Quanto tempo passerai davanti al tuo smartphone prima di morire?
Come mi sono accorto di avere un problema con l'uso del cellulare e dei social
Disclaimer 1: Questa puntata è più lunga e densa del solito. Disclaimer 2: in questa puntata non si vuole denigrare in senso assoluto tecnologia e Social Network, né esprimere giudizi su nessuna persona. Sono le mie considerazioni personali, parte di un vissuto, su un tema che mi tocca molto da vicino.
Sono le quattro di pomeriggio di lunedì, circa un mese fa. Sto lavorando da ormai due ore nel pomeriggio, alzo la testa dal PC - esperti e linee guida per operatori da videoterminale che nessun operatore da videoterminale ha mai letto consigliano di levare lo sguardo dallo schermo ogni 20 minuti, fissando un punto lontano.
È ora di una pausa.
Il muro, forse a un metro dalla mia faccia, non è un panorama soddisfacente. Guardo fuori dalla finestra. Non che Turro, Milano sia un circo quando si tratta di fornire intrattenimento pomeridiano durante una pausa di lavoro - specie in un lunedì, di luglio.
Prendo il telefono, apro Instagram. Scrollo una, due volte. Lascio un like, pigio su una storia. Tap, tap, pubblicità, tap, noioso, esco dal loop. Qualcuno mi ha mandato un messaggio. Un reel. Ahahahah, di circostanza. Solite cose dai, quello che fa qualsiasi utente.
Poso il telefono, faccio due passi. No, l’armadio bianco non è una fonte di intrattenimento più divertente di Instagram. Torno al telefono, apro Instagram. Scroll, tap, noioso; check dei messaggi. Qualcuno ha messo like al video che ho inviato a mezzogiorno. Di nuovo, solite cose.
Poso il telefono. Sto per andare in bagno, ma vuoi mai andarci senza il telefono?
Sto per alzare il telefono per la terza volta nel giro di dieci minuti. Dieci minuti impiegati a fare assolutamente niente, ma che mi hanno lasciato una strana sensazione di appesantimento mentale e annebbiamento nel retrocranio, e hanno diminuito la mia concentrazione appena mi rimetto a lavorare.
Fossero solo dieci minuti qua e là durante la giornata il problema… e invece no, questi dieci minuti nell’arco della mia giornata si moltiplicano fino a diventare ore.
Sì, non è esagerato, ore. Instagram, Twitter, LinkedIn - eh sì, pure LinkedIn, Milano insegna a fatturare e chi non sta su LinkedIn non piglia pesci.
Alla fine di questo screentime, una vera e propria consustanziazione con lo schermo, mi sento esausto. Le mie riserve di autonomia per dedicarmi a qualsiasi attività che richieda un minimo di concentrazione e lucidità sono non dirò esaurite, ma sicuramente ridotte.
E se la pillola di Maccio non servisse, e bastasse avere il telefono in mano, usato per saltellare da un social all’altro, da un giochino all’altro, da una notizia futile all’altra, per ridurre l’utilizzo della materia grigia al 2%?

Una partita che non posso vincere?
Analizziamo la situazione: in campo ci siamo io e il mio uso del cellulare, che a parte emergenze varie, comunicazioni e ““fotografie””, utilizzo non tanto per il lavoro, quanto per la navigazione sui social.
La partita è tra me - essere umano finitimo, dalle capacità intellettive, fisiche e psichiche limitate, l’attenzione di un pesce rosso (circa 8 secondi, destinati a calare con l’avanzare in questa Dopostoria) e un bisogno spasmodico di dopamina - e un esercito di scienziati al soldo di compagnie miliardarie il cui unico scopo è mettere in atto qualsiasi trappola per tenermi incollato allo schermo.
Non posso vincere, sono in balia degli stratagemmi che questi diabolici strateghi attuano ogni giorno per catturare la mia attenzione e focalizzarla su gattini che vanno sullo skateboard.
La visione è disfattista, ma inizialmente mi sento sollevato dall’apologia di me stesso che sono riuscito a imbastire tramite questa spiegazione.
