Smetti subito di leggere libri
Perché la lettura non ti migliorerà, e cosa fare perché cominci a migliorarti: il mio pensiero da lettore per una vita
Il vento d’estate soffia fuori dalla finestra del mio studiolo, in un tardo pomeriggio di metà agosto.
Mi sto apprestando a concludere l’ennesima giornata di lavoro, mentre i colori della sera libera da nuvole preannunciano un crepuscolo non troppo caldo: le condizioni perfette per uscire a fare una corsa. Ma oggi non si parla di corsa.
Come di consueto, prima di chiudere il PC e di dichiarare la mia giornata di lavoro ufficialmente conclusa, faccio una rapida capatina su LinkedIn. È un profanissimo rituale che ho consolidato in qualità di atto estremo della mia giornata di lavoro. Perché mi concedo una capatina su LinkedIn in questa occasione? Per due motivi:
Nella marea di post passivo-aggressivi, apologetici; tra i piagnistei e le frecciate, i battibecchi tra adulti che si danno del Lei all’interno di questo particolarissimo tipo di agorà social, qualche spunto interessante e utile relativamente al mio settore lavorativo è ancora possibile trovarlo;
Accodare questa cernita di contenuti alla giornata lavorativa ha il duplice vantaggio di ridurre al minimo la necessità di entrare su LinkedIn una volta spento il PC, quando la campanella è suonata per l’ultima volta nella giornata. Che se già è triste indugiare sui social più del necessario (ne abbiamo parlato scorsa settimana), figuriamoci buttare un occhio su LinkedIn durante l’aperitivo, di ritorno da una corsa, in un dopo cena passato con amici, famiglia, affetti. O anche da soli.
Dicevo, in una delle mie giornaliere incursioni sul social del lavoro, mi imbatto in un post che dice pressapoco così - l’asterisco serve a ridurre a un numero prossimo allo zero le già scarse possibilità che chi ha scritto il post possa essere rintracciat*:
Sono triste di non essere riuscit* a leggere neanche un libro quest’estate. La lettura è un atto di miglioramento imprescindibile, e aver perso l’occasione di leggere un sacco di libri mi è pesato. Perché leggere apre la mente e insegna tante cose… Avevo come obiettivo quello di leggere 50 libri in un anno, la media di uno a settimana circa, e non ci sono riuscit*
Una considerazione preliminare: chi conosce LinkedIn capirà che il post è una parafrasi: un utente del social che scrive un post simile mediamente inserisce almeno un venti percento di termini anglofoni; per non parlare degli hashtag che fanno tanto Instagram dei primi tempi. E che in questo social per liceali nel corpo di CEO, COO, CFO, CMO non stonano per nulla.
Ora, in caso io non fossi riuscito a leggere neanche un libro quest’estate, mi troverei a condividere la stessa tristezza di chi scrive, per un motivo ben preciso: adoro leggere. Già a partire da giovanissimo ho sempre trattato la lettura come un’attività irrinunciabile.
Fortunatamente durante tutto il corso dell’estate sono riuscito a ritagliarmi il giusto tempo per la lettura e ho avuto la fortuna di imbattermi in libri veramente interessanti, di cui magari parlerò in uno dei prossimi episodi.
Non sempre ho avuto la fortuna che mi è capitata quest’estate, ovvero il tempo di leggere. È successo che io abbia dovuto rinunciare con mio grande rammarico alla lettura, per via delle classiche cause di forza maggiore. Può capitare che durante certi periodi della propria vita no, il tempo per fare qualcosa che si vuole fare con tutto il cuore non si trovi: è un discorso universale, che di certo non si applica solo alla lettura. Se siamo abbastanza fortunati si tratta soltanto di una fase - anche se purtroppo non è sempre il caso.
Ma torniamo al post di LinkedIn. Ho trovato parte del contenuto di questo post problematico.
La problematicità di questo tipo di contenuti - questo post non è il primo del genere che vedo - risiede in alcune implicazioni sollevate dagli assunti finali del post:
Leggere tanto è un atto di miglioramento in senso assoluto?
Definire una quota puramente quantitativa di lettura, come ad esempio “leggere un libro alla settimana”, ha una effettiva influenza sul miglioramento personale?
In questo episodio provo a fare alcune considerazioni da lettore su queste due domande.
Leggi e diventerai una persona migliore: è così?
Veniamo alla prima domanda: leggere tanto è un atto di miglioramento in senso assoluto? O, in altre parole, posso diventare automaticamente una persona migliore solo per il fatto di leggere?
La risposta è semplice: no. La lettura non ha nessuna ricaduta positiva in senso assoluto sulla qualità della tua persona, del tuo pensiero, delle tue abilità.
Dispiace che non sia così, per certi versi: penso a quanto sarebbe facile, almeno per me che amo leggere, essere una persona molto migliore di quella che sono, a trecentosessanta gradi. Se l’auto miglioramento fosse facile come pescare un libro qualsiasi da uno scaffale, o da una bancarella di libri usati, vivremmo in un mondo popolato da persone migliori.
