Sto rinunciando al mio obiettivo di correre la Maratona di Milano 2024.
Dopo la più classica delle tregue natalizie, che mi hanno donato la gioia di qualche corsa distesa e rilassata in campagna, il dolore al mio tendine d’achille destro è tornato alla carica.
Per farla breve, dopo la prima corsa dell’anno, il giorno di Capodanno, mi sono ritrovato nei giorni successivi a zoppicare vistosamente.
Volevo avere almeno tre mesi a disposizione per poter allenarmi a dovere in vista del mio ambizioso obiettivo. Non mi è stato concesso.
Ho pensato per qualche giorno alla maschera da indossare per affrontare questo problema fisico che probabilmente mi farà mancare uno dei miei buoni propositi praticamente senza che l’anno sia iniziato. Sì, ero io quello della morale sugli obiettivi falliti già a marzo.
Maschera 1. Provo prima a consolarmi: tutti, ma proprio tutti i creator che seguo hanno scontato una tendinite achillea nella loro carriera (e, sia chiaro, la notizia non mi fa stare meglio). Quindi, visto che loro sono creator e runner di successo sono destinato a diventare o l’uno o l’altro - tutti e due sarebbe clamoroso, dai.
Maschera 2. Sono palesemente una vittima. Ma che sfiga, cazzo. Ma con tutti i runner che ci sono al mondo, e che corrono a caso e senza criterio, proprio a me doveva venire sta roba?
Maschera 3. Leggo un pezzo di
su (pezzo del 10 gennaio, che trovate linkato in fondo alla puntata). Racconta del cosiddetto metodo Cazzomannaggia, coniato da un trail runner e imprenditore italiano di nome Filippo Canetta.In questa puntata:
Un metodo per domarli tutti
Cosa mi sono inventato?
Un metodo per domarli tutti
Non mi considero un esegeta del metodo Cazzomannaggia, ma se ho ben capito le intenzioni del suo inventore, credo che questa forma mentis non concepisca l’idea di imprevisto. Non esiste l’imprevisto, ma solo la vita che accade.
Il metodo Cazzommannaggia si fonda su un pilastro fondamentale:
Allenati ovunque, in qualsiasi condizione e in ogni situazione
Non ricordo di aver letto l’esatta etimologia del termine: se ne dovessi dare un’interpretazione personale direi che il nome nasce da una reazione fisica alla sfiga. Basandosi su una statistica globale, i primi foni sputati fuori dall’apparato fonatorio di una persona che processa l’imminente consapevolezza di aver subito una torto da parte del fato sono: cazzo, mannaggia!
L’equazione di fondo su cui si basa il metodo è semplice: pragmatismo + fantasia = problem solving.
E così, qualsiasi problema - dall’infortunio alla mancanza di tempo, o spazio per allenarsi - diventa l’occasione per inventarsi qualche prova in cui cimentarsi. La risultante della somma delle risoluzioni di tutte le prove a cui ci siamo sottoposti dovrebbe essere, idealmente, un processo di miglioramento.
Ma c’è di più: perché parte fondante del metodo è inventarsi dei modi per complicarsi la vita anche e se tutto va bene, e siamo quindi in ambiente protetto.
D’altra parte, le sfighe capitano, e possono accadere in ogni momento - in maniera particolare mentre si pratica uno sport di endurance, che si spalma su ore e ore di fatica: l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, tanto vale avere esperienza e mentalità giusta per approcciarlo e neutralizzarlo.
E le applicazioni pratiche, quindi?
Hai poco tempo? Esistono allenamenti da venti minuti che possono fare quanto e più di sessioni da due ore, se eseguiti alla perfezione.
Hai una tendinite achillea? Mi vengono in mente almeno 1000 attività sportive alternative alla corsa, che posso praticare per tenerti allenato senza sentire il minimo dolore.
Devi viaggiare per lavoro? Esiste un tragitto luogo di lavoro-hotel, od hotel-stazione. Oppure, camminare resta un modo gratuito per spostarsi in giro per le città.
Insomma: alla fine della fiera il fulcro della questione rispetto al metodo Cazzomannaggia non è tanto l’esaltazione dell’allenamento - attività suprema e idolo di noi sportivi malati di mente - quanto l’imposizione di un impianto di pensiero basato su una reazione pratica, e scarsamente autocommiserativa all’imprevisto.
La vita succede, i casini succedono: e succedono non perché il mondo è brutto e cattivo, ma semplicemente perché fa parte del gioco.
Quindi Cazzomannaggia!, mi sono dovuto inventare una soluzione alla mia impossibilità di correre!
Qui sopra, la puntata del podcast Fuorisoglia in cui Filippo Canetta spiega il metodo Cazzomannaggia, riprendendo molte delle cose che ho detto (intorno al minuto 17).
Cosa mi invento adesso?
Premessa doverosa: sto (ovviamente) continuando a curarmi perché correre mi manca. Non vedo l’ora di ritrovare la mia continuità con la corsa, di rimettere legittimamente nel mirino qualche gara.
1. Nuoto
Ho acquistato un pass da dieci ingressi in piscina.
