A cosa serve l'arte
Brevissime considerazioni sul legame tra gli artisti, la propria opera e la nostra comprensione parziale della realtà
Ho passato metà della settimana appena trascorsa a Pietrasanta: nei giorni in cui Pietrasanta - o come piace dire a noi uomini con la testa nel Rinascimento la piccola Atene - è stata nell’occhio del ciclone patinato degli storici dell’arte, della cultura, del costume. Sono tornato nella città che mi ha ospitato per tre mesi a inizio anno nei giorni immediatamente posteriori la scomparsa di Fernando Botero.
L’artista colombiano era radicato all’Italia per via genealogica e per elezione: da parecchi anni aveva scelto Pietrasanta come luogo del proprio buon retiro; e poi della sepoltura. E nel tessuto pietrasantino Botero si era integrato perfettamente. Si era fatto volere così bene che già nel 2001 lo avevano fatto cittadino onorario di Pietrasanta.
Non fatico a immaginarlo piazzato al bar del teatro, in un’assolata mattinata di primavera. O a passeggiare sulle spiagge tra Marina e la Versiliana.
Le tracce del passaggio di Botero sono più che tangibili tra le strade pietrsantine. Penso al ciclo di affreschi a tema Giudizio Universale nella Cappella della Misericordia, strada centralissima: una Madonna perfettamente, magnificamente grassa, secondo la cifra stilistica del nostro, accoglie leggiadrissimi pingui nudi di uomo e di donna tra i beati, con quel gesto della mano a metà tra surge mortuorum e dammi il cinque.
Di fronte, sulla parete della navata antistante, un sovrabbondante Satana vibra colpi di spada, mentre da un sepolcro quasi michelangiolesco fa capolino la faccia corrucciata e naturalmente deformata in un ghigno di Adolf Hitler. L’intera scena è un tumulto grottesco, dove quel sapore a la Hieronymus Bosch ci ricorda di quei tempi in cui l’Inferno era qualcosa di terribilmente serio. Ora i diavoli sembrano tutt’al più spiritelli dispettosi.
Anche gli scheletri ai lati della scena - memoria iconografica, forse, delle danze macabre medievali - conservano la sostanza e l’innaturale pinguedine di Botero.
Penso anche al guerriero che domina piazza Marconi, con il suo elmo da pretoriano e con i suoi addominali perfettamente in vista.
Penso, infine, ai bozzetti conservati, appunto, al Museo dei bozzetti: una coppia di Adamo ed Eva, bianchissimi.
Ora, mentre il commiato si stempera e la critica fa il proprio mestiere - con i suoi elogi sperticati -, ho cominciato a pensare a una serie di domande che avrei voluto fare a Botero: perché la sovrabbondanza? Perché la serenità dei giganteschi Cristi in croce?
Il flusso di domande comincia, e la catena presto mi porta, domanda dopo domanda, entro un loop che va più o meno così.
Perché la necessità di rappresentare la propria visione sovrabbondante del mondo? Perché l’arte di Boetro è unica? Perché l’arte in generale e gli artisti sono tenuti in tanto riguardo nella nostra società? A cosa serve, infine, l’arte?
La domanda da cento milioni
Non mi addentrerò in considerazioni su Botero perché non ho le competenze per farlo: posso solo raccontare del nostro comune aver vissuto a Pietrasanta, seppur per periodi diversi.
Per introdurre la domanda a cosa serve l’arte, sarebbe il caso di partire dal porre - a me stesso, innanzitutto - un’altra domanda. Sarebbero sufficienti, che so, cinque stagioni di A cosa penso quando corro? per rispondere alla domanda?
L’idea che mi sono fatto dell’arte utilità dell’arte è viziata innanzitutto dall’approccio razional-storiografico, di cui ho avuto modo di parlare sempre su questo canale (link).
Per guardare l’arte, per osservarla e per tentare di comprenderla, cerco di orientarmi sempre a partire da una considerazione: l’opera d’arte, il manufatto artistico, il fatto artistico è, innanzitutto, un reperto storico.
Questa traccia preliminare mi permette di dipanare un reticolato di riferimenti attraverso cui è più facile orientarmi, e che, nella razionalità del metodo, mi lascia vedere in maniera più chiara il genio artistico.
Ma andiamo con ordine. L’opera d’arte, dicevo, è un reperto storico da cui è possibile ricavare indizi riguardo l’epoca in cui viene collocato.
Ecco alcuni esempi semplici.
