È difficile ricominciare?
Cronaca mentale della settimana in cui ho ricominciato a correre
Questa settimana ho ricominciato a correre.
Lunedì scorso ho allacciato le scarpe e mi sono gettato in strada. O meglio: riversato in strada, direi, tanta era la voglia di tornare.
Nonostante qualche lievissimo fastidio al tallone destro continui a esserci, ho completato senza dolori significativi la corsa. Quattro, semplici kilometri, corsi piano piano. Il mattino seguente (il vero banco di prova) tutto sereno: nessun primo passo di dolore fuori dal letto. Sto addirittura abbandonando l’innaturale posizione che il mio corpo ha codificato per la gamba e per il piede durante le settimane più dolorose: postura che dovrebbe limitare gli acciacchi delle prime zampettate mattutine.
Ho ripetuto il tutto mercoledì e venerdì (quest’ultima volta, causa tempi strettissimi e condizioni meteo avverse, sul tapis roulant). Di nuovo, nessun dramma psicofisico.
Rientrare da uno stop così lungo dovuto a un infortunio è una sensazione strana: a volte sembra di correre con una pistola pronta a sparare puntata al centro di irradiazione del dolore. Il colpo potrebbe partire da un momento all’altro.
In fondo, è una questione di compromessi tra la paura di sentire quel dolore e la voglia di tornare a fare la cosa che più si ama fare. Concetti molto professionistici - tipo «la consapevolezza di aver lavorato bene per recuperare» - sono per le povere creature che bazzicano l’universo amatoriale niente più che astrazioni.
Eccomi qua: dopo quasi due mesi e mezzo off, brevemente intervallati da qualche sprazzo di ben poco normali allenamenti qua e là, l’unica cosa che riesco a pensare è questa:
la distanza dalla corsa ha finito per aiutarmi.
Le altre attività
Innanzitutto, la distanza dalla corsa mi ha permesso di scoprire e riscoprire la pratica di alcune attività.
Su tutte, il nuoto, uno sport bellissimo, e appassionante: che nella mia testa ho sempre rubricato come noioso, da praticare e da vedere. (Dai, ditemelo che sono proprio un cretino). Mi è bastata la prima, infinita, vasca a gambe a stile con la tavoletta per cominciare a nutrire per i nuotatori di qualsiasi livello una specie di venerazione.
Ho rivangato tra i nomi dei fenomeni di quando ero più piccolo: Thorpe, Phelps, Katie Ledecky, Lochte, Federica Pellgrini, Le Clos, il mitico Laszlo Cseh - inconfondibile, l’unico senza cuffietta. Ho cercato i campioni contemporanei: Paltrinieri, Pilato, Martinenghi, Kyle Chalmers, Caeleb Dressel, Peaty.
Poi, con il mio animo da fondista, ho cominciato ad appassionarmi alle imprese folli di personaggi come Ross Edgley e Benoit Lecomte. Il primo ha circumnavigato l’Inghilterra (qui il primo video della serie che RedBull gli ha dedicato); il secondo ha cercato di fare una di quelle cose che quando l’ho letta mi sono messo a ridere da solo. Farsi il Pacifico a nuoto, da parte a parte, dal Giappone alla California.
A proposito, cadono a fagiolo i mondiali di Doha, che si stanno svolgendo in queste settimane. Da stasera, collegato per tutte le gare in vasca.
Poi, c’è la palestra, che non ho mai veramente smesso di frequentare, ma che ho visitato in maniera particolarmente assidua in questo periodo.
Visto che solo qualche episodio fa ho parlato in maniera più estensiva del mio rapporto con le attività collaterali alla corsa in questo periodo di stop forzato, vi lascio il link in fondo all’episodio.
A fresh new start
C’è da dire che ricominciare a correre dopo praticamente due mesi e mezzo mi ha messo nella condizione molto peculiare di vivere un nuovo inizio, con tutto quello che ne consegue. A fresh new start.
