10 sprinter under 20 da tenere d'occhio nel 2025
Alcuni dei nomi caldi per il prossimo ciclo di superstar della pista
Buongiorno a tutte e tutti!
Bentornati su A Cosa Penso Quando Corro?, la newsletter sul running che odia tutti i cliché, sia sul running che non - a meno che i cliché non si riferiscano al mese di gennaio.
A Cosa Penso Quando Corro? è uno spazio in cui si parla di running, come sport da guardare, come sport da praticare; come fatto sociale, economico, culturale e introspettivo.
E che esce ogni due domeniche alle 10 del mattino.
Per recuperare le puntate precedenti potete consultare l’archivio di ACPQC?
Prologo
Brisbane, Australia. 2032.
L’aria spessa dell’emisfero australe ha il suo solito odore di fumo: quello che ha da circa quattro anni. Il cielo ha un intenso colore ocra. Da quando gli Stati Uniti se ne sono usciti ufficialmente dagli Accordi di Parigi, e tutti i propositi di contenere l’innalzamento della temperatura media globale sono stati abbandonati anche dagli altri membri della NATO, il Mondo ha cominciato un lento inabissamento nel dramma di un’apocalisse climatica.
Voliamo come uccelli sopra le dune aranciate dell’Australia. Dalla terra brulla del nuovo deserto orientale d’Australia (che ora è tutta un deserto, come il 90% delle terre sopra i mari) emerge quello che sembra un enorme monolite. Avvicinandoci, notiamo però che non è opera della natura: più la approcciamo, più sembra una struttura del passato, una ziqqurat esportata dalla Mesopotamia e poi posata da una navicella spaziale in un punto dell’Australia orientale, per qualche motivo vicino all’insediamento umano di Brisbane, sull’Oceano Pacifico. Le finestre, le fessure, e un buco al centro del soffitto emanano bagliori azzurri nel cielo giallo, come se un frigorifero proiettasse la sua luce ronzante sulle pareti di una stanza illuminata dai riflessi di un tramonto di fine estate.
Giriamo attorno alla struttura con le nostre ali. Appeso al frontone esterno dell’edificio ci sono cinque cerchi illuminati, che si intrecciano: tre di sopra, due di sotto. Sono percorsi da enormi tubi circolari di luci al neon. Da fuori, si sentono rumori e grida. Dentro alla ziqqurat sta succedendo qualcosa. Ogni tanto uno sparo - a cui seguono grida di gioia e incoraggiamento, sempre più forti.
Non è un luogo di culto, non è un luogo di amministrazione del potere: è un’arena, uno stadio olimpico. È ricolmo di persone urlanti arrivate da tutto il Mondo, posizionate in gabbiette refrigerate che seguono un pattern circolare attorno a un’area da gioco centrale. Ma pensa un po’, queste devono essere le Olimpiadi di Brisbane 2032! Quasi avevamo dimenticato la gioia dello sport! Gli Esseri Umani trovano ancora il tempo di mettere da parte le loro grane per fermarsi un paio di settimane e prendere parte al rito collettivo dei giochi Olimpici estivi (ma quell’estivi è un attributo superfluo, visto che adesso è sempre estate), che quest’anno sono arrivati alla loro edizione numero 35.
Gli spettatori si refrigerano nelle loro gabbiette grazie a complessi sistemi di areazione che gli sparano addosso vapori ghiacciati, e bevono miscugli di acqua, limone, ghiaccio ed elettroliti, per assicurarsi il corretto funzionamento di tutti gli organi del corpo. Sostentato dalle funzionalità tecnologiche della struttura, il pubblico guarda verso il centro dell’arena: il prato è di un verde smeraldo artificiale, ed è bordato da una pista d’atletica rossa come la terra del deserto. Le figurine di un gruppo di atlete si ricorrono tra le linee geometriche sul tartan: siamo all’ultimo giro della finale dei 1500 metri femminili e i sistemi di refrigerazione pompano il doppio dell’aria ghiacciata per mitigare i bollori del pubblico su di giri per il finale ravvicinato. Scendiamo in picchiata verso l’arena, verso gli sportivi nelle loro tute di rappresentanza che si stanno sfidando sul tartan. Tum! La nostra discesa è bloccata da una superficie sottile ma resistente. Gli atleti, giù, corrono all’interno di una cupola di vetro, dentro la quale sono simulate condizioni ambientali “normali”, o quantomeno consigliabili per la performance sportiva.
