🏃🏻♂️🏃🏻♂️ Buongiorno a tutte e tutti.
Un po’ in controtendenza rispetto a tante colleghe e colleghi, che hanno (saggiamente, credo) fatto riposare le loro newsletter per qualche giorno, ho provato a trovare qualcosa da scrivere anche la vigilia di Natale.
Sarò breve: la tre giorni di luculliani banchetti, i tour de force mangerecci, le visite ai parenti, i presepi viventi, babbi natale, Una poltrona per due, le luminarie a forma di Nostro Signore, «Siamo tutti più buoni», Michael Bublé sta per avere inizio. E più che leggere i miei elenchi da Ministro dei Trasporti di Stato europeo a caso - o à la Alberto Arbasino (see te piacerebbe) - ci sono cose più importanti da fare.
Il tempo per leggere le newsletter - giustamente - diminuisce.
E allora, vado subito al punto.
I miei regali di Natale
Da ormai due anni, una delle corse più belle dell’anno è quella della Viglia.
Sarà che torno in campagna, in Romagna, dopo Novembre e Dicembre lunghissimi passati in una Milano climaticamente ostile e patinata dal legame tra smog e umidità, ed è la prima vera corsa dopo essere rincasato: fatto sta che ormai è un rituale chiamare i miei amici Elvio e Pio (podisti di tutto rispetto, un maratoneta e un ciclista/trail runner/arrampicatore/boxer) e uscire a fare una sgambata di distanza non inferiore ai quindici kilometri.
È una corsa bellissima, fatta di chiacchiere e risate: completamente distaccata dalle nozioni di passo al kilometro, performance, velocità. Goduriosa: è questa la parola più esatta che riesco a trovare per descrivere questa corsa.
Quest’anno, le cose saranno diverse: riemergo da un infortunio insidioso, tedioso e bastardo al tendine d’achille destro. Questa mattina, mentre la newsletter arriva nella vostra casella mail, o su Substack, starò provando a ricominciare a correre qualche kilometro.
Il dolore ha caratterizzato in maniera quasi invalidante le ultime tre settimane.
Ho passato questo lasso di tempo tra cyclette, pesi, isometrie, arnica, stretching, ghiaccio, rialzini per il tallone, taping: e con la quieta speranza che il dolore potesse scomparire dopo il riposo notturno, come per magia.
Una speranza totalmente irrazionale, dato che il mattino è il momento in cui il dolore si scatena nella maniera più violenta e sconfortante.
E tuttavia una speranza, covata con insistenza nell’istante in cui, per prima cosa alla mattina, me ne stavo seduto per un istante sul bordo del letto in procinto di alzarmi sulle mie gambe e muovere l’arto infortunato.
Poi le braccia scattano, le ginocchia si distendono, e sono in piedi. È presto per definire se le speranze di guarigione siano state disattese. C’è da muovere almeno un passo.
Mentre sollevo la coscia e il concerto dei muscoli si mette in movimento, dal piede - opera di ingegneria, come pensava Leonardo - al quadrato dei lombi, la mente si illude che l’uscita dal torpore per scivolare verso il bagno (poesia) possa essere normale.
E invece, taaac. Inizia la fase di spinta: gastrocnemio e soleo macchinano tra di loro, chi si contrae, chi si rilassa: il mio tendine, sollecitato, piange.
Per qualche giorno, di normale non c’è stato nulla. Come quel suono sgradevole che ognunə di noi associa alla sveglia dei propri giorni lavorativi - che provoca un malessere subitaneo quando ascoltata in un contesto diverso da quello del risveglio - ogni mattina il dolore è tornato a pulsare alla caviglia.
Poi, piano piano, all’inizio impercettibilmente, infine sempre più chiaramente, il dolore è scemato e oggi, Vigilia di Natale 2024, dopo una settimana completamente priva di acciacchi, provo a riallacciare le scarpe e a godermi una corsa, dall’inizio alla fine.
Niente intertempi, niente passo al kilometro, niente testa a qualche prestazione futura. Solo io, l’aria di campagna, gli spazi dilatati tra i fossi rugiadosi delle stradine sterrate ai primi Appennini e le chiacchiere rilassate con i miei