Le processioni/parate dipinte dai fiamminghi, con i militari in tenuta cerimoniale, i religiosi in fila con i paramenti sacri, e indietro i popolani maldestramente abbigliati a festa ci raccontano qualcosa delle cerimonie, dei militari, dei religiosi e dei popolani in un determinato luogo e tempo.
La splendida Cappella dei Magi a Palazzo Medici-Ricciardi, a Firenze, ci racconta uno spaccato della fauna appenninica (le abitudini di caccia dell’epoca) e della pomposa eleganza nobiliare dell’élite medicea di metà Quattrocento.
Ancora, le nature morte del tardo Cinquecento e del Seicento sono state utilizzate da storici, botanici, agronomi per definire forme e colori delle frutte di mezzo secolo fa, per risalire alle parvenze e alle forme dei vegetali su una tavola di prelati durante il Concilio di Trento.
Basta il lato storico dell’arte per dare importanza all’arte?
Non esiste una risposta semplice a questa domanda.
Se la patente di reperto storico dovesse servire a salvare le opere d’arte dal destino di distruzione a cui certi comportamenti di società evolute, evolutissime le condannano, allora certo: il lato storico dell’arte salva e nobilita l’arte già di per sé.
D’altro canto, non vorrei che si pensasse che io stia affermando che ogni manufatto - che nasca con velleità artistiche o senza - è arte: certo che no.
L’abilità pratica, l’intuizione, l’assimilazione e sintesi di quello che è il solco pre esistente nella rielaborazione di soggetti e nell’utilizzo delle innovazioni tecniche sono gli ingredienti di un genio artistico di cui non tutti i mestieranti e artigiani, nel corso dei secoli, hanno avuto la fortuna di essere stati dotati. Soprattutto se consideriamo che fino a tempi recentissimi il grande artista era prima di tutto il più capace tra gli artigiani.
Che differenza fa se il David di Michelangelo non nasce dall’impulso artistico di Michelangelo, ma dalla committenza di una Firenze che contro l’incombente minaccia di grandi forze straniere assumeva il simbolo biblico di scaltrezza, lestezza e precisione, raffigurato nel momento topico appena prima di scagliare il sasso contro Golia, come protettore della propria buona sorte nelle Guerre d’Italia?
Liquideremmo il genio eclettico, poliedrico ed inquieto di Michelangelo, limitando la funzione della sua opera alle spiegazioni storiche?
Davanti ai piedacci sporchi di quel disgraziato che tira su la croce, nella Crocefissione di San Pietro di Caravaggio, vediamo solo la brutale volgarità della sorte di nascere poveri nel Cinquecento?
Sappiamo bene che i modelli dei quadri del gran lombardo trapiantato a Roma - aveva capito già allora che la cosa più bella di Milano è il tren… la carrozza per andare a Roma - erano letteralmente i rifiuti della società, tra mendici, bari, puttane, raccattati nei luoghi in cui il Papa certo non passeggiava di domenica.
Il magnifico talento intriso di dramma umano dell’altro Michelangelo, il Merisi (o Amorigi, come piace dire ad alcuni), passerà dietro al valore storico della ricostruzione dei tratti somatici e del vestiario delle prostitute e degli ubriachi che entravano a far parte, da protagonisti, di un’arte immortale?
Storia di un uomo
L’arte si eleva quando alla storia raccontata dall’opera uniamo la storia dell’uomo che l’ha creata, su un doppio livello difficilmente scindibile.
Perché il valore storico, iconografico, funzionale dei manufatti artistici è nobilitato dalle splendide e multiformi sembianze del talento dei maestri che le hanno create. Innovando, unendo i puntini tra le magnifiche glorie del passato e le proprie intuizioni, che faranno l’arte del futuro.
Il processo creativo nasce, innanzitutto, dalla rielaborazione sintetica della storia della propria vita, riportato sulla tela, sul marmo, nel bronzo fuso, tra le tessere di un mosaico; o sulle note di uno spartito, sulle pagine mano o dattiloscritte di un romanzo, o di un poema.
Il tempo della Storia è immortalato nell’istante - più unico che raro - della vita personale di un genio artistico. E il miracolo dell’arte si dipana davanti ai nostri occhi.
Questo può spiegare, a mio parere, a cosa serve l’arte. A testimoniare il passaggio della Storia della nostra specie su questo pianeta, e a raccontare gli abissi più insondabili, o le vette più elevate a cui può spingersi la vicenda terrena degli uomini e delle donne a cui è affidato il mestiere e destino di artista, nella loro individualità unica.