Le cose più importanti
Racconto di una corsa a Niguarda, il quartiere antifascista di Milano
Buongiorno e buona domenica!
È uscito il terzo episodio di Storie di Corsa.
Dopo lo spoiler della scorsa puntata di A cosa penso quando corro?, nella terza uscita del podcast racconto la Maratona di Boston: la maratona degli americani. Una storia ininterrotta dal 1897 (di vicende incredibili, in questo arco temporale lunghissimo, ce ne sono state tantissime).
Ascolta il podcast e fammi sapere che ne pensi!
Il tempo degli addii?
Nel pomeriggio del 25 aprile 2024, Milano è insolitamente fredda; per il tenore di questi giorni è altrettanto insolitamente soleggiata.
Sono tornato in città da poco più di ventiquattro ore. Ho passato la vigilia del 25 chiuso in casa per la pioggia: ho giusto sfruttato un rettangolino di sole, caduto provvidenzialmente in pausa pranzo, per tornare a correre sulla Martesana.
Per motivi non molto interessanti e che non sto a spiegarvi, saranno le ultime corse che farò sul naviglio. Mi rendo conto di questo fatto quasi per caso.
Si stinge il cuore: se ripenso a quello che per me ha rappresentato questo naviglio… Mi ero ripromesso di fare un’ultima, lunga corsa sulla Martesana: un addio come si deve. Quale giorno migliore di un sabato di pioggia, scuro abbastanza da rabbuiare il mio animo che invece voleva buttarla sul ridere?
E invece no.
Il tempo dell’addio ci sarà. Questo sabato le mie corse sono state dirette in un altro luogo.
Un 25 aprile a Milano
All’inizio parlavo della bellezza cristallizzata dal sole pieno e freddo di Milano nel pomeriggio del 25 aprile. Ero in giro con Beatrice, la mia ragazza: stiamo camminando senza una meta precisa. Partiamo da casa e senza un vero motivo decidiamo di evitare la metro: questo sole mette allegria e un’insolita voglia di coprire le distanze di Milano a piedi. Viale Monza, Piazzale Loreto, Corso Buenos Aires; poi ci addentriamo per i viali alberati attorno a Porta Venezia.
Chiacchieriamo. Beatrice mi racconta del suo quartiere, Niguarda: come per tutti i quartieri di Milano, da qualche parte in rete qualcuno ha scritto che a Niguarda non sembra neanche di stare a Milano.
In effetti, no. Al di là dell’ospedale per cui è famosa, Niguarda è un quartiere verde (c’è pur sempre il Parco Nord), ci sono i tram che passano, le vetrine sui larghi marciapiedi di via Luigi Ornato. C’è la bellissima Villa Clerici, un’antica cascina che ricorda di quando, appena cinquant’anni fa, Niguarda era campagna, latifondo. Penny Lane, ecco cosa mi sembra di sentire: nell’aria c’è Penny Lane, con tutte le persone che vanno e che vengono che si fermano e salutano.
C’è un altro motivo per cui Niguarda è famosa e cara ai milanesi. È racchiuso nella scritta che campeggia su un murales gigante all’imbocco con via Majorana, andando verso l’ospedale: Niguarda Antifascista. Mi spiega Beatrice che quest’opera (davvero enorme) è a Niguarda per un motivo: il quartiere è stato il primo a Milano in cui la Liberazione è iniziata. Addirittura un giorno prima rispetto all’annuncio dell’insurrezione generale partigiana e della liberazione di Milano: il 24 aprile! I combattimenti a Niguarda hanno anticipato di un giorno lo storico annuncio con cui il Comitato di Liberazione Nazionale - che aveva sede a Milano - invitava i partigiani dell’Alta Italia a insorgere contro i presidi fascisti e tedeschi.
Corsa a Niguarda
Con un prurito che monta per il fatto di non essere mai stato a Niguarda nonostante i miei ben tre anni di permanenza a Milano, decido che la corsa di sabato sarà diretta verso questo quartiere.
E quindi, sabato mattina eccomi pronto a partire.
Il tempo fuori minaccia acqua. Mi infagotto nel k-way: mi verrà caldo, sicuro maledirò l’idea di essermi coperto troppo. Mi avvio lentamente lungo viale Monza, fino all’intersezione con il Naviglio. Ripercorro un brevissimo tratto di Martesana, al contrario rispetto al mio solito, e mi dirigo verso il quartiere di Greco. Un lungo cavalcavia sovrasta il reticolato delle ferrovie che si srotolano tra la stazione di Greco Pirelli e Garibaldi, sotto il pinnacolo della torre Unicredit. Alla mia sinistra, c’è il cimitero di Greco, verdissimo e infiorato. Poi, incappucciata dalle nuvole, spunta lontana la torre Unicredit, capolavoro di vanity architecture che si arrampica fino in cielo. Dal lato opposto, c’è la città che sale come doveva vederla Boccioni: le gru, i palazzoni, l’anima futurista di Milano. Il quartiere Bicocca.
