Buongiorno a tutte e tutti!
Come? Dopodomani finisce settembre?
Mettiamo in soffitta la lista dei buoni propositi di inizio mese, c’è da cominciare a pensare a quella di gennaio - sarà che ho compiuto gli anni da pochissimo e mi sento in diritto di rimarcare il concetto del tempo che passa.
Intanto, ecco qui i buoni propositi di questa newsletter, per tutti quelli che ci arrivano per la prima volta. A Cosa Penso Quando Corro? è uno spazio in cui si parla di running, come sport da guardare, come sport da praticare; come fatto sociale, economico, culturale e introspettivo.
Ogni domenica mattina alle 10.00 esce una puntata.
Per recuperare le puntate precedenti potete consultare l’archivio di ACPQC?
Strava è un fenomeno sociale. Lo dicono i numeri che fa registrare, la sua scalata da capogiro verso le vette popolate dalle app più scaricate di App e Play Store, la quantità di ore di allenamento loggate - che ne fanno un’app estremamente longeva e resistente a quelle banderuole al vento che sono i trend. E poi il numero di club e sfide, la partecipazione attiva dei suoi 120 milioni di utenti, lo sviluppo di integrazioni con programmi di terze parti che rendono il caricamento dei dati semplice come schiacciare il pulsante finish sul proprio smartwatch al termine di un allenamento.
Tutto bello: ma come tutte le cose belle Strava ha un rovescio della medaglia.
Un’idea davvero così semplice
Se cercate la pagina Instagram di Strava, trovate questa tagline a corredo del profilo:
Record. Sweat. Share. Kudos.
Quattro verbi, più uno: far partire la registrazione; correre, camminare, pedalare o nuotare; condividere l’attività una volta terminata; dare e ricevere likes (rinominati kudos - termine di origine greca, “gloria”, che ho scoperto essere in voga nell’accademia americana).
Ok, piano: il ragionamento sembra ovvio per chi conosce Strava e ha già una dimestichezza. Raccontiamo a tutti gli altri il concetto dietro a quest’app con un paio di parole in più: Strava è un prodotto digitale pensato principalmente per sportivi di endurance - ciclisti, podisti, nuotatori, ma anche trekker e camminatori - che, nel raccogliere i dati degli allenamenti tramite il proprio GPS integrato o i dati forniti da smartwatch o app terze aiuta a tenere traccia di performance in allenamento, con relativi progressi nel corso del tempo.
Tutto qui: un fitness tracker, ma con un twist. Prendete una nicchia molto specifica come quella degli sportivi di endurance, prendete la loro particolare propensione a raccontare sui social quanto hanno corso o pedalato lontano, per quante ore consecutive, quanto sono andati forte. Strava elimina l’imbuto della trascrizione dei dati, e nel momento in cui qualcuno registra un’attività prepara un post social, condiviso su un vero e proprio feed interno all’app stessa. Il meccanismo è il più classico possibile, una rete di seguaci e seguiti: un social network. Solo sudore, fatica, post carini e dati, dati, dati. Quelli infiocchettati all’interno dei post principali sono: distanza, passo al chilometro, dislivello, tempo in movimento, oltre che una traccia GPS, quando registrata - l’utente ha la possibilità di integrare con foto proprie dell’allenamento.
Infine, i likes, o kudos: perché che social sarebbe senza likes? Oltre alla dinamica del rilascio dopaminico scaturito dal sistema dei likes, Strava prevede anche interazioni più sofisticate. Pur non avendo integrato la messaggistica diretta, l’app consente agli utenti non solo (e non tanto) di commentare i post degli amici, ma anche di aggregarsi entro gruppi di runner ai quali accedere liberamente o su invito, oltre che imbarcarsi in vari tipi di sfide. Ce ne sono per tutti gli sport, rilasciate da una vasta gamma di enti, da Strava stessa, ad aziende come RedBull o dagli organizzatori di Major Marathon, che hanno fatto esplodere il fenomeno di Virtual Race tramite cui runner e podisti possono partecipare da tutto il mondo.