I 1500 metri femminili finiscono. All’interno dello stadio, l’ambiente si satura della robotica voce di una nota assistente vocale per la casa che ha fatto carriera e ora è commentatrice unica di tutte le gare olimpiche, di qualsiasi disciplina, e per di più in contemporanea. Chiaramente, parla in inglese, ma tanto le poche parole di presentazione metalliche che sputa sono tradotte in tempo reale grazie ai chip impiantati nei cervelli di ognuno dei presenti.
Finita la gara, è tempo dell’ultima sfida della serata. È la notte della finale dei 100 metri piani maschili, e l’annunciatrice sta per scandire i nomi dei partecipanti: un gioco di luci annuncia l’imminenza dell’evento clou dei Giochi, quello che definirà chi sarà l’uomo più veloce del Mondo. Il silenzio è quasi funereo. Il primo atleta esce con le braccia al cielo, e la commentatrice comincia la sua presentazione. «In corsia numero 1…».
Ok, basta con questa distopia angosciosa, con cui vi ho tolto la voglia di pensare ad altro. Torniamo a guardare al futuro con più ottimismo: se non il futuro della Terra, almeno quello dell’atletica.
Se dovessimo proseguire una versione un pochino meno lugubre di questo racconto chi potrebbero essere gli atleti che si sfideranno nella finale olimpica dei 100 metri delle Olimpiadi di Brisbane 2032?
Ho raccolto per voi i profili di dieci sprinter giovanissimi (nessuno nato prima del 2005) e velocissimi: atleti che di qui a pochi anni (o magari già ai Mondiali di Tokyo di quest’anno) potremmo trovare, senza stupirci troppo, a competere ai massimi livelli, magari proprio alle Olimpiadi di Brisbane 2032 (se non di LA2028). E non è finita qui: perché nel creare la lista ho cercato di viaggiare il più possibile, e di scovare profili provenienti da tutto il Mondo - per evitare il dominio delle Americhe.
Ma credo di aver parlato anche troppo. Cominciamo!
Disclaimer. Ho volutamente incluso solo profili maschili e solo profili di velocisti puri (100, 200, 400 metri). Quindi non troverete Cameron Myers, o quindicenni che corrono i 5000 metri in meno di 14 minuti. Per i profili femminili e i mezzofondisti serve sicuramente una puntata a parte.
Disclaimer 2. Questi sprinter saranno sicuramente degli olimpionici? Risposta breve: non lo so. È letteralmente impossibile dirlo. Si tratta di ragazzi giovanissimi, e ancora in fase di sviluppo: le variabili in campo sono un’infinità, e le cose che potrebbero andare non per il verso giusto sono tantissime (noi ovviamente ci auguriamo solo il meglio per questi giovani atleti: innanzitutto spero di non avergliela gufata). Detto questo, i loro risultati sono eccezionali, ampiamente sopra la media dei loro coetanei e in alcuni casi dei risultati di coloro che ora sono atleti di punta quando erano loro coetanei. Diciamo che il materiale biologico e atletico c’è. Il resto è in mano al lavoro che questi ragazzi faranno in pista con i propri allenatori, e (come sempre) a una buona dose di fortuna.
Disclaimer 3. Il lavoro di ricerca è stato abbastanza lungo. Nel caso ci fossero errori in qualche tempo riportato, o nella consecutio della timeline di qualche atleta, segnalatemelo pure; e, se potete, perdonatemi!
Christian Miller - Stati Uniti, 2006
Christian Miller sembra un distillato che il meglio dello sprint statunitense abbia prodotto negli ultimi anni, e tra i profili che presenterò oggi è quello più promettente, per una serie di motivi. Ve ne sparo subito uno: a 18 anni ancora da compiere (anche se già nella categoria U20) e comunque da high schooler il suo personale sui 100 metri è di 9”93 - a due centesimi dal vigente record di Letsile Tebogo in 9”91, e primo studente di High School in America ad essere mai riuscito a rompere la barriera dei 10 secondi.
