Sul Sup insieme a Paolo Marconi
Intervista al campione italiano e membro della nazionale di Sup. Ho scoperto la vita di un atleta “figlio di uno sport minore”: un rapporto speciale con il mare e con la poetica della fatica
Come promesso nell’ultimo episodio, oggi ci attende una puntata molto speciale.
Questa settimana ho avuto il piacere di intervistare un atleta professionista: per sua stessa ammissione il figlio di uno sport minore - come il titolo del suo libro.
Mi sono addentrato nella vita di Paolo Marconi, atleta di Sup, vincitore della Coppa Italia della disciplina e membro della nazionale italiana di Sup, oltre che detentore di gare totalmente fuori di testa come la Last paddler standing (seguitemi e ci arriviamo dopo con calma), e soprattutto istruttore, nella sua Piombino, di questa disciplina in piena rampa di lancio.
Come se non bastasse, Paolo mi è stato presentato, e si è presentato, come un grande appassionato di corsa, a 360 gradi: dalla passione tutta particolare per le ultra distanze all’impegno nell’organizzazione della Rupes Run, la gara di trail running a cui parteciperò la prossima settimana.
Sono stato felicissimo di fare questa intervista a Paolo.
Nel Paese del pallone in tanti possono legittimamente sentirsi figli di uno sport minore. Chi, come me, ha maturato la passione per qualcosa di controintuitivo come gli sport di resistenza, rientra in qualche modo a far parte di questo sgangherato accrocchio di persone.
Non saranno mai i soldi a spingerci ad allenarci in ogni stagione, in ogni condizione meteo: la forza mentale per fare un passo in più, per pagaiare una volta in più o per pedalare una volta in più sono tutti vinti nel momento in cui, spinti da niente più che la nostra forza di volontà, usciamo ad allenarci.
È per questo che le parole di Paolo hanno avuto una risonanza particolare, per il modo in cui io intendo e cerco di vivere il mio rapporto con lo sport e con la quotidianità.
Ma partiamo con una precisazione: cos’è il Sup?
Il nome Sup non vi dice niente? Ci può stare. Prima di conoscere Paolo sapevo cosa fosse il Sup, ma non sapevo che si chiamasse così: e scommetto che anche per voi sarà la stessa cosa.
Se quest’estate avete frequentato almeno una spiaggia italiana a caso, da nord a sud - e non avete tenuto la testa sotto la sabbia - sono sicuro che avrete visto almeno una persona sul Sup. Questo mezzo di locomozione acquatico ha la forma di una tavola da surf. Rispetto alla tavola da surf il sup è più gonfio, e rispetto allo sport del surf c’è una particolarità: non è completamente necessaria la presenza di onde per godersi una giornata in Sup.
Ma come, un surf senza onde? A spingere il sup è la persona che lo guida, grazie a un remo. D’altra parte, il termine Sup è una sigla che sta per Stand up paddle, letteralmente remare da in piedi.
Un gioco di equilibrio e forza, insomma. E comunque un ottimo modo per godersi il mare: per questo tante persone hanno sfruttato il Sup per passare giornate a girovagare sulle coste durante l’ultima ondata di caldo - e per questo, probabilmente avrete visto almeno una persona sul Sup questa estate.
Ma ho scritto anche troppo: vi lascio alle parole di Paolo.
A cosa pensi mentre sei sul Sup?
Vivo il Sup in molti modi diversi: allenamenti, escursioni, lezioni, gare o semplici passeggiate sull’acqua. Quando pratico il Sup in modo agonistico penso prevalentemente alla performance e al lavoro che devo fare per andare il più forte possibile.
Quando pagaio per puro piacere penso a quanto sono fortunato a potermi muovere sull'acqua in libertà a bordo del mezzo di trasporto perfetto per me.
Come ci si sente ad essere figli di uno sport minore?
Benissimo! La motivazione che ci spinge a fare quello che facciamo è più forte di ogni altro agente esterno e la passione rende la fatica più digeribile.
Come ci si appassiona al Sup?
In molti modi diversi. Io personalmente facevo windsurf e mi sono avvicinato al Sup per il troppo poco vento delle nostre coste.
Una volta salito a bordo ho capito che per me era il mezzo perfetto per muoversi sull'acqua e non ho più smesso.
Come si costruisce il proprio legame con un elemento complesso come il mare? Allenarsi in certe stagioni, a certe ore del giorno, a certe temperature, sembra scomodo…
Il legame si costruisce fin da piccoli. Andare in mare fa parte della mia persona.
Che sia caldo o freddo ne sento il bisogno, a prescindere dagli allenamenti.
Hai avuto la possibilità di girare il mondo grazie al Sup: qual è il paese che hai preferito? In quale hai trovato la maggior apertura mentale verso questo sport minore?