Niguarda Antifascista
La sfilata dei cartelloni elettorali e i sorrisetti di questo, quella o quell’altro candidato sicuro di sé mi accompagnano per tutto il tragitto. Ci sono le europee! Si concentrano in particolare attorno all’accrocchio di supermercati tra viale Sarca e viale Fulvio Testi - sono le arterie percorse in sotterraneo da M5: la metro senza conducente che arriva fino a San Siro. Supero le quattro corsie di viale Testi.
Il nii-noo ridondante delle ambulanze si intensifica: mi sto avvicinando all’ospedale, Niguarda è vicina.
Dopo circa venti minuti finalmente arrivo alla mia prima tappa.
Il grande Murales di Niguarda
È davvero enorme - potrebbe essere il più grande murales antifascista d’Europa. La cosa incredibile di questa testimonianza, che accoglie chi arriva dalla tangenziale di nord di Milano, è la sua resilienza. Dipinto nel 2014 dal collettivo Volks Writerz, nel tempo l’opera ha subito un numero significativo di sfregi e deturpazioni: al buio della notte, ovviamente. Lo zelo della comunità locale e dell’attivissima sezione ANPI di Niguarda hanno prontamente rimarginato le ferite - sempre nel giro di poche ore.
Non solo: il legame del quartiere di Niguarda con il murales ha fatto sì che l’opera sia entrata a far parte di un progetto di studio per il restauro nell’ambito di un importante progetto europeo di conservazione dei beni culturali.
Vedo alcuni dettagli che non avevo notato dalle foto che avevo ispezionato online. A rubare l’occhio è l’imponenza della scritta Niguarda Antifascista, che sovrasta le anime nobile e proletaria di Milano, incarnate dal duomo e dalle fabbriche (la Pirelli e le acciaierie Falck). Ma ci sono alcuni elementi che il mio passaggio al rallentatore mi permette di cogliere più chiaramente.
Ad esempio, su uno dei due lati della scritta è ritratta una barricata partigiana. Campeggia a fianco dell’immagine questa iscrizione.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
È tratta da un’epigrafe ad Albert Kesselring - spietato comandante delle SS - scritta da Pietro Calamandrei nel 1952.
La staffetta di Lia e Lalla
Sul lato opposto, c’è il ritratto di due giovani donne in bicicletta.
Una di loro è Stella Vecchio, nome di battaglia Lalla; l’altra è Gina Galeotti Bianchi, nome di battaglia Lia.
Perché due donne in bicicletta? Che c’entrano due giovani donne in bicicletta con l’insurrezione dei partigiani contro i fascisti?
Lia e Lalla non sono il contesto attorno a cui gli altri - gli uomini con i fucili - diventavano eroi. Lia e Lalla sono due staffette: avevano un ruolo fondamentale di raccordo tra i vari gruppi partigiani e i comandi centrali. Le staffette portavano ai gruppi sparpagliati nelle aree di combattimento notizie, documenti, medicinali, ordini - nascondendoli nei tubi cavi delle bici, come faceva Gino Bartali. Era una mansione che richiedeva coraggio e resistenza fisica: le distanze da coprire potevano essere ampissime, attraversare luoghi di combattimento e posti di blocco.
Lia e Lalla sono due protagoniste della giornata della liberazione di Niguarda. Il 24 aprile 1945 stavano svolgendo il proprio lavoro da staffette: stavano portando conforto e notizie ai partigiani feriti all’interno dell’ospedale - si stava pur sempre avvicinando l’ora della vittoria e il movimento era tanto.
Le due scorgono un posto di blocco partigiano: una camionetta di tedeschi in fuga è ferma. Comincia un violento scontro tra il gruppo di partigiani di Niguarda e i tedeschi. Per Lia e Lalla non c’è tempo da perdere. Sanno che possono voltarsi indietro in ogni momento e salvarsi, sanno che possono attendere, sanno quanto sia pericoloso: ma non si fermano. Sono notate dai tedeschi, che sparano una raffica di colpi. Lalla si salva ma Lia viene colpita: con lei un bimbo di otto mesi che teneva in grembo - figlio di un altro partigiano impegnato nella Resistenza, Bruno Bianchi (incarcerato a pochi chilometri di distanza, a San Vittore).
Lia muore a trentadue anni. La sua attività di lotta al fascismo era incominciata sedici anni prima a Suzzara, poco lontano da Mantova. Antifascista sempre: attivismo operaio, scioperi, e poi la Resistenza - con quello che ne è conseguito: prigionia, torture, lontananza dal marito e dai cari.
Mentre ripenso al ritratto di Lia e Lalla, sorridenti e libere sulle loro biciclette sul murales, mi dirigo verso il cuore di Niguarda. Lo faccio passando per un lembo di Parco Nord. A due minuti di corsa dal Murales c’è una piccola area verde, dedicata alla partigiana Lia e al coraggio della sua scelta di proseguire. Sorge a pochi metri dal luogo in cui oggi si trova il Teatro della Cooperativa di Niguarda: una struttura che all’epoca ospitava gli incontri del Comitato provinciale dei Gruppi di difesa della donna a cui Lia prendeva parte.