Tutto qui? No, procediamo con lo spiegare questa risposta per certi versi fin troppo secca. Perché leggere non ti rende una persona migliore?
Dividiamo la spiegazione in due parti.
1. La lettura è qualcosa di molto complesso (e va allenato)
Vedo spesso manuali di scrittura, saggi sulla scrittura, corsi di scrittura. Raramente capita di imbattersi in contenuti sulla lettura: non certo lettura espressiva, o lettura creativa. No, parlo della lettura come gesto intimo e quotidiano, la lettura in silenzio, che svolgiamo nella banalità delle quattro mura della nostra stanza prima di dormire; o sotto marittimi cieli estivi, e ombrelloni.
Di rado ci facciamo domande su come essere lettori e lettrici migliori, più attenti, più efficaci. Un’etica del lettore, quella che il professor Raimondi profilava quindici anni fa per addetti e lavori e non, sarebbe oggi forse necessaria: magari una versione meno accademica e più pop.
Siamo sicuri di saper leggere? E ancora: Siamo sicuri di saper compiere l’attività a cui chiediamo di migliorarci?
Leggere è un complesso insieme di gesti, un atto di decodifica e interpretazione. Su un numero di specie animali conosciuto che oscilla tra quattro e cento milioni solo gli esseri umani sono in grado di leggere.
Leggere è difficile. Difficile credere che un’attività che impariamo a sei anni e svolgiamo ogni giorno sia difficile?
Vi farò ricredere.
Non ci siamo evoluti per leggere: lettura e scrittura sono attività del tutto superflue rispetto ai primordiali bisogni del nutrimento, del sonno e della riproduzione. Se vogliamo, la lettura è uno spreco di preziose energie - leggere consuma calorie.
Alla difficoltà pratica a cui sottoponiamo il nostro cervello mentre leggiamo dobbiamo aggiungere livelli di interpretazione della lettera: immaginiamo di prendere con il loro significato letterale frasi metaforiche come mi scoppia la testa, ho l’acqua alla gola, sono a pezzi. Decodifica dei segni che compongono le parole prima, decodifica dei messaggi poi.
Ma queste sono cose basilari, vero? Le figure retoriche sono roba da scuola elementare. E allora proviamo ad aggiungere alla lettura un contesto: contestualizziamo le frasi di prima per capire che sto vivendo stati di malessere, ma non sono letteralmente a pezzi; aggiungiamo profondità storica ad un saggio, scaviamo tra le nostre conoscenze pregresse che l’autore dà per scontate; oppure, per il tempo della lettura reggiamo il gioco della finzione entro cui la storia di un romanzo prende vita.
Leggere è difficile. Siamo tutti d’accordo ora?
Solo connettendo tutti i puntini e aggiungendo livelli di complessità a quello che leggiamo è possibile fare sì che il testo scritto ci comunichi qualcosa di digeribile e riutilizzabile. Il nostro atteggiamento di lettori deve essere proattivo verso il testo, lo deve interrogare; e se come gesto estremo ci facciamo interrogare dalla lettura, essa può trasformarsi in un atto di valore, in un esercizio intellettuale prolifico: qualsiasi sia il movente che ci spinge a leggere.
Quando leggo ho il vizio di sottolineare tantissimo, di fare orecchie ai libri, di prendere note - tutte cose che nel tempo mi sono valse rimbotti ed epiteti come bestia di Satana. Solitamente il mio segnalibro è una matita. Il mio personale modo di leggere è un processo che ho imparato col tempo, che mi aiuta a digerire meglio i contenuti che fruisco, che aiuta un essere umano come tutti gli altri, non nato per leggere, a immagazzinare le informazioni utili e a ricordarsi quello che legge.
L’attenzione e la concentrazione che la lettura richiede sono caratteristiche che vanno allenate.
Prima di chiedere alla lettura di migliorarci, chiediamo a noi stessi se abbiamo tutti gli strumenti a disposizione per fare sì che la lettura possa essere un effettivo mezzo di miglioramento.
2. Quale miglioramento?
Chiediamo alla lettura di migliorarci: ma rispetto a cosa? A che scopo?
Vogliamo migliorare una certa competenza come può essere, ad esempio, la nostra conoscenza dell’economia, della geopolitica, della botanica, della cucina? Migliorare il nostro rapporto con gli altri, con la nostra anima, con l’umanità come concetto?
Pur essendo un lettore di lungo corso, non sempre la lettura è stato il mezzo di miglioramento che ho scelto per lavorare su certi aspetti della mia condizione.
Per fare la transizione dalla mia formazione letteraria, migliorare le mie competenze digitali e cominciare a lavorare in un settore altamente informatizzato ho evitato di affidarmi alla lettura, nello specifico alla letteratura inerente il settore nel quale sono entrato. Ho preferito altre forme di trasmissione del contenuto, con le quali ho interagito in maniera diversa rispetto a come avrei interagito con la lettura.