Ps. Quando mi riferisco a questo record non sto considerando il 9”89 che l’atleta del Suriname Issam Asinga ha fatto registrare nel 2023; Asinga non ha passato un test antidoping per la sostanza GW1516 e sta scontando un ban di quattro anni.
Miller ha l’accelerazione in uscita dai blocchi di Trayvon Bromell e l’esplosività composta di Christian Coleman; ha la tecnica tutta made in USA di super fenomeni come Justin Gatlin e Tyson Gay (prendete quest’ultima frase con le pinze: c’è tanto da sgrezzare ancora, ovviamente); ha la capacità di mantenere la top end speed di Noah Lyles. E poi, il ragazzo ha indubbiamente un’aura tutta sua: lo stile sarà pure da raffinare, ma la grammatica di base da mattatore delle piste c’è. Più che per le collanazze d’oro - in quasi tutte le foto lo si vede con un crocefisso al collo, o a volte piantato tra le labbra: Miller è fervente religioso e ha aperto un gruppo Instagram di lettura quotidiana delle Sacre Scritture (sui social ha già un certo seguito) - per le fasce che usa per raccogliere i capelli nerissimi, che durante i suoi sprint ondeggiano metronimicamente da un lato all’altro (sinistra-destra, destra-sinis, sini-des), come i ciuffi di sedano che spuntano dalle borse incastrate nei cestelli delle bici delle signore che tornano dal mercato, il venerdì mattina.
Miller ad oggi è alto 175 centimetri, come Christian Coleman e poco più di Trayvon Bromell: la struttura fisica compatta e già discretamente muscolare ricorda quella di questi due sprinter - entrambi, a modo proprio e a diversi gradi, due talenti cristallini mai realizzati a pieno. Sfruttando la potenza pura propria di questo particolare somatotipo riesce quasi sempre a partire davanti già dai primi passi. Ovviamente, nell’ambiente ipercompetitivo statunitense la sua credibilità da centometrista di élite non si esaurisce nelle partenze, perché come abbiamo detto Miller riesce a mantenere una velocità di punta impressionante anche negli ultimi quaranta metri. Anzi, è proprio nell’ultimo terzo di gara che scava i solchi maggiori con il resto degli atleti - e lo si vede in tanti footage che lo riprendono.
Ci sono almeno un paio di considerazioni in più da fare sul perché Miller sembri essere il prospetto più interessante tra quelli che menzioneremo nella lista di oggi. Va bene, facciamo finta che per un high schooler scendere sotto i 10 secondi sui 100 metri sia una cosa normale - e comunque solo altri quattro atleti ce l’hanno fatta: ma a differenza di Miller, erano tutti nel loro diciannovesimo anno di età. La cosa che stupisce di più è che Miller è andato più volte sotto i 10 secondi, anche nel giro di relativamente poco tempo. La stagione 2024 è stata davvero folgorante. Miller ha volontariamente evitato ogni evento indoor per focalizzarsi solo sull’outdoor, con un’idea precisa: provare il suo tutto per tutto per la squadra olimpica. Il suo personale di 9”93 (che è stato il World Leading Time per una buona fetta di stagione) è maturato a un evento ad invito che si è tenuto ad aprile 2024, in Florida, in cui erano presenti, tra gli altri, olimpionici medagliati come Filippo Tortu. Un paio di mesi dopo, al New Balance Nationals di Philadelphia ha fatto 9”95 in semifinale: si è ritirato da quella finale junior per andare a correre con i grandi dall’altra parte degli USA, a Eugene, Oregon.
Direzione Trials Olimpici. I minimi ci sono, e il diciottenne sulla linea prima fa fuori Ronnie Baker (finalista 2021) in semifinale con un 9”94. Poi corre 9”98 in finale: il suo quarto sub 10” regolare della stagione gli vale un quinto posto dietro al terzetto Lyles-Kerley-Bednarek (tra loro e Miller, Chris Coleman).