Numeri impressionanti
Ora, siamo apparentemente di fronte al disegno di una città utopica: il concetto di un social estremamente settario, dedicato a una nicchia circoscritta, definita da una passione molto specifica. Che un tale restringimento di campo possa rivelarsi troppo pericoloso per la salute del sistema app? I numeri di Strava raccontano qualcosa di molto diverso.
Nel 2023 Strava registrava 120 milioni di utenti, con un incremento medio di 2 milioni di utenti al mese. Il tasso di crescita dell’app tra il 2016 e il 2023 è del 27% ogni anno. Se il Mondo dei social ci ha insegnato che una metrica come il numero di utenti - così come quello dei followers - è pura vanità, a dare la misura della salute dell’app c’è il dato delle attività loggate annualmente, che nel 2022 ha raggiunto la cifra di 2 miliardi (circa 2.15 milioni di attività settimanali). E se avete pensato «ma quale modello di business minimamente sostenibile potrà avere un fitness tracker?»: beh, sappiate che Strava non vende spazi pubblicitari sulla sua app, e il suo modello a subscription - che garantisce accesso a tracce GPS, dati più accurati sugli allenamenti e metriche esclusive - nel 2022 gli ha fruttato 275 milioni di dollari (Qui i dati).

Lo zoccolo duro dell’utenza Strava è ripartito tra Millenials e Gen X (rispettivamente 47% e 29% dell’utenza), con un numero crescente di Gen Z (17%). A essere maliziosi è un’app per gente in crisi di mezza età o di quarto di secolo che prende la decisione di iscriversi a una mezza maratona - i meme sull’orda di giovani che passati i 25 si mettono in testa di finire una mezza maratona si sprecano, e io li incarno quasi tutti alla perfezione.
Tra le strategie di acquisizione messe in campo da Strava, una delle più interessanti è una specie di influencer marketing che mette al centro tutta una serie di superstar degli sport di endurance, dai professionisti (un articolo mostra quali ciclisti avremmo potuto seguire sull’app durante il Tour de France - Kristian Blummenfelt, campione olimpico nel triathlon è seguitissimo - tra i runner, in Italia Yeman Crippa è un assiduo utilizzatore dell’app), a celebrità resesi note tramite YouTube o i social. Un caso emblematico che dall’Italia si estende al Mondo è quello di Lisa Migliorini, thefashionjogger che porta a seguirla sull’app oltre 57 mila dei suoi 2 milioni di follower su Instagram; non mancano per altro ex calciatori come David Villa, appassionatissimo di sport di resistenza (e che si fa zero problemi a condividere tracce GPS dettagliate dei suoi percorsi). In pratica: vuoi farti una pedalata con Pogacjar o una corsetta con thefashionjogger?
Prego, siete nella stessa arena, i vostri dati a confronto!
Ah, tra l’altro esiste anche la Strava Art, e consiste in podisti che studiano percorsi ad hoc per disegnare sulle strade delle figure - l’artista più famoso è un tale di nome Gary Cordery.

Hobby App
Strava, così come Letterbox (cinema) o Goodreads (libri) - io usavo tantissimo anche Discogs per tenere traccia della mia collezione di CD - sono app interamente costruite attorno a passioni molto specifiche. Tra loro condividono un paio di punti fondamentali: l’idea di tracciare qualcosa, che siano attività fisiche, film visti o libri letti; la condivisione delle proprie attività - non senza un carsismo intrinseco alle app stesse, che preparano formati specifici da re-postare di fronte a un pubblico decisamente meno di nicchia, su Instagram, Facebook o X, rendendosi di fatto veri e propri affluenti verso il grande fiume del monopolio social.
In un recente articolo del Guardian vengono definite Hobby App. In quanto community in senso stretto sono spazi protetti dalla caciara sconclusionata delle dinamiche social - vi farei vedere cosa l’algoritmo di Instagram seleziona per me con cura, e le pubblicità da cui ultimamente sono targetizzato. Peggio ancora se questa fanfara si tinge dei colori delle sparate razziste di qualche astruso miles gloriosus (ma miles contro chi? contro cosa?) nel regno di Mr. Musk.
