 metri è… ultimo in classifica.
Quattro giorni dopo ci riprova sui 200 metri: quinto! Su cinque partecipanti. Fuori alle batterie.
Infine, il 12 luglio gareggia sui 400 metri. Arriva secondo in una batteria composta da solo due persone. Gli basta per arrivare in semifinale, dove per qualche motivo non compete.
Oh, com’è che diceva De Coubertain, quella frase famosa; non c’entrava qualcosa - mi pare di ricordare - il verbo partecipare?
La maratona di Stoccolma
Non voglio immaginare lo sguardo perso nel vuoto del tubercolotico e febbricitante Hoyozo Omori quando si siede alla scrivania del suo alloggio svedese per scrivere il telegramma con cui riporterà ai funzionari delle straordinarie performance del figlio del dignitario Mishima.
Vabbè, meno male che c’è ancora Kanakuri, che è un fenomeno: speriamo in lui.
Il 14 luglio 1912 è la data in cui è prevista la maratona olimpica. Shizo debilitato e stanco sa che potrà contare sulla fiducia in sé stesso impartitagli da quel record mondiale (unofficial) di 2.32, sui 40 chilometri completamente pianeggianti del percorso e soprattutto sul fresco dell’estate svedese. Giusto? Non proprio: per qualche legge meteorologica che andrebbe studiata il giorno della maratona olimpica è sempre il più caldo nelle settimane in cui si tiene l’evento. Quel giorno a Stoccolma il termometro arriva a segnare 32 gradi - okay, visti gli standard di oggi nulla di strano, ma all’epoca era sicuramente un’anomalia.
Alle due meno dieci del pomeriggio, comincia la gara. La Maratona di Stoccolma, a differenza delle precedenti, nasce e muore da un unico punto, lo stadio Olimpico. Nel giorno della festa nazionale del 14 luglio la location è straripante di pubblico, così come sono straripanti di svedesi festanti le strade che portano dal centro di Stoccolma al turning point di Vandpunkt, a 20 chilometri di distanza dallo stadio.
La maratona di Stoccolma 1912 passerà alla Storia principalmente per due questioni.
La prima è una tragedia, e riguarda l’atleta portoghese Francisco Lazaro - primo maratoneta per il Portogallo e porta bandiera dell’edizione. Al trentesimo chilometro della gara, sotto il sole cocente che non tramonta mai delle latitudini nordiche, Lazaro collassa e perde i sensi. È portato con urgenza all’ospedale di Stoccolma. A esacerbare l’effetto del caldo estremo sul suo corpo è una soluzione casereccia che Lazaro avrebbe applicato sulla pelle per evitare scottature - si è cosparso di grasso animale, che altro non ha fatto che occludere i pori rallentando lo scambio di calore con l’esterno e velocizzando l’incombere della disidratazione.
Il giorno dopo Francisco Lazaro muore. Insolazione acuta. La sua morte sarà la prima e unica occorsa durante una maratona olimpica: il cordoglio muoverà la città, che nel giorno del funerale riempirà lo Stadio Olimpico - e raccoglierà fondi per la vedova di Lazaro.
La gara di Shizo Kanakuri
La seconda questione che ha reso celebre la maratona olimpica di Stoccolma 1912 riguarda proprio il nostro Shizo Kanakuri.
Kanakuri sulla linea di partenza è una specie di oggetto misterioso: uno, perché è il primo asiatico a prendere parte ai giochi; due, perché su di lui grava un’incognita circa il tempo di ingresso dichiarato - quei famosi 2.32 minuti, una notizia arrivata lontanissimo, fin su una pagina del Salt Lake City Telegram.
Parte bene, nonostante il caldo. Regge il ritmo di quelli che saranno i vincitori: i sudafricani Ken McArthur e Christian Gitsham e l’americano Gaston Strobino - originario del Canton di Berna, in Svizzera da famiglia italiana. Intorno a lui, intanto, una serie di atleti opta per il ritiro: tra questi anche un diciassettenne italiano di Busto Arsizio, Carlo Speroni - futuro detentore del record mondiale dei 20 chilometri su pista.