Oggi, Miller punta come un treno ai Mondiali di Tokyo, dove il minimo per la qualificazione è di 10 secondi, e dove gli Stati Uniti, forti dell’avere tra i loro ranghi il campione del Mondo in carica Noah Lyles, possono portare fino a quattro atleti. Miller ha già confermato che salterà di nuovo la stagione indoor per concentrarsi solo sull’outdoor. Il segnale è chiaro, e i risultati di qualificazione delle scorse edizioni farebbero cadere Christian Miller pienamente all’interno di Team USA per la spedizione giapponese.
Bayanda Walaza - Sudafrica, 2006
Proprio quando il Sudafrica si era illuso di poter dare seguito al clamoroso dominio di Wayde van Niekerk sui 400 metri con le gesta di Akani Simbine sui 100 metri (non tanto sui 200 metri: Simbine è un duecentista buono, ma non élite), con una discreta dose di sfortuna il povero Akani, all’età di 31 anni suonati si ritrova quarto per la seconda volta di fila alle Olimpiadi (alla sua terza finale olimpica: a Rio era finito quinto). Prima, a Tokyo, dietro alla mattanza della mina impazzita Marcell Jacobs; poi, a Parigi, nel vortice di una finale folle, dove tutti i tempi dal quarto all’ottavo sono i più veloci mai registrati per ogni rispettiva posizione (l’ottavo tempo è 9”91).
A togliere a un atleta talentuoso, costante nei risultati, e perseverante tanto e più di molti fenomeni più fumosi il rammarico di non vedere mai al proprio collo una medaglia olimpica ci ha pensato la 4x100 metri. In finale il Sudafrica ha osato un team speciale: ad affiancare il decano Simbine ci sono il 2001 Shaun Maswanganyi, che già dal 2019 vive e si allena negli Stati Uniti (alla Houston University, dove il suo coach è Carl Lewis), ma soprattutto due under 20: il 2006 Bayanda Walaza e il 2005 Bradley Nkoana, rispettivamente primo e terzo staffettista. La prova di coraggio di team Sudafrica ripaga con un grande argento in 37”57 (record africano).
Il più giovane del team, Bayanda Walaza, sembra il prodotto della mente di un fumettista, sia in pista che fuori. Il viso ovale, dalle proporzioni fanciullesche, è sempre decorato da un sorriso a quarantasei denti, e lo si vede spesso con un cappellino con visiera spostato di lato, che lo fa assomigliare ad Adam Horovitz dei Beastie Boys. In pista poi, oh! Walaza sembra la caricatura di uno sprinter. È elastico, in partenza sembra uscire fuori dai blocchi come se fosse rilasciato da una mano che molla una fionda; e poi la sua corsa è dinoccolata, e lo fa sembrare di plastilina: corre ad ampie falcate e le ritma con un movimento delle braccia esagerato, che ricorda quello di Willy il Coyote quando, accortosi che la dinamite che ha lanciato contro Bip Bip gli sta tornando indietro, prova a scappare senza successo.
A proposito di successo, dicevamo: a diciotto anni appena compiuti, e a scuola da finire (ha concluso l’equivalente sudafricano degli esami di maturità a inizio gennaio, e a tal proposito lo hanno intervistato alla TV del Sudafrica: si è presentato all’intervista con il cappellino spostato di lato), Bayanda Walaza ha già vinto un argento olimpico nella 4x100, e poi, più tardi nell’agosto del 2024 ha fatto doppietta ai Mondiali U20 di Lima, dove ha vinto sia i 100 che i 200 metri, davanti a due dei prospetti più promettenti menzionati in questa lista, rispettivamente Puripol Boonson e Gout Gout. Ha un personale sui 100 metri di 10”13, che non sarà fuori da ogni logica come i sub 10” di Christian Miller, ma è costante e coerente al suo percorso di crescita; e a differenza di Miller, almeno per ora, è un atleta più avanti nel suo percorso sui 200 metri - il suo personale è di 20”34 a vento quasi nullo (contro i 20”50 di Miller). Qui la gara dei mondiali U20, contro Gout Gout, dove vince dai primissimi metri, aggredendo la partenza morbida di Gout con un vero e proprio balzo fuori dai blocchi a bruciare il rivale più temibile, e a mantenerlo dietro nella fase più pericolosa della gara, il lanciato (dove l’australiano è micidiale). Sia chiaro, sebbene il materiale di base sia di primissima fascia, Walaza ha chiarissime aree di miglioramento: sia la sua fisicità che la sua forma di corsa tradiscono la necessità biologica da un lato e tecnica dall’altro di qualche sviluppo.