Sto avendo la possibilità di ricominciare praticamente da capo, con il vantaggio di avere le conoscenze per non sbagliare i primi passi: quelli che tipicamente sono cannati dai principianti.
I classici intramontabili, insomma: non riposarsi a sufficienza, fare tutto troppo in fretta, non fermarsi quando sarebbe giusto farlo, non fare stretching, non fare il riscaldamento. Tutti sbagli che, o tutti insieme (sì, sono stato così maldestro) o uno alla volta, ho fatto anche io.
Stavolta no. La mia fresca degenza mi sta costringendo a rispettare speciali limiti autoimposti. Non correrò 20 kilometri in una sessione, forse li correrò in una settimana. Avrò a cura mobilità, allungamento e rafforzamento delle parti più sensibili del mio corpo. È una fase da affrontare con cautela, e senza fretta. Sarà la sopraggiunta saggezza? Sono veramente a uno stadio così avanzato del rapporto di consapevolezza con il mio corpo in movimento? Sarà una sopraggiunta maturità sportiva che piano piano dovrei aver accumulato, e cominciato a mettere in pratica? O sarà solo buonsenso?
Ad oggi, dopo una settimana di corsa, il dolore al tendine d’Achille sembra, più che completamente placato, perlomeno ampiamente sotto controllo. È il segnale giusto per ritornare a programmare un ritorno alla normalità.
La costanza premia: in questa prima fase correrò a giorni alterni per un totale di venticinque/trenta minuti a sessione, a passo gestibile. Se sarò bravo a rispettare i tempi e a non forzare il ritorno su volumi più consistenti, entro qualche settimana potrò contare di aumentare il volume.
Tutto si basa sull’adattare il corpo a sovraccarichi crescenti, e a gestire il loro recupero (la vera parolina magica dei runner).
È l’occasione perfetta per godermi le piccole, grandi gioie che ricordo di aver provato quando ho iniziato con la corsa: guardare salire il conteggio dei kilometri settimanali su Strava, gioire per quei 500 metri in più messi in saccoccia ogni volta; attendere ogni uscita con impazienza - e sì, anche guardare il passo al kilometro che scende (non prendiamoci in giro: va bene, non andrebbe fatto, ma c’è chi ci guarda con soddisfazione e chi mente. L’importante è non farne una malattia).
La corsa non mi ha salvato la vita
Infine, la distanza dalla corsa mi ha aiutato a mettere questa attività in prospettiva. Sono abbastanza fortunato da fare un lavoro che mi piace, di avere tante persone che portano positività nella mia vita. La corsa non è un’attività che mi salva la vita, e non lo è mai stata. Mi ha aiutato a svuotare la testa? A darmi obiettivi sfidanti? A vivere alcune emozioni e soddisfazioni molto grandi? Certo, non c’è dubbio.
Ma ciò non toglie che la corsa per me non abbia alcun significato escatologico. Non mi farà mai guadagnare un euro, non mi renderà mai famoso: e va benissimo così!
Come mi piace ripetere: ho sentito mille motivi diversi per cui le persone corrono. Non ne ho mai sentito nessuno che mi sia suonato sbagliato. Anche se il motivo per correre fosse nessun motivo, sarebbe comunque perfetto.
Sarò dipendente dalla corsa fino al giorno in cui l’idea di allacciarmi le scarpe per uscire in strada mi farà rabbrividire. A quel punto basta.
Ma per dirla come un personaggio dell’epica contemporanea: Non è questo il giorno!
Un pezzo su come ho passato il periodo di pausa dalla corsa
Un bel pezzo sugli infortuni uscito scorsa settimana
Come al solito chi avrebbe potuto scriverlo se non
su ?L’uscita della scorsa settimana
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Vai Lorenzoooooo! Immaginami mentre lo dico a bordo strada che faccio il tifo per il tuo ritorno in corsa.
(E grazie per avermi citata :) )
Ciao Sara! Queste vibes positive che mi mandi sono oro colato per il ritorno :)