Bella spiegazione, certo: ma non mi soddisfa, e cerco di fare mente locale. Ci sarà qualcosa che potrò fare per correre ai ripari e recuperare il mio tempo: dopotutto sono un essere senziente dotato di libero arbitrio, giusto?
Provo a dividere la questione in tre parti:
Perché questa emorragia di attenzione dovrebbe rappresentare un problema?
Come posso agire per tamponare, arginare la cosa?
Cosa mi aspetto di ottenere da questa azione di tamponamento?
L’obiettivo di questo episodio è di provare a dare una risposta a queste domande.
Perché questo surplus di attenzioni è un problema?
Alla prima domanda credo di poter dare non una, ma ben tre (!!) risposte: pur sommarie e parziali, ma non siamo nel campo delle risposte semplici.
1. Il tempo: la variabile delle variabili
La prima variabile che il mio utilizzo di social ha intaccato è il tempo.
Quando si dice che la merce di scambio tra noi e i contenuti social è la nostra attenzione, sfugge il punto della questione. Non si tratta solo di attenzione e magari si trattasse solo di questo.
La vera merce di scambio tra noi e il contenuto social è il tempo. Che poi stiamo attenti o non stiamo attenti a quello che succede sul nostro schermo poco importa: stiamo ugualmente perdendo tempo.
Con questo non voglio dire che tutto il tempo passato su tutti i social in tutti i momenti sia spazzatura. Passo piacevolissime ore su YouTube a guardare - ascoltare - video divulgativi e dibattiti di alto livello. A volte, addirittura, guardo la Televisione (raro, ma capita).
Proviamo, fuor di proverbio, a trattare il tempo come fosse denaro: supponiamo di passare una media di 3 ore giornaliere davanti allo schermo dello smartphone, a fare cose a basso impatto cognitivo - vi assicuro che questo quantitativo orario non è esagerato.
Quanto è salato il conto?
In una settimana, passeremmo una media di 21 ore davanti allo schermo - quasi un giorno su sette.
In un mese passeremmo una media di 84 ore davanti allo schermo - tre giorni e mezzo del mese.
In un anno passeremmo una media di 1008 ore davanti allo schermo - che fa 42 giorni davanti allo specchio; quasi un mese e mezzo all’anno sullo schermo.
Considerando una vita media di 80 anni da oggi, secondo la mia età, dovrei finire per spendere 53.424 ore davanti allo schermo, senza contare le ore passate fino a questo momento. In pratica, dovrei stimare uno screentime complessivo di più o meno 10 anni - in un’ipotesi molto rosea.
Pagheresti 10 anni di tempo a un social network per il tuo intrattenimento?
2. La qualità del tempo trascorso
Attenzione però: perché anche additare il tempo stesso dell’intrattenimento come dannoso tout court è sbagliato, anche qualora questo intrattenimento fosse consumato davanti allo schermo.
Il problema è la qualità dell’intrattenimento, il carico cognitivo richiesto da queste attività. Non sarà l’analogia più corretta, ma mi piace pensare all’intrattenimento come a una sorta di cibo.
Chi non si è mai ritrovato in una di quelle grigliate a casa di amici in cui l’unica cosa da mangiare fintanto che la carne non si cuoce sono immense ceste di patatine? Con quei boccioni di coca cola da 2 litri (caldi) o con le birre da 0.66 “raffreddate” in freezer, vanno giù che è un piacere, una tira l’altra e i sacchetti formato famiglia sono letteralmente senza fondo: in breve, arrivata finalmente la portata principale la fame è completamente passata.
Accompagnata anche da una sensazione di fastidio.
Bene, trasportate questo senso di appesantimento a una mezz’ora a scorrere reel scollegati l’uno dall’altro su Instagram, o venti minuti passati a leggere commenti di post randomici o polemici su Facebook, o su Twitter (non ce la faccio a chiamarlo X, mi perdoni mr. Musk). Come patatine, uno dopo l’altro questi contenuti scivolano via verso il nostro cervello che incamera input su input su input su input.
Non c’è niente da digerire - tutto si accumula in un sovraccarico di informazioni difficilmente riutilizzabili. Adipe. Che sfinisce da un punto di vista cognitivo - si tratta pur sempre di diversi minuti di esposizione a contenuti diversissimi e mai veramente collegati.
