Sto tornando a correre
Qualche puntata fa ho raccontato il perché la corsa fosse momentaneamente uscita dalla mia quotidianità. Ora, gradualmente, la mia attività preferita sta tornando nella mia vita di tutti i giorni.
Milano, 20 giugno.
Ci sono circa trenta gradi. L'estate è alle porte, letteralmente a poche ore di distanza. Come spesso accade in questa stagione, alle sei di sera per non si sa quale motivo, il cielo si annuvola e piove.
Raramente piove tanto, e comunque molte volte capita che piova solo per poco tempo: un’oretta al massimo.
Il meteo di Milano segue questo canovaccio, e intorno alle sei cadono dal cielo due gocce.
I problemi delle due gocce che a cadono a Milano a giugno, con i suoi trenta gradi, sono essenzialmente un paio:
1. Lo strato di smog di queste giornate di afa immobile - una salamoia di fumo - conferiscono all’acqua quel sentore di acido bello spinto, di polvere, di sporco.
2. Le gocce sono letteralmente due: l'aria non si rinfresca. Anzi.
In questo scenario mi appresto ad affrontare la mia terza corsa nell'arco di due settimane, le prime da cui ho ripreso a correre.
Aspetto le 8 di sera, un po' per far passare la nuvoletta, un po' perché vivo ancora nell'illusione un po’ campagnol-provinciale-Ottocentesca che sul calare della sera l'aria sia sempre un po' più fresca.
Ma alle 8 di sera l'aria non è più fresca. La nuvoletta ha caricato di umidità la salamoia grigia che già permeava Milano, dal duomo e per centri concentrici fino all'Hinerland, seguendo il regolare corso dei suoi navigli.
L’umidità conferisce alla salamoia di fumo una sensazione tattile di bagnato. Più che salamoia sembra di muoversi in una gelatina.
Tant'è. Il fatto di uscire alle 8 di sera sortisce un effetto placebo. Se è vero che (saggezza contadina) alle 8 di sera di solito è più fresco, allora sarà più fresco anche oggi.
Mi ritrovo sulla Martesana, in compagnia delle nutrie, e di pochi altri corridori coraggiosi; c'è chi fa affoga la sensazione di calore in una birra, c'è chi passeggia. C'è un accrocchio di gente - non mi lancerò in identificazioni geografiche - che sembra prendere parte a un gioco di società collettivo (una specie di asta di qualche tipo), sulle panchine di fronte al capolavoro brutalista dell'Anfiteatro Martesana - che qualche volta viene utilzzato per le rap battles, ma i rapper hanno desistito viste le temperature.
Mi sembra di essere tornato a luglio dell'anno scorso, appena ripresi gli allenamenti per la Maratona di Ravenna. Sento che il mio corpo si muove al rallentatore.
Qualche corridore attempato - almeno stando a una rapida scansione tricologica - mi svernicia. Magari pensa che sono nel mezzo e dovrei cambiare sport. Eh vabbè.
Torno a casa, con sei kilometri sulle gambe e per la terza corsa consecutiva il ginocchio non è dolorante. Non ho accumulato più di venti kilometri nelle ultime due settimane. Meno della distanza percorsa a Madrid sul mio ginocchio dolorante.
Fuori dalla finestra aperta, mentre rifiato, ci sono due ragazzini che ascoltano la trap. Luca ha già preparato la cena. Forlì ha sfiorato il sogno serie A1 di Basket, ma si è arresa in finale contro Cremona: è il mio unico problema stasera.
Va tutto bene.