Comunque, Walaza ha dimostrato di poter correre senza troppe pressioni nel palcoscenico più importante di tutti, lo Stadio Olimpico: e non è cosa da poco specie se i rivali sono atleti acclamati internazionalmente e con il coltello tra i denti come Gout Gout e Christian Miller.
Gout Gout - Australia, 2007
Immagina quanto può essere brutto crescere con il fardello di un nome che non doveva essere il tuo. Gout Gout non è il nome che i signori Monica e Bona, immigrati dal Sud Sudan a Brisbane, Australia, avevano in mente per il figlio. Ma poi un impiegato all’anagrafe ha fatto confusione: una vocale di qua, una vocale di là, e il pasticcio è servito. “Gout”: e ti ritrovi il nome di una malattia, la gotta. «Non voglio che mio figlio sia chiamato con il nome di una malattia, non è accettabile», ha comprensibilmente sbottato il padre, che ha precisato: «Il nome doveva essere Guot Guot» - da pronunciare gwot.
Per qualche strano scherzo del destino, però, tra il tuo nome e l’acronimo proprio dei più grandi di tutti i tempi - i GOAT - c’è una sola vocale di differenza. Quando il 7 dicembre 2024, a una ventina di giorni dal suo diciassettesimo compleanno, Gout Gout ha corso i 200 metri in 20.04, piazzandosi al secondo posto della classifica All-Time nella lista dei migliori tempi U18 di sempre (alle spalle del solo Erriyon Knighton) e scavalcando Bolt (nel 2003, a 17 anni aveva fatto 20.13), agli occhi del più grande di tutti i tempi la cosa non è passata inosservata: il GOAT in persona Usain Bolt avrebbe benedetto gli stellari mezzi atletici del ragazzo con il messaggio «Sembra me da giovane», e gli appassionati si sono scatenati.
Dopo un endorsment simile, le cose sono arrivate abbastanza velocemente. In Australia si è scatenata un’isteria collettiva attorno a Gout Gout: tutti ne parlano (è pur sempre diventato il primatista australiano nei 200 metri, battendo un record che durava dal 1968), è addirittura finito al telegiornale (!!! perché se le cose così poco importanti finiscono al telegiornale, allora diventano un po’ più importanti).
Chiramente, c’è anche gente che non ha dovuto guardare il telegiornale per scoprire il potenziale di Gout Gout, un ragazzo che dovrà affinare la tecnica in partenza, ma sul lanciato è minaccia pura: qui un video che spiega per bene cosa intendo dire. Ancor prima che il clamoroso 20.04 sui 200 metri del dicembre scorso si concretizzasse, il ragazzo era già stato squadrato per bene da occhi non indiscreti: ai giorni dell’argento ai Mondiali di Lima Under 20 sui 200 metri (Gout Gout ha partecipato da sedicenne, e si è pure sparato uno sbadiglione da vero Snorlax a trenta secondi dalla partenza), risalirebbe la firma di un contratto multimilionario con Adidas. Che sì, va bene i soldi, ma c’è da studiare! E allora tra le clausole è stata inserita (pare per volontà dei signori Bona e Monica) una particolare deroga per finire il college - Gout Gout non parrebbe contrariato. Poi, anche se pare scontato dirlo, c’è da allenarsi: e visto che essere sotto contratto con uno dei brand sportivi più importanti al Mondo conterà pure qualcosa, Gout Gout avrà la possibilità di accedere alla corte del pupillino Adidas Noah Lyles, andando a fargli visita al suo campo di allenamento.