Infine, anche lui è colto dalla temperatura spropositata e comincia a rallentare. È troppo caldo, davvero troppo caldo. Dalle strade bianche si alza la polvere. I sensi cominciano a vacillare. Poi un miraggio: cosa deve aver pensato quando uno svedese dal giardino di casa sua gli porge un bicchiere di succo d’arancia per rinfrescarsi? Al povero Shizo non pare vero. Si accomoda un attimo nel fresco giardino ombreggiato dello svedese. Considerata la differenza linguistica incolmabile, non penso la conversazione sia andata avanti poi più di tanto. Ma a Shizo Kanakuri quell’ombra piace proprio. Aspetta un po’ che mi siedo per bene…
… Black out.
Al risveglio il povero Shizo fa in tempo a rendersi conto di dove si trovi: una specie di panico lo invade. C’è la maratona, la maratona da vincere, record del Mondo, Olimpiadi! Rispunta il padrone di casa. Gesti: si indica il polso. Cosa? «Che ore sono?». «È sera, saranno circa le otto!». «Ma come le otto, c’è luce!». «È sì, benvenuto in Svezia!».
Si affaccia fuori dalla porta: le strade, riaperte al traffico, sono invase da carretti, bici, automobili. Di runner e di pubblico non c’è segno. Possiamo solo immaginare la sensazione di disagio di quel disgraziato di Hoyozi Omori, allo stadio, orologio da taschino in mano, ad aspettare di vedere il suo pupillo rompere la resistenza degli avversari ed entrare per primo. E invece...
E invece Kanakuri, se ne torna a Stoccolma solo il giorno dopo, in segreto: troppa sarebbe per lui la vergogna di tornare da ultimo, con svariate ore di ritardo, dopo una figura del genere. Per sua fortuna, il premio di consolazione per l’ultimo atleta a tagliare il traguardo - un cucchiaio di legno - era già stato assegnato a un maratoneta russo. Di fianco al nome di Shizo Kanakuri dal Giappone si appone la sigla DNF, Did Not Finish. Ma non solo: a insaputa di Kanakuri stesso (che nel frattempo aveva impacchettato tutto e se ne era scappato per il Giappone anche in questo caso in segreto), la polizia svedese dichiara il podista come disperso. Non è dato sapere cosa Kanakuri si sia inventato per giustificare il suo ritardo a Hoyozi Omori, né come l’abbia rivoltata ai propri compatrioti una volta tornato a casa.
In tutto questo, Kanakuri non cessa di essere un atleta di punta per il movimento podistico giapponese, visto che il ritorno suo alla sua vita normale, da maestro di scuola elementare, viene interrotto da due ulteriori spedizioni olimpiche: saltata l’edizione 1916 per la Prima Guerra Mondiale, Kanakuri si unisce al team che va ad Anversa nel 1920 e poi a Parigi nel 1924 - rispettivamente, chiude dodicesimo e ritirato.
Quando meno te lo aspetti
E così, la vita va avanti. Ma un mistero resta da chiarire: come mai, nonostante due partecipazioni olimpiche, Shizo Kanakuri risulta tra i dispersi secondo la polizia svedese?
1966. Immaginiamo lo stupore di Kanakuri, settantacinque anni, pensionato dopo una vita passata a insegnare geografia in una scuola elementare nel sud del Giappone, quando apre la porta di casa dopo che sente bussare, e dallo spioncino vede un uomo biondo, occhi azzurri - caratteri non propriamente nipponici. E infatti, si tratta di un giornalista svedese. «Ma chi è lei, cosa vuole?» Il reporter in questione ha scoperto il nome di Shizo Kanakuri nel famoso elenco dei dispersi in Svezia del 1912 - Ka-na-ku-ri è un nome che tra tutti i -sson e i -sen sicuramente non passa inosservato -, e siccome il nostro atleta proprio disperso non era (viste le sue successive partecipazioni) si è messo alla sua ricerca. A quanto pare trovandolo.
Il reportage risulta in un clamoroso invito da parte di un'emittente televisiva svedese a tornare a Stoccolma per completare la sua maratona. Invito che viene accettato.
Dopo 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 8 ore, 32 minuti e 20.3 secondi, Shizo Kanakuri completa la maratona olimpica del 1912, in quello che ancora oggi è il record per la maratona più lunga di tutti i tempi.
Poi, fa visita alla famiglia Petre: qui incontra il nipote dell’uomo che nel caldo pomeriggio di luglio di 54 anni prima gli offrì il succo di arancia.
Che fare se non riposarsi al fresco, bevendo altro succo d’arancia?
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