Avendo iniziato tantissimi anni fa è stato difficile fare capire alle persone che il Sup è un vero e proprio sport, soprattutto qui in Italia. Negli Stati Uniti sicuramente è diventato uno sport popolare fin da subito e le persone ci riconoscevano come veri e propri atleti.
Adesso il centro del mondo del Sup è in Europa, anche grazie alla promozione che molti di noi hanno fatto.
Da professionista: ti è mai capitato di odiare qualche parte dell’allenamento e di non aver voglia di scendere in mare? Come hai affrontato la cosa?
Ci sono giorni più duri di altri, in cui fa freddo, oppure la voglia scarseggia. A volte però basta dare la prima pagaiata e iniziare l'allenamento, e la voglia torna.
Dopo tanti anni di carriera da atleta ho il privilegio di passare i momenti più duri della preparazione invernale in posti caldi, dove non serve troppo sacrificio per allenarsi: in questo modo anche gli allenamenti più duri sono più facili da affrontare.
Penso che la fase più dura sia stata all'inizio della mia carriera, quando i sacrifici per affermarsi ad un certo livello sono stati maggiori.
Quali sono i paesi in cui ti alleni nel periodo invernale? Quanto stai lontano da casa? Come concili questo lato del professionismo con la tua vita privata in Italia?
Passo gran parte dell'inverno in spagna tra Barcellona e Fuerteventura. Ho la fortuna che anche la mia compagna è un atleta di Sup, e così riusciamo a conciliare vita e sport.
Hai parlato di una fase di maggiori sacrifici a inizio carriera. Quali sono stati questi sacrifici?
Quando ho iniziato la carriera di suppista ho dovuto iniziare a vivere come un atleta. Allenarsi due volte al giorno, viaggiare, investire nelle gare, trasferirsi in posti con determinate condizioni climatiche per migliorare la tecnica tra le onde e in oceano.
Adesso quella fase è assodata nella mia routine e pur faticosa che sia è molto più tollerabile.
L’esperienza più surreale che ti è capitata in una gara di Sup?
Sicuramente durante la Last Paddler Standing [gara durata 48 ore di cui Paolo è detentore] ho vissuto la maggior parte delle esperienze surreali della mia carriera.
Cioè? Puoi raccontarlo?
Per raccontare questa gara servirebbe un libro, e forse un giorno la racconterò in quel modo.
Il format si ispira alle Back yard Ultra, le gare di corsa in cui si ha a disposizione un'ora per completare un certo percorso, e allo scattare dell’ora successiva parte un nuovo giro [il tempo risparmiato tra la fine del giro e lo scoccare dell’ora ci si riposa; se allo scoccare dell’ora non sei al punto di partenza, pronto a partire, sei fuori].
In particolare la Last Paddler Standing prevedeva un circuito di 5,5km da completare in un'ora, ogni ora. Tenendo un passo regolare avevo circa 12 minuti ogni ora per stare a terra, mangiare, dormire o riposare.
Ci sono stati molti momenti surreali, qualche allucinazione e momenti in cui non ero molto lucido. Durante la seconda notte ero in uno stato psichedelico in cui non riuscivo a capire se stessi sognando di pagaiare mentre dormivo oppure stessi effettivamente pagaiando dormendo.
Qual è la prospettiva per un giovane appassionato di Sup? Olimpiadi? Mondiali? Che tipo di gare esistono?
Il mondo delle gare di Sup è paragonabile a quello della corsa. Ognuno può trovare la sua strada ed eccellere in ciò che più ama. Si va dagli sprint alle ultra distanze, in un futuro (speriamo prossimo) il nostro sport potrebbe anche diventare disciplina olimpica.
Raccontaci i vari tipi di gara
Il mondo del Sup Race è molto vario.
I format di gara standard sono:
Sprint (200mt),
Technical Race (da 1a 6km con onde, giri di boa e passaggi di corsa in spiaggia),
Long distance (oltre i 12km).
Oltre a questi tre format esistono infinite combinazioni e modalità di gare organizzate da enti privati, ed eventi singoli. Per quanto riguarda le ultra ci sono varie distanze, fino anche a 40 kilometri e più, a tappe o non stop.
Insomma è un mondo vario e in continuo sviluppo.
Come si affrontano i pensieri negativi durante le gare di Sup, specie quelle di lunga distanza?
In gara si entra in un'altra dimensione mentale. Nelle gare corte quando un pensiero invalidante arriva bisogna metterlo a tacere subito, oppure la performance ne risentirà.
Nelle gare di ultra endurance bisogna combattere i pensieri negativi che la fatica fa affiorare a colpi di positività. Ognuno ha il suo modo di uscire dalla cosiddetta pain cave. A me piace ancorarmi a pensieri positivi e ricordarmi che ho scelto io di affrontare certe sfide, la possibilità di scegliere è una delle libertà più grandi che abbiamo.
Prossimi obiettivi?