Lo vedremo già quest’anno ai Mondiali di Tokyo? Sembra molto probabile di sì. Intanto, monitoriamo che cosa ci riservano i prossimi mesi di quello che - lo avrete capito, visto che è la terza puntata a fila che ne parlo - è già diventato uno dei miei personaggi preferiti: quale pagine dovremmo aggiungere all’epopea di Gout Gout, il prescelto sotto investitura del più grande di tutti i tempi?
Nyckoles Harbor - Stati Uniti, 2005
Di tutti gli atleti in questa lista, Nyck Harbor è un caso unico. Partiamo da una premessa: nel 90% dei casi Harbor costruirà la sua fortuna lontano dalla pista d’atletica. Poco male per lui, visto che quasi sicuramente diventerà professionista nella NFL, come wide receiver. Nel 2023, prima di firmare con l’Università del South Carolina (e dopo aver declinato decine di offerte), si è preso un rating a cinque stelle in una lista di recruiting di prospetti per il college.
Poi, per due anni a fila (cosa mai accaduta) è finito per due volte in cima alla lista di The Athletic dei College Footbal Freak List di Bruce Feldman. Il motivo è presto detto: Nyck Harbor è alto 198 centimetri e pesa 110 chilogrammi, corre i 100 metri in 10”10 e i 200 metri in 20”20. Come tanti altri professionisti della NFL - il caso più recente è Devon Allen, ostacolista con due convocazioni olimpiche e recentemente scritturato dalla Grand Slam Track di Michael Johnson (ne abbiamo parlato nella scorsa puntata), con qualche stagione all’attivo nei Philadelphia Eagles.
Harbor (figlio di Jean, calciatore di origine nigeriana, professionista nella MLS e con 15 presenze nella Nazionale Maggiore USA dopo aver ottenuto la cittadinanza nel 1992) ha un debole per le piste di atletica. Già a 12 anni correva i 100 metri in 11”94. Oggi che è cresciuto, affianca l’attività con la squadra di football a periodi di focus con la squadra di atletica dell’Università, i South Carolina Gamecocks, con cui partecipa ai campionati NCAA - collezionando i risultati di cui sopra.

Gary Card - Jamaica, 2007
Una lista sui migliori sprinter Under 20 senza almeno un prospetto giamaicano non può esistere.
E allora ecco qui Gary Card, profilo semisconosciuto che si è già fatto notare in Giamaica: in casa ha vinto i nazionali Under 20 del 2024 sui 100 metri - ha corso in 10”07 in assenza di vento, registrando la settima prova del 2024 per la categoria (e insieme a Gout Gout unico atleta del 2007 nei primi 50 tempi); invece, ai giochi dell’associazione caraibica del libero commercio (CARIFTA - non vi devo ricordare che mix di velocisti mondiali siano spuntati dalle nazioni che aderiscono a questa lega), ha vinto un oro di categoria nei 200 metri con un 20”79, tempo quasi tre decimi maggiore del suo personale, un buonissimo 20”50.
Divine Iheme - Regno Unito, 2009
Non tutte le gare di corsa sono omologate o comunque registrate sul mega database supremo di World Athletics. E così il 10”30 con cui nell’agosto del 2024 il quattordicenne britannico Divine Iheme aveva fatto la Best Performance per la categoria Under 15, abbattendo il precedente di ben due decimi, non decora i tabelloni della federazione, ma non è certo passato inosservato ai media britannici e non, che attorno al ragazzino-prodigio-alieno-mostro hanno cominciato a costruire la narrazione dell’anti-Gout Gout (che questi australiani parlano un po’ troppo).
