Guardare una gara crescere
Alcune domande da farci quando celebriamo la crescita di un evento podistico
Buongiorno a tutte e tutti!
Bentornati su A Cosa Penso Quando Corro?, una newsletter che corre i lenti in Z2 e le ripetute al massimo in Z3 alta.
Un benvenuto particolare ai tanti iscritti degli ultimi giorni: per voi, la solita presentazione di questa newsletter, con un twist finale. A Cosa Penso Quando Corro? è uno spazio in cui si parla di running, come sport da guardare, come sport da praticare; come fatto sociale, economico, culturale e introspettivo.
E che esce ogni due domeniche alle 10 del mattino. Ma soprattutto: dalla quale vi potete disiscrivere quando volete (nulla di personale) in caso vi siate ritrovati qui per uno degli strani giochetti di Substack, la piattaforma su cui questo spazio è ospitato!
Per recuperare le puntate precedenti potete consultare l’archivio di ACPQC?

Prima di partire: puntata breve e monotematica! Sono state settimane lunghissime, e la stanchezza accumulata nell’ultimo mese mi ha obbligato a centellinare le energie. Durante la settimana passata ho lavorato principalmente a un articolo su Grand Slam Track, che dovrebbe uscire la prossima settimana. Visto che i temi questa primavera sono davvero tantissimi, in via del tutto eccezionale domenica prossima (che poi è Pasqua), o comunque nel corso della settimana, dovrebbe uscire un’extra puntata speciale di ACPQC.
Milano a primavera
C’è qualcosa di estremamente appagante nello scrivere questa newsletter con la finestra della sala aperta. Le zaffate d’aria che entarno in casa sanno di fiori. I fiori e l’odore verde delle foglie nuove degli alberi di parco nord riescono a coprire l’odore dello smog: anche se sei a Milano - e l’assuefazione ti ha fatto dimenticare quanto l’odore degli smog sia orrendo, perché in quella schifosa poltiglia aerea ci stai immerso sempre, in continuazione, tutto l’anno.
Tutto questo per dire che la primavera, alla fine, è tornata davvero. Il 6 aprile, la domenica della Maratona di Milano, è stata proprio una giornata primaverile: ai limiti dello stereotipo di cosa sia la primavera. Al mattino presto il cielo è sereno, ma fuori è freddo abbastanza da non farmi rimpiangere la scelta di essere uscito con il pile. Poi, comincia a fare caldo, all’improvviso: come se un timer fosse scattato tra le 9.30 e le 10.00. Infine, dalla tarda mattinata e per tutto il pomeriggio tira un vento fortissimo, che a parco Sempione alza dei minacciosi tortiglioni di polvere bianca. Mentre attraversavo di corsa il parco, circondato da un migliaio di runner, ci copriamo la faccia come possiamo, chi con il braccio, chi con la maglietta. Sembriamo Fremen nel mezzo di una tempesta di sabbia su Arrakis.
Per fugare subito ogni dubbio, no, non stavo correndo la Maratona di Milano. O meglio: stavo correndo una parte della Maratona di Milano, visto che insieme ad alcuni colleghi e amici abbiamo deciso di iscriverci alla relay race, la staffetta della Maratona. Per chi non sapesse di cosa si tratta, alcune maratone in Italia e all’estero affiancano alla normale distanza di 42,195m queste vere e proprie staffette, in cui il percorso regolare viene segmentato in quattro parti di differenti lunghezze (tra i 6 e i 13 chilometri). Ogni parte della staffetta viene corsa da un runner diverso all’interno di uno stesso team, e la somma dei tempi finali di ogni frazionista dà il tempo ufficiale della prova.
Il bello della staffetta
Ora, un paio di precisazioni. Innanzitutto, quando parliamo di Marathon relay race (le due più importanti in Italia si tengono in primavera e a distanza di poche settimane, durante le maratone di Roma e Milano) non siamo davanti a materia di competizione - almeno qui in Italia. La classifica non conta nulla (sul sito ufficiale dei risultati sono riportati solo i tempi finali) - anche se ho comunque visto alcuni atleti, tra cui una squadra di semipro della gloriosa Bracco Atletica, involarsi davanti a tutti. L’obiettivo della staffetta è sviluppare un format non intimidatorio, in cui garantire un posto a podisti di ogni livello, e non solo a chi è performante abbastanza da poter correre una maratona.
Come tantissimi altri staffettisti con cui ho chiacchierato prima di partire, i colleghi che mi sono portato appresso il sabato prima della gara al ritiro pettorali erano in gran parte al battesimo, al loro primissimo assaggio di una giornata in gara: li guardavo al running expo voltarsi da una parte all’altra tra gli stand capendoci poco di quello che stava succedendo. Per loro è tutto nuovo, e curiosamente pittoresco, peculiare: ho pensato a loro, spaesati e incuriositi, quando l’altro giorno alla fermata del tram di largo Cairoli, di fronte al Castello Sforzesco, guardavo queso blocco di turisti in visita per la Design Week che in gruppo facevano le foto ai tram vecchi (provando a far rientrare nel frame anche la torre del Filarete); e solo per me che sono abituato a vederli tutti giorni il fatto che questi trabicoli siano ancora in giro a scarrozzare la gente non è estremamente affascinante. Beh, per la prima volta hanno provato l’importanza di tutti i gesti necessari il giorno prima della gara: la ritualità del ritirare il proprio pettorale, attaccarlo con le spillette; sfilare con un sorriso carico di gravitas e comozione sotto la linea di arrivo, prendersi gli applausi del pubblico, o dare il cinque a chi sta a bordo strada. Vanno rispettate queste emozioni. A forza di banalizzarle, va a finire che produciamo l’effetto contrario: a non dare troppa importanza alle emozioni (ché tanto noi siamo tanto forti e tanto bravi) finiamo per dare troppa importanza a noi stessi e alla nostra 15,457 posizione in classifica generale.