No. Nulla di tutto ciò, nessun rumore su queste app. Cito l’articolo del Guardian:
La natura riparata delle hobby app, e il modo in cui sono programmate per condividere passioni e passatempi, risulta in un luogo più gentile rispetto alla ressa razzista che si può potenzialmente trovare su X a distanza di un tap sbagliato.
È facile che su Strava io possa trovare qualcuno che almeno una volta nella vita abbia corso almeno un chilometro, e che lo rende più simile a me rispetto a qualcuno che non l’abbia mai fatto. Così, per molti le community diventano un porto sicuro, nuovi luoghi di incontro e socializzazione più riparati rispetto alle tradizionali dating app per persone timide, che rischiano di trovarsi impastoiate in un enorme partita di calcio saponato senza il minimo appiglio di conversazione in vista. In più, sono luoghi di incontro che nel caso di Strava scaricano a terra: l’iscrizione a un running club locale, che attraverso l’app diffonde news sugli allenamenti aperti a tutti, o su qualche parkrun, permettono un incontro e una potenziale socializzazione pressoché immediata ad eventi dal vivo, con persone in carne ed ossa.
Dove stanno i problemi?
Per ora ho enunciato cose molto positive attorno a Strava. E ci mancherebbe pure. Strava è uno strumento, e aggiungerei un ottimo strumento.
Tuttavia, attorno a Strava ci sono alcune regole scritte o non scritte che trascendono dalla dimensione dell’app in quanto tale e si configurano entro un orizzonte più ampio. Dobbiamo scavare non tanto nelle tecnologie, negli algoritmi, o nelle approssimazioni dei GPS: tocca addentrarci in meandri oscuri come sanno esserlo alcuni abissi dell’animo. Preparate la sonda.
Feticismo dei dati
Ad uno dei problemi maggiori alcuni studiosi si riferiscono con termini come feticismo dei dati, o data addiction, che in ambito sportivo è alimentato proprio da applicazioni come Strava, che non solo creano un dato riguardante la persona, ma mettono questo dato in relazione a quelli di un’ampissima gamma di altri sportivi. In breve, il dato riportato sullo schermo a fine attività diventa più importante dell’attività in sé, con tutte le sue sensazioni, il feeling, lo stato di gioia o benessere dato da niente più che l’attività in sé. L’equazione è semplice: sono andato forte? L’attività è andata bene. Sono andato piano? L’attività è andata male. La sociologa Giulia Grijspaardt scrive che queste tecnologie rappresentano una «quantificazione dell’individuo; e questo potrebbe avere delle implicazioni» (qui lo studio completo).
L’effetto più immediato di questa data addiction è un senso di comparazione con gli altri - che (attenzione!) ha anche un rovescio positivo nello stimolo che si può trarre da una motivazione reciproca. Poi entra in campo l’inadeguatezza: e l’oggettività dei dati è lì per dirti che non c’è nulla da fare, sei lento. A questo punto arriva l’ansia. Il rinculo delle hobby app è tutto qui: gli altri francamente se ne fregano del fatto che tu sia una brava persona, che tu venga da una storia difficile, da un infortunio, da un periodo amaro. Su una hobby app tutto quello che conta è quello che è sotto gli occhi di tutti: per Strava i tuoi tempi e le tue distanze.
È ovvio che non vuoi sfigurare. Mentre stai sotto gli occhi di tutti, il tuo percorso sportivo fatto di alti e bassi, di pazienza, di costanza può aspettare: c’è una performance da compiere. Sì, attorno a Strava c’è tutta una dimensione performativa che ci spinge a rimandare di un giorno il nostro bisogno di recuperare attraverso una corsa lenta (ma lenta per davvero), o attraverso il riposo. Devi dimostrare quello che dici di essere, e sicuramente non vuoi essere un runner nella media. Julia, una ciclista intervistata in questo articolo del 2021 di New Statesman, parla di quando si è accorta che ogni sua corsa è diventata una corsa contro il tempo:
«Andavo così forte perché ero consapevole del fatto che il mio telefono stesse tracciando il mio tempo». Aggiunge che una volta che i suoi dati erano stati pubblicati, si sentiva come fosse stata messa «sulla linea del plotone di esecuzione per essere comparata agli altri».