Iheme, almeno per ora, è inquadrato e composto: parla bene, parla il giusto, dice cose sagge. «Quando la gara sta per cominciare non voglio distrazioni, ci siamo io, Dio, e la pista». È serissimo mentre riporta queste parole a un’intervista per Sky Sport News: non si fa prendere dalla smania dei paragoni con Bolt, non si fa lusingare dai complimenti, né dal fatto che gli intervistatori ci tengano a rimarcare che a quattordici anni il personale di Noah Lyles era praticamente un secondo più lento del suo (11”27). Da figlio di atleti - sia la madre Nkiruku che il padre Innocent hanno corso per la Nigeria a diversi eventi internazionali - e appassionato di atletica di lungo corso, Divine sa che queste sono lusinghe passeggere, e che sì, 10”30 a quattordici anni non equivale a 9”75 a ventiquattro, anche se qualche buon indizio lo può dare.
Eppure, con il suo stile già iconico - c’è quasi sempre un pezzo viola nel suo outfit da gara, e poi vogliamo parlare del durag su tutona Adidas con cui si è presentato all’intervista? - Divine Iheme ha dimostrato di essere qualcosa di più di quel 10”30. Intanto perché i suoi tempi precedenti non erano proprio da buttare - il 10”56 wind legal che aveva registrato a maggio mancava di pochissimi centesimi il primato U15; per il resto una serie di ottime misure (tra cui un 10”46), ma tutte invalidate dalle condizioni del vento. E poi perché la stagione indoor 2025 non poteva iniziare meglio: il 6 gennaio fa un nuovo record, questa volta Under 16 sui 60 metri indoor, correndoli in 6”71 e migliorando il primato di 6”74.
Puripol Boonson - Thailandia, 2006
Puripol Boonson è un atleta che alla fine della sua carriera, qualsiasi essa sia, difficilmente andremo a quantificare su parametri come il tempo nei 100, o nei 200 metri, o dal palmares.
O meglio: faremo sicuramente anche queste cose. Perché Boonson è già nella storia della Thailandia per quello che riguarda l’atletica: e in un Paese che certamente ricordiamo per tante cose, ma non di certo per l’atletica - anche se qualcosa, anche a livello popolare, si sta muovendo (ve la ricordate la seconda tappa del tour asiatico di Eliud Kipchoge, dopo la Cina?) - avere la possibilità di scrivere praticamente da zero una grande Storia è una bella opportunità, no?
Boonson a sedici anni ha corso la semifinale dei 100 metri ai giochi asiatici in 10”06 (Best Performance Under 18, a pari con Christian Miller), e il giorno dopo ha vinto l’argento in 10”02 (prova non regolare per il vento); un anno prima, ha fatto il quarto tempo U18 di sempre nei 200 metri con un 20”19 che lo mette alle spalle giusto di Usain Bolt. Nel 2024, ad appena diciotto anni è stato designato portabandiera del team Thailandia alle Olimpiadi di Parigi, per poi passare le batterie nei 100 metri e arrendersi solo in semifinale; più tardi, a fine agosto, è stato il primo thailandese a vincere un argento ai Mondiali Under 20 di Atletica, a Lima 2024 (nei 100 metri, arrivando dietro a Bayanda Walaza), e ha guidato la 4x100 a un clamoroso bronzo.

Parliamo di un atleta che deve smussare alcuni angoli del suo lavoro in uscita dai blocchi e costruire muscolo per l’esplosività sulla partenza, ma la top end speed è veramente clamorosa e con i pari categoria gli permette sempre di cucire metro dopo metro quel poco che perde in partenza. Vista l’incredibile velocità di punta non stupiscono i suoi risultati di élite, già da giovanissimo, sui 200 metri.
Ma quello per cui - auspico - si ricorderà Puripol Boonson è il solo fatto di esserci stato. Il fatto che la sua esistenza sportiva devota alla velocità sia stata possibile in un paese del sud est asiatico lontano praticamente da sempre dall’atletica di alto livello e dai suoi modelli. La diffusione di internet e la possibilità di accedere allo sport rappresenta una novità per tanti giovani dell’area, che finalmente possono vivere un avvicinamento all’atletica inedito, e che ha già cominciato a regalare profili interessanti all’intero movimento, e a livello mondiale: se Boonson riuscirà a mantenere le sue promesse di modello per questa nuova fucina di talenti, il valore umano del suo portato trascenderà sicuramente qualsiasi merito sportivo.