Chiusa parentesi - che alla fine è anche un memo per chi scrive.
Come cresce la Relay Race?
Il coinvolgimento di una platea allargata fa il gioco dell’altro grande fine delle staffette: la solidarietà. L’iscrizione alle relay è sempre mediata da una charity (la lista delle associazioni è lunghissima), che utilizza gran parte del costo di iscrizione per sotenere la propria causa - si spazia dal diritto a sport e formazione per ragazzi in condizioni di disagio sociale, alla tutela della parità di genere, dalle cause ambientali, alla ricerca contro il cancro; e così via. Il format è tornato di grande moda negli anni successivi alla pandemia, anche per il sempre maggior coinvolgimento delle aziende milanesi - cui sono offerti pacchetti speciali per l’iscrizione dei propri dipendenti in uno o più team (ma poi dai, vuoi mettere questa pulizia di coscienza servita così su un piatto d’argento?).
I numeri raccolti dalla Relay Race di Milano (che quest’anno era alla tredicesima edizione) sono abbastanza significativi: quattromila squadre per 16mila podisti - da sommare al record di 10mila maratoneti partenti sulla distanza classica. Se facciamo il paio con i 55mila podisti di Stramilano del 23 marzo, Milano nel giro di un paio di settimane è riuscita a portare in strada una cosa come 80mila podisti - sì, lo so, non ho fatto il raffinato, e non ho contato gli overlap di chi ha corso entrambe le gare.
Sono numeri importantissimi, che diventano banali solo se raffrontati ai volumi che ognuna delle Major Marathons raccoglie da sola e attorno a una sola distanza, la Maratona. Per esempio: nel 2024 la Maratona di New York ha raccolto 165mila entry alla sua lottery, con un tasso di accettazione del 4%; il numero totale di partenti, alla fine è stato di 50mila runner (di nuovo, per la sola distanza della Maratona). Oltre ai fortunati estratti dalla lottery (che ormai è una costante per l’iscrizione a tutte e sei le Major, o quasi), circa 14mila podisti si sono assicurati un pettorale per mezzo del popolarissimo charity program della New York Marathon. In termini di volumi assoluti di “runner solidali” la formula della staffetta di Milano avrebbe addirittura battuto il charity program di New York, se non fosse che a New York la solidarietà ha incassato 61,3 milioni di dollari (oltre 4mila dollari a podista - i dati sono forniti da NYRR che si occupa dell’organizzazione della gara), a Milano un totale di 2 milioni di euro (circa 125 euro a podista).
Ora, con questo confronto non voglio fare il bacchettone nel merito degli sforzi solidali; né, tantomeno, voglio fare quello che davanti a queste buone notizie risponde con «Sì, ma…», o sminuire l’ottimo lavoro delle charity. Le aspirazioni della gara a diventare una delle più importanti in Europa passano anche attraverso questo tipo di iniziative; e comunque, forte di questi numeri, il binario su cui Milano Marathon viaggia è quello giusto per imporsi tra le gare più interessanti e attrattive del continente - percorso veloce, un’organizzazione efficace, una buona dose di pubblico a bordo strada, podisti élite di ottimo livello.
Semmai, dovremmo chiederci: come cresce questo evento?
Nel crescere attraverso la formula della staffetta in maniera molto più rapida di quanto non farebbe con la sola distanza da 42.195 metri, la Maratona di Milano porta reali benefici al territorio? O, attirando tanti turisti da fuori città, non fa altro che esacerbare i problemi che attanagliano la città - che, come nel caso di Valencia, è alle prese con i soliti problemi riguardanti il diritto all’abitare comuni a un po’ tutte le città del sud Europa? Attenzione, per Milano Marathon parliamo di 4,600 iscritti dall’estero alla maratona: un 46% in netta crescita, che viaggia veloce in direzione dello squilibrio tra stranieri, nazionali e locals che hanno composto il pacchetto di partenti a Valencia a dicembre 2024.
A proposito di aerei: siamo sicuri che la narrazione attorno al lodevole impegno delle charity sia sufficiente a riparare alla scelta problematica dell’organizzazione (RCS) di avere come main sponsor una compagnia aerea low cost che tra il 2023 e il 2024 ha alzato le proprie emissioni già altissime del 40%? E che, ça va sans dire, ha come proprio modello di business una crescita insostenibile guidata dalla leva dei prezzi stracciati?
Cari runner, queste domande le lascio qui per me e per voi: utilizziamole non per flagellarci a vicenda o per fare una gara di chi ce l’ha più lungo (il senso della sostenibilità, cosa avevate capito?), ma per ragionare con un pochino di consapevolezza in più su ciò che sta dietro le nostre scelte, anche quando si tratta di una cosa innocua come uscire a correre.
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