Trovo sbagliato porre in un gradino gerarchico inferiore a quello della lettura metodi di apprendimento validi e validati solo perché il libro gode di un alone di sacralità in saecula saeculorum. È giusto che questa sacralità sia mantenuta: ma non vanno dimenticati i nostri obiettivi, e ciò che è funzionale al loro raggiungimento.
Leggere tanto
Veniamo alla seconda domanda della nostra indagine: Definire una quota puramente quantitativa di lettura, come ad esempio “leggere un libro alla settimana”, ha una effettiva influenza sul miglioramento personale?
Ricordo che da piccolo, credo in prima o seconda elementare, io e i miei compagni di classe ogni tanto andavamo dalla maestra di matematica a dire: «io so contare fino a cento».
La risposta che ci veniva data tra un sorriso e una pacca sulla spalla era sempre la stessa: bravi, ma a cosa vi serve saper contare fino a cento? Vi ha aiutato a risolvere qualche problema?
Ecco la perplessità nei nostri occhi: ma come, saper contare fino a cento non deve servire a qualcosa, se so contare fino a cento sono semplicemente più sveglio di chi sa contare solo fino a novanta. Non fa una piega, d’altra parte i bambini sono i migliori a trovare risposte semplici ma efficaci a problemi complessi.
Mi sembra che si possa estendere la duplice risposta che la maestra di matematica ci dava quando, baldanzosi, ci spingevamo verso il nostro personal best nel conteggio da uno a n, alla seconda domanda che ci siamo posti in apertura: definire un obiettivo minimo di letture, e nel caso raggiungerlo, ha una effettiva influenza sul miglioramento personale?
Un no in assoluto è riduttivo in questo caso: perché la risposta della maestra non era contare fino a cento non serve a nulla, ma l’invito a riflettere se contare fino a cento fosse stato di qualche utilità.
Leggere tanti libri può esserti di beneficio: allo stesso modo in cui ascoltare molti audiolibri o podcast può avere ricadute positive; o ancora, guardare un sacco di video su un certo argomento; seguire moltissimi videocorsi, ecc.
Certo che leggere cinquanta, cento, mille libri all’anno può essere qualcosa di benefico: a patto che la lettura sia quel processo attivo, attento, curioso, critico di cui abbiamo parlato prima. A patto che i cinquanta, cento, mille libri siano interrogati a dovere, siano fruiti nella loro forma contemporanea di ipertesti in grado di aprirsi a una molteplicità di connessioni con il mondo, e con la tua specifica esperienza personale.
Dal mio punto di vista, stabilire una quota di letture da raggiungere assolutamente durante un determinato periodo di tempo è inutile, e può avere ricadute negative sul rapporto personale instaurato con la lettura.
Conclusione: leggere serve a qualcosa?
In queste poche righe, parzialissime e sicuramente manchevoli di approfondimenti necessari, ho espresso il mio punto di vista sulla lettura.
A confutare questa visione ci ha pensato un elemento di spicco della elite culturale del Paese. Nientepopodimeno che il nostro ministro della Cultura, il quale si è (auto)imposto di leggere almeno un libro al mese, definendo l’autoimposizione come un atto di disciplina, «come andare a messa».
Scacco matto, Lorenzo.
Non volevo chiudere su una nota negativa, la nota di bordone che accompagna il mio requiem: sconfitto da un ministro della Repubblica. Per cui ci tenevo a finire con qualche considerazione sull’utilità della lettura.
Leggere serve a qualcosa? A me, personalmente, sì: tuttavia, capisco il punto di vista di chi non legge, e spesso ne comprendo anche le motivazioni. Sicuramente, nel corso del tempo ho imparato a non dare giudizi di valore basati sul compiere o meno un azione.
Per me la lettura è diventata una valvola di sfogo, un’attività molto più leggera di quanto non fosse un tempo, tempo in cui da studente di Lettere, da addetto ai lavori, questa attività era connotata da un gravitas, che rendeva la lettura a volte asfissiante: a partire dalle letture che svolgevo, che dovevano essere serie e ricercate. Professionali, insomma. Guai ad aprirsi al contemporaneo, alla varia, a quello che leggono le altre persone per avere uno straccio di conversazione normale sulla lettura, una volta tanto.
Come ci ha insegnato Calvino, autore fondamentale, già comparso su questi lidi, la leggerezza che provo oggi mentre leggo non è negligenza o rigetto verso quello che è importante, ma acume, possibilità di guardare le cose più pesanti con sguardo libero e fresco. Come direbbe Dante, rinovellato.
Ecco, proprio la leggerezza è la chiave del mio rapporto con la lettura, ciò che mi permette di essere costante nel mantenere questa abitudine, traendone beneficio e, in definitiva, miglioramento: nella qualità della mia vita e quindi, di riflesso, nella mia persona.
Mi piacerebbe che chiunque si approcciasse alla lettura lo facesse più con leggerezza che con la pretesa di richiedere alla lettura un miglioramento, o con il secondo fine di essere la persona più interessante in una stanza, o qualcuno con qualcosa da dire.