Jinxian He - Cina, 2006
Abbiamo già parlato del potenziale dell’atletica asiatica mentre scrivevamo di Puripol Boonson. Ma ben prima di Boonson e di quella che sarà la sua eredità, il grande click dell’atletica asiatica e cinese ha il nome di Su Bingtian. I colleghi americani sono d’accordo: Bingtian è importante per l’atletica, più di quanto lui stesso sia pronto ad ammettere. Quanti giovani ha raggiunto? Quanti ne ha ispirati?
Tra questi c’è sicuramente anche Jinxian He, detentore del record nazionale cinese Under 20 sui 100 metri, con una prova da 10”06.
Diego Nappi - Italia, 2007
Il portabandiera italiano in questa lista è Diego Nappi. Sprinter sardo specializzato sui 200 metri, lo scorso anno ha eroso alcuni importanti record nazionali Under 18: ha tolto ad Andrew Howe il record sui 200 metri indoor short track (correndo in 21”52); poi, a luglio ha strappato il record italiano di categoria sui 200 metri oudoor a Filippo Tortu, correndo in 20”79.
Ma Nappi ha trovato il tempo per affermarsi anche a livello europeo. Sempre a luglio 2024, in Slovacchia è diventato campione continentale Under 18 nei 200 metri - ed era la sua prima esperienza internazionale. È partito anche per i mondiali Under 20 di Lima, ma un infortunio lo ha fermato.
Intanto, Diego Nappi continua a lavorare ispirato da Filippo Tortu in Italia, e da Noah Lyles come grande modello internazionale - ha raccontato tutto in questa intervista.
Quincy Wilson - Stati Uniti, 2008
A sedici anni, nel luglio dello scorso anno Quincy Wilson è già entrato nella lista dei migliori 50 migliori tempi di sempre sui 400 metri, correndo l’infame giro della pista in 44”20 - il perché dico infame è spiegato in questo video che ogni tanto reposto perché è molto interessante.
Ora, il fatto che i 400 metri siano una disciplina snobbata da tanti velocisti - spaventati dal dolore procurato dall’attivazione di non uno, non due, ma ben tre sistemi di produzione energetica concentrati in un lasso di tempo breve abbastanza per andare all out sulla pista, ma non breve abbastanza perché si tratti di un’operazione indolore - va sicuramente a vantaggio degli specialisti della disciplina, che si ritrovano field meno congestionati.
E così, Quincy Wilson, grazie al suo talento cristallino e alla capacità di cogliere le occasioni - il 44”20 lo fa segnare a luglio 2024 all’Holloway Pro Classic, in Florida, dove arriva davanti al già olimpionico medagliato e futuro compagno di squadra Bryce Deadmon - lo scorso anno si è trovato prima nella squadra olimpica, e poi con una medaglia d’oro olimpica al collo (pur non avendo corso la finale). A Parigi, Wilson aveva corso la prima prova del round di qualificazione con una prova non brillantissima (aveva chiuso in 47”27, al settimo posto; poi il resto della squadra ha raddrizzato la prova). Come parte del team, una volta ricevuta la sua medaglia, Wilson è diventato il più giovane atleta medagliato nella storia del track and field olimpico.
Con un successo tanto abbagliante e repentino, chiaramente, arrivano i contraccolpi. È uno schema abbastanza classico, e già visto: un fenomeno prematuro vince presto in carriera, poi si scontra contro gli stessi coetanei che strapazzava, che però nel frattempo si sono sviluppati e il suo talento viene parzialmente ridimensionato. Nel mentre, le pressioni sono aumentate. Qualsiasi gara di categoria persa (recentemente Wilson ha ceduto il passo a qualche avversario in alcune gare indoor) viene presa come il segno di un castello di carte che scricchiola. È un gioco un po’ ingeneroso, una specie di capitalismo della vittoria. Quincy Wilson ha dalla sua parte l’età, il talento, una mentalità vincente e una tradizione recente e passata di specialisti - da Michael Johnson a Quincy Hall - che possono supportarlo in un percorso di crescita profittevole.
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