Alla fine di queste vere e proprie maratone di intrattenimento mi accorgo che la fame per le attività che richiedano concentrazione, impegno, lucità sono compromesse. Fatico a trovare concentrazione per tornare a lavorare con slancio, o per cominciare un’attività come la lettura.
3. La minaccia all’intenzionalità
Il principio di intenzionalità su cui ho deciso di basare le decisioni da prendere durante il mio 2023 è minato dal mio uso del cellulare.
È spaventoso: un buon 50% delle interazioni che ho con lo schermo e con i social parte da un moto praticamente involontario dei miei muscoli e del mio cervello, che senza alcun tipo di mio permesso cosciente si attivano per farmi ritrovare senza che io possa opporre resistenza davanti al mio feed Twitter, o Instagram.
La naturalezza del gesto è nello schema motorio, che mi porta ad agire senza alcun tipo di frizione, come se avessi perfettamente memorizzato il codice che mi permette di agire per trovarmi sulla piattaforma desiderata.
Provo a osservarmi dall’esterno: il mio corpo ha memorizzato uno schema motorio che mi porta nel giro di una manciata di secondi a sbloccare lo schermo, individuare a memoria il logo dell’applicazione, cliccare e voilà, sono bello che comodo su Instagram.
Tutto succede senza la minima frizione. È talmente facile da essere diventato naturale, quasi come lo stimolo a grattarmi quando sento prurito. Mi è capitato di eseguire questo pattern anche mentre altre persone mi parlavano e io le stavo ascoltando: e d’improvviso bam, due mosse codificate delle dita e mi ritrovo immerso nel loop.
L’impotenza che provo appena mi rendo conto dell’inesorabilità di questo gesto è incredibile.
Ho percepito una minaccia alla mia sfera umana e professionale: e ho deciso di farmi aiutare contro quella che considero, a tutti gli effetti, una dipendenza
Farsi aiutare
Arriviamo, quindi, alla seconda domanda: Come agire per arginare il mio problema?
Di recente sono entrato in farmacia e ho chiesto alla farmacista se conoscesse rimedi per non mangiarsi le unghie: mi ha confessato di avere avuto lo stesso problema, e di averlo risolto attraverso l’autocontrollo.
Autocontrollo, ma certo, è così facile. No non è facile.
Con tutte le migliori intenzioni: ripongo il telefono in un’altra stanza, silenzio le notifiche, nascondo le applicazioni galeotte in una cartella segreta del tuo device, sperando di mandare in tilt lo schema motorio che mi porta in pochi secondi sui social. Ma spesso non basta. Ci ho già provato, e ho sempre bypassato in maniera rapida questi trucchi.
Nella missione fondamentale di riconquistare il mio tempo ho provato a farmi guidare da qualche strumento. E devo dire che per ora, a un mese dall’inizio del mio percorso, l’aiuto di questi mezzi si sta rivelando molto proficuo.
Vi presento un paio di strumenti che utilizzo e che ho utilizzato, e spero possano essere utili a chi dovesse accorgersi di avere, come me, un problema con il proprio tempo di utilizzo dei social.
Nessuna delle due applicazioni menzionate sponsorizza questo episodio, non si tratta di pubblicità di nessun tipo ma di consigli dettati solo ed esclusivamente dalla mia esperienza personale.
1. Opal
Ritrova il tuo focus - questo il leitmotiv di Opal.
È l’app che sto utilizzando da un mese per monitorare il mio screentime.
A partire da infografiche personalizzate, Opal mi ha chiaramente mostrato come fossi sulla buona strada per passare tra i 10 e i 17 anni della mia vita a guardare in basso sullo schermo del mio device.
Quello che adoro di Opal è che ti sassa letteralmente fuori dalle app designate come improduttive. Sfori un limite giornaliero, od orario da te impostato? Via, Opal ti chiude in faccia l’app galeotta, e non si rientra.
Settare sessioni di studio, lavoro, concentrazione, è semplice e la durata si può impostare a piacimento: durante questi momenti le app selezionate sono inaccessibili. Circumnavigare l’accessibilità non è semplice come andare oltre ai “limiti” che si possono settare con iPhone - ma alcuni break durante le sessioni di focus sono comunque concessi.