Entro la fine dell'anno parteciperò ai campionati europei (in Portogallo) e mondiali (in Francia), Inoltre andrò in Tailandia a novembre per i mondiali Open.
Nel 2024 mi piacerebbe tornare a gareggiare nel mondo delle Ultra e trovare il giusto equilibrio tra le distanze classiche e le ultradistanze.
Hai detto che fai lezioni di Sup e hai contribuito insieme ad altri a diffondere questo sport: come si costruisce un movimento sportivo sano, in cui l’amatore non si senta da meno dell’agonista e in cui il piacere di fare sport resti alla base?
Il movimento si costruisce provando a fare capire a tutti che il Sup è prima di tutto un mezzo di locomozione da utilizzare sull'acqua che può regalare enormi soddisfazioni. Una volta imparato a gestire il mezzo ognuno può scegliere la sua strada.
È paragonabile alla bicicletta del mare.
Ognuno ha il suo modo di uscire dalla cosiddetta pain cave. A me piace ancorarmi a pensieri positivi e ricordarmi che ho scelto io di affrontare certe sfide, la possibilità di scegliere è una delle libertà più grandi che abbiamo.
E la corsa?
La corsa è uno sport durissimo secondo me, la più pura e naturale delle discipline, che ti mette a nudo con te stesso.
Ho iniziato a correre per integrare l'allenamento in Sup e ho trovato un nuovo mondo sportivo nel quale cimentarmi senza ambizioni, né pressioni.
A quali gare hai partecipato?
Fin da subito ho iniziato a correre col desiderio di rivolgermi alle ultra maratone.
Sono passato dalla mia prima gara di 20km della Montecalvi Trail alla mia prima Ultra Maratona di 70km della Transgrancanaria.
Ho poi corso la Ronda Ghibellina e la Dolomyths Run, ultramaratone la cui classifica finale non mi è mai importata.
Ho sempre corso per l'esperienza che si ricava da quel tipo di fatica e mai per la classifica. Nel 2024 mi piacerebbe tornare a correre qualche ultra Trail.
Parliamo della Rupes Run: come mai l’idea di organizzare una gara di trail?
L'idea è nata dalla sinergia tra l’altro organizzatore - Leonardo Paladini - e me.
C'era la voglia di fare un progetto insieme e la passione comune per il nostro territorio e gli sport outdoor.
Abbiamo così pensato ad una gara che valorizzasse la parte più bella di Piombino e la facesse conoscere al mondo. Rupes Run è un progetto a lungo termine, che mira a durare negli anni e ad affermarsi piano piano tra gli eventi del nostro territorio.
Quali sono le difficoltà di passare al lato organizzativo di un evento sportivo?
Le difficoltà sono molte, ed è molto più complicato organizzare un evento che correrlo.
Alla base di tutto ci deve essere la volontà di creare un evento che faccia star bene le persone e che regali una bella esperienza a chi partecipa.
Da atleta sono sempre super grato agli organizzatori e ai volontari di ogni evento a cui partecipo, perché sono consapevole del duro lavoro che serve per mettere in piedi una gara.
Perché un appassionato di corsa dovrebbe iscriversi alla Rupes Run?
Perché si corre in uno dei luoghi più belli d'Italia [uno dei tratti di costa incontaminata più lunghi della penisola], e di certo non capita tutti i giorni di correre su percorsi così emozionanti e sfidanti allo stesso tempo.
Sono sempre alla ricerca di un elemento comune con le vite regolari delle persone per spiegare il fascino degli sport di endurance, come la corsa su lunga distanza, o il Sup: ti sei mai interrogato su quale possa essere questo elemento? Come racconti agli altri una passione così particolare come quella per uno sport che espone il corpo a una fatica prolungata per così tanto tempo?
Per rispondere a questa domanda ho scritto un libro eheh [si trova a questo link].
Penso che lo sport sia una scuola di vita.
L'endurance in particolare ti mette di fronte a sfide continue in un lasso di tempo ridotto. Le lezioni che si apprendono durante questo percorso sono preziose per essere persone migliori durante la vita di tutti i giorni, che spesso ci mette alla prova molto più delle gare.
C’è un elemento proprio del tuo sport che cerchi di applicare alla tua vita quotidiana?
Cerco di vivere proprio come in Sup, una pagaiata alla volta senza farmi intimidire dalla distanza ma godendomi il percorso.
Nel ringraziare Paolo per la disponibilità e per la ricchezza di spunti che questa chiacchierata con lui mi ha lasciato, vi lascio qualche link utile:
Il libro di Paolo: Figli di uno sport minore;
Il profilo Instagram di Paolo: @paolomarconisup;
La pagina Facebook di Paolo: Paolo Marconi Sup;
Il sito internet della Rupes Run, che prevede anche una versione non competitiva da 8 kilometri immersi in un tratto di costa tirrenica favoloso: Rupes Run.