Proseguo la mia corsa. Intanto comincia a piovere più forte. Mi affretto verso Villa Clerici: non posso fare a meno di notare come la città si sia suturata tutt’attorno a quella che una volta era campagna milanese, inglobando questo gioiellino del barocco lombardo.
Svolto su via Ornato. Ora sono nel centro di Niguarda. La carreggiata è stretta, rigata dalle tracce dei tram che sferragliano. Mi dirigo verso via Gregorovius, tappezzata di murales. Ne sto cercando uno in particolare, recentissimo: raffigura tre personaggi di spicco della resistenza milanese e italiana. Onorina Brambilla, Giovanni Pesce e Carla Capponi: quest’ultima è stata una partigiana attiva in area romana, rendendosi protagonista di azioni di spicco fino alla liberazione di Roma, nel 1944. Nori Brambilla e Giovanni Pesce (nome di battaglia Visone) sono due nomi importanti della lotta di Liberazione al nord. Lei è stata una staffetta coraggiosa, lui comandante dei Gruppi di Azione Patriottica di Milano. Internata in un campo di prigionia di Bolzano, dopo la guerra Nori è tornata a Milano a piedi, in una marcia sugli alti passi del Tonale. Dopo due mesi dalla fine della guerra, Onorina Brambilla e Giovanni Pesce si sono sposati.
Beh, non trovo il murales: lì per lì mi sento un pesce lesso. Tornato a casa vengo a sapere che è stato realizzato sul lato interno del cortile della Cittadella degli Archivi, un enorme archivio gestito da un robot di nome Eustorgio, che si aggira per le otto corsie zeppe di faldoni che compongono la raccolta; che per la cronaca, sabato mattina era chiuso.
Tornando verso casa
Fortunatamente, la pioggia non dura. Mi avvio verso casa, ripercorrendo la strada a ritroso. Mentre corro su e giù per il cavalcavia di Greco e poi sfreccio sul breve tratto di Martesana che mi separa da viale Monza, i furbastri dal sorrisetto sicuro in campagna elettorale mi fissano.
«Più il tempo passa, più 25 aprile passano e più noi la facciamo grossa. Vi diamo fastidio ed è evidente: ma non vi diamo abbastanza fastidio da fermarci».
Io non ho una penna corrosiva, non ho l’arguzia, né le conoscenze per fare disamine troppo approfondite; anzi, forse mi pongo proprio le domande sbagliate che sono quelle che nella mia testa penso si facciano le persone minimamente assennate: dove abbiamo sbagliato? ma com’è possibile che siamo ancora daccapo? Ecc, ecc.
E se invece il problema fosse che il 25 aprile stesse andando incontro a un problema di stereotipizzazione? Se a forza di ripeterci le stesse cose, nelle stesse modalità, negli stessi luoghi, amplificate dalle casse di risonanza social e da contributi spot come questo, avesse cominciato a perdere di efficacia?
E perché Niguarda dovrebbe essere diversa?
Per quello che ho visto e testimoniato, per quello che ho letto, per quello che ho sentito e ascoltato, a Niguarda non c'è nulla di caratteristico, pittoresco o estemporaneo nel modo in cui l’antifascismo è rappresentato nel quartiere.
Gli ideali di libertà non se ne possono stare inquieti sullo spartito di Bella Ciao, o su una data sul calendario. Che l’antifascismo vada vissuto ogni giorno ormai lo diciamo tutti gli anni. Ma poi nei fatti cosa serve fare? Non molto, davvero: per cominciare basterebbero contesti come quello di Niguarda, dove tutto trasuda il racconto di una Storia, e fermarsi a farsi domande è praticamente una conseguenza.
È un po’ come a Natale: al di là che c’è chi lo ama e chi lo odia (proprio come l’antifascismo), il contesto conta. Senza un mese di luci di Natale e di atmosfera natalizia in quanti sarebbero così innamorati del Natale?
Magari non tutti hanno un murales di cento metri, ma ovunque ci sono lapidi, pietre, strade, piazze segni che raccontano questa Storia - che andrebbero valorizzate un po’ meglio, questo sì.
A Niguarda tutto questo funziona perché la lotta è nel tessuto sociale anche grazie all’operazione programmatica che il quartiere porta avanti: l’arte ha una funzione di racconto e di raccordo tra generazioni, quella di chi c’è stato e quella di chi sarà uomo o donna nei tempi che ci aspettano.
È un bell’esempio di compenetrazione tra generazioni. I partigiani di Niguarda amano sentirsi rappresentati dalle espressioni artistiche contemporanee come quelle dei graffitisti e le giovani generazioni da cui i graffitisti discendono amano sentirsi legate alla Storia attraverso il modo in cui loro stessi la racconto dopo averla interiorizzata.
Ci sono i segni di una comunità matura; di una Libertà che si respira nella dimenticabilissima quotidianità delle nostre vite.
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Stupenda e commovente. Grazie.
Che bellezza, grazie per questo racconto. Mi chiedo tutti i giorni se stiamo facendo abbastanza portando avanti le istanze antifasciste per chi arriva dopo e rendendole vive ogni giorno nelle nostre vite singole. Quello che manca, temo, è la dimensione collettiva. Per fortuna permane in luoghi come Niguarda, ma basta?