Ogni giorno, Opal restituisce dati sull’effettivo tempo in cui lo schermo è stato acceso, report sullo stato di concentrazione (da 10 “molto concentrato” a 1 “super distratto”).
Per ora, è possibile combattere la crociata di Opal contro il tempo improduttivo passato davanti allo schermo solo se si è utenti iOS - per dirla in maniera meno ganza, se hai un iPhone. Oppure se si utilizza il browser Chrome, in quanto Opal ha sviluppato un’estensione che cattura lo screentime anche su PC.
Ad oggi, il mio tempo di utilizzo dello smartphone si è ridotto del 50% utilizzando questa app (non malee), e la mia percezione generale durante l’orario di lavoro è quella di essere più concentrato e meno attratto da sirene social.
Qui il link a Opal.
2. Forest
Una delle mie app preferite durante il periodo universitario. Forest è tanto semplice quanto geniale.
Vuoi iniziare una sezione di concentrazione, ad esempio durante lo studio o il lavoro? Bene, entri sull’app e pianti un albero, tanto più grande quanto più lunga la durata delle sessioni - da 5 minuti a 2 ore.
Porti a termine il periodo di focus senza distrarti sul cellulare? L’albero viene piantato nel tuo giardino. Cominci a utilizzare il telefono durante il periodo di focus? L’albero muore, e nel tuo giardino viene piantato un alberello stecchito. E tu ti senti proprio una merda.
La regola del gioco è semplice: non far morire l’alberello.
Con le monete premio che si guadagnano solo ed esclusivamente attraverso il tempo di concentrazione trascorso si possono finanziare, a mano a mano, progetti di piantumazione di alberi in zone disboscate del mondo - come l’Amazzonia.
Forest è disponibile sia su dispositivi iOS che Android.
Qui il link a Forest.
Ma poi, del tempo che recuperi, che te ne fai?
La vera domanda da 100 mila dollari potrebbe legittimamente essere questa. Che senso ha preoccuparsi, sbattersi, parlare di qualità del tempo se poi di quel tempo… non saprei che farmene? È il succo della terza domanda: Cosa voglio ottenere da questo tempo recuperato?
Il problema del tempo recuperato è importante, ma non il più importante: c’è una cosa più importante.
La capacità di stabilire in maniera consapevole come e se spendere tempo facendo attività a basso carico cognitivo che prevedano l’esposizione a social o comunque allo smartphone.
Combattere un sintomo che risponde all’identikit della dipendenza ha tutto il valore del mondo.
Stai per leggere la frase più retorica che potesse chiudere questo numero. Ci sono un sacco di cose che si possono fare oltre lo schermo: non si tratta di cose di per sé migliori o peggiori di attività che puoi svolgere sullo schermo. Ma sono attività che esistono, e tutti gli esseri umani vi si confrontano, anche se non è qualcosa di cool da mostrare.
Insomma, manca un pezzo della narrazione. Quello in cui chi posta è insicuro quanto te, ha una vita piatta almeno quanto tu reputi piatta la tua, non ha niente di interessante da fare, vedere, condividere.
Non è giusto che sia io a indicarti come vivere la tua vita al di fuori della tua identità social. Non la chiamerò vita vera, in un mondo in cui le nostre esistenze sono inestricabilmente fisiche e digitali.
Inoltre - e chiudo - non so quale possa essere il motivo che spinge le persone a passare una media di un mese e mezzo all’anno sui social, e d’altro canto non voglio giudicare. Insoddisfazione? Curiosità? Solitudine? O magari, nel caso di un Social media manager, o Influencer, la professione? Nel mio caso è (stato), credo, un sentimento costante di irrealizzazione, dettato dalla famigerata FOMO. Ma qui si apre un capitolo diverso, che forse merita un episodio a parte.
Per ora, basta sapere che sto facendo pace con l’eterno ritorno della quotidianità, nei suoi aspetti più noiosi. Quegli aspetti noiosi certo, ma veri e per questo inafferrabili, che 15 minuti sui social a fantasticare sulle vite perfette degli altri possono al massimo edulcorare.