Diciamo che ancora non sei arrivato al livello in cui vuoi barare (e sì, su Internet ci sono guide che spiegano come barare su Strava per migliorare alcuni aspetti delle performance). E allora magari - quante volte l’ho fatto - ti fai dieci chilometri in 40 minuti; arrivi in fondo con una heart rate medio di 190 battiti al minuto e con tutta la nonchalance del Mondo su Strava registri l’attività come:
Z2 Facile - Corsetta facile
E al contrario, metti che non imbrocchi la giornata giusta per nessun motivo particolare se non che hai messo giù dal letto il piede sinistro prima del destro, le tue corse diventano una sequela di: Corsa rigenerante, Corsa con un amico più lento, Prova delle nuove scarpe (non mi stanno e le riconsegnerò), Corsa lenta perché andare forte non va più di moda, Camminata veloce e tutte le più grosse panzane possibili.
C’è la frase di un intervistato nello stesso articolo del 2021 che riassume in due periodi più o meno tutto quello che abbiamo detto fino ad ora (performance, competizione, esagerazione):
Mi ritrovo a competere contro me stesso a beneficio dello spettacolo di persone a cui non frega un cazzo. Ma credo che a me freghi un cazzo.
Questi comportamenti lesivi non hanno avuto sempre e solo esiti moderati come può esserlo, tutto sommato, un affaticamento agli adduttori. Nell’ossessione competitiva fomentata dal feticismo dei dati alcune persone hanno perso la vita (la fonte è lo stesso articolo).
Nessuno vuole essere lento
Nessuno vuole essere lento, o meglio: nessuno vuole sentirsi lento nel mezzo di un’intera bolla di runner diligenti e velocissimi. Nessuno vuole sentirsi in debito con il Mondo, con gli altri, e infine con sé stesso di un allenamento saltato, di un pallino arancione spostato sul numero zero sull’ordinata dei chilometri percorsi nell’ultima settimana, mese, anno. Nessuno vuole sentirsi da meno, ecco, specie se in ballo c’è una passione, che in un dato momento della vita è la cosa più importante del Mondo. Ci sono passato, so cosa vuol dire la frustrazione nel dimenticare di far partire la registrazione di Strava (o di dover correre con il GPS scollegato dai satelliti, con un dato molto più impreciso), perdendo il solo barlume di verità, l’unica testimonianza agli occhi del Mondo di quei cinque chilometri di allenamento: perché, come dice il titolo di uno degli studi sulla questione «Se non è su Strava, allora non è mai accaduto».
Ve lo ricordate quell’adagio dei Fugazi, quando finivano Merchandise gridando «you are not what you own»? Che poi è una cosa che vale un po’ per tutte le cose ci quantificano. E allora perché non dovrebbe valere anche per i dati che registriamo su Strava o su qualsiasi app?
Ricordati: you are not the run you record.
Outro
Questa puntata è parziale e sicuramente avrà bisogno di un’integrazione di qualche tipo. Intanto, io sto continuando a stare su Strava: meno di una volta, perché le attività ci finiscono sopra in automatico dalle registrazioni del mio orologio, che si integra con l’app, che a sua volta spedisce i dati a Strava.
Nel frattempo, un paio di link interessanti.
Report e statistiche sull’adozione di Strava (aggiornate al 2023): qui.
Lo studio di Giulia Grijspaardt: qui.
Il paper di Haley Russel «Se non è su Strava non è accaduto»: qui.
L’articolo del 2021 sul lato oscuro di Strava su The New Statesman: qui.
Uno studio su PubMed sulla correlazione tra adozione di app commerciali per lo sport e miglioramento delle abitudini salutistiche: qui.
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Mi stupisce molto vedere a quale grado Strava abbia un impatto sulla percezione della corsa, propria e altrui (mi riferisco alle persone che conosco direttamente e alla mia breve esperienza). Io non so se ne sono immune perché sono talmente lenta da non poter in alcun modo competere che con me stessa, o se in generale i social nelle loro varie declinazioni non hanno gran presa su di me. Me ne rallegro, invero :D almeno una fonte d'ansia me la risparmio, a questo mondo!