L’idea alla base di questa mia iscrizione è semplice: devo imparare a nuotare, ergo mi butterò in acqua con conoscenze minime su nuoto e tecnica di nuoto. E in qualche modo il mio cervello dovrà comandare il mio corpo per farmi sopravvivere.
Ho cominciato a fare le solite cose che chiunque in un contesto nuovo farebbe: muovere arti a caso scimmiottando movimenti visti da professionisti durante le ultime olimpiadi (3 anni fa in via del tutto eccezionale) che hanno impiegato ore, mesi, anni, decenni di pratica per padroneggiare.
Per fortuna nella mia piscina locale ho trovato un insegnante che tiene lezioni di nuoto per adulti, e con grande pazienza sta correggendo le tante pecche nella mia forma.
Dall’alto delle prime due lezioni posso dire che:
Non credevo che una disciplina cui hanno appioppato la nomea di soft per un discorso di gentilezza sulle articolazioni potesse prosciugare le mie energie fisiche in maniera così rapida.
No, davvero: conservo la capacità di correre 20/25 kilometri in totale serenità e dopo quattro bracciate sono completamente cotto.
Qualche miglioramento oggettivo da una lezione all’altra ci deve essere stato per forza: lo dicono le misurazioni dello sportwatch (da prendere con le pinze) e soprattutto le sensazioni in acqua.
Fare affidamento sulla capacità aerobica ereditata dalla corsa è inutile: tradotto, la tecnica è tutto. Alzi il sedere, raddrizzi la testa, prendi più acqua attraverso le bracciate, sistemi la respirazione e magicamente ti ritrovi in fondo ai 25 metri della vasca corta senza essere in affanno.
C’è una famosa leggenda metropolitana circa la dieta di Michael Phelps: si dice che lo squalo di Baltimora si benzinasse 12000 calorie giornaliere (comprensive di quattro lattine di energy drink). Balle, pensavo: e lo pensa anche Phelps, che ha smentito questa storia. Resta il fatto che, credetemi o no, la fame provata dopo un allenamento di nuoto è dieci volte la fame provata dopo un lungo di corsa.
2. La palestra
Sono sempre stato un grande fan dell’allenamento in palestra e non l’ho mai nascosto.
D’altra parte, ho vissuto un passato da assiduo frequentatore della sala pesi: uno di quelli che no il cardio fa perdere i muscoli quindi non lo faccio, catabolismo, proteine, annessi e connessi - senza il doping, chiaramente.
Oggi, la palestra è diventata una necessità. Non posso chiedere al mio corpo di correre 40 kilometri sull’asfalto senza dargli i giusti mezzi per assorbire i colpi.
A me la palestra ha sempre divertito. In un’epoca storica in cui sta prendendo piede l’idea dell’hybrid athlete - cioè quel tipo di sportivo che coniuga l’allenamento cardiovascolare a sessioni di forza e pesi - la parte meno ovvia dello spettro, ossia il tempo da dedicare alla palestra, non mi è mai pesata.
Il vantaggio di avere qualche anno di esperienza in sala è quello di conoscere almeno minimamente il proprio corpo: e al di là dell’entità dei carichi, questo tipo di conoscenza permette di variare sullo spartito dei movimenti consentiti.
A proposito di Cazzomannaggia, per mettersi apposta in difficoltà in palestra c’è solo l’imbarazzo della scelta. Corpo libero, bilanciere, manubri, superfici instabili, cavi, macchine. Superset, Dropset, Giant Set, monoserie, recuperi brevi. You name it.
Lascio un video di Ronnie Coleman che grida in palestra per motivarsi: perché va bene che non sarà il modello estetico né mio né di chi legge ACPQC?, però mette proprio di buon umore vedere una persona così felice di fare quello che sta facendo.
3. La cyclette
Ok, d’accordo, è la cosa meno sexy del mondo. Fa subito salotto della nonna, o della zia. Oppure, direttamente ripostiglio.
Però è cardio: e non solo. È per me facilmente accessibile (a casa dei miei, o comunque in qualsiasi palestra, anche la peggiore, ce n’è una), non mi provoca fastidi al tendine d’achille e mi permette di allenare alcune componenti aerobiche in attesa di poter tornare a correre.
Mi sto trascinando ogni giorno per almeno trenta minuti sulla cyclette: sto esplorando l’universo del movimento rotatorio delle gambe.
In attesa, magari, di fare l’acquisto della bicicletta.
Insomma, questa è stata la mia applicazione di questo metodo alternativo di vivere l’allenamento - e, in maniera un po’ retorica, la vita. Ho preso atto del mio infortunio e cazzomannaggia, vediamo cosa si può fare per andare avanti lo stesso.
Perché sì, sorprendentemente si va avanti.
Ricorda: non esiste un imprevisto che un cazzomannaggia non possa risolvere!
La puntata di sul metodo Cazzomannaggia
A proposito di lezioni di nuoto, vi ho già consigliato lezione di nuoto?
Se non l’ho fatto, eccola qui
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Io sono chiaramente e sempiternamente la Maschera 2 ma provo a diventare adepta del Cazzomannaggia.
Bella, bella puntata (come sempre) e dai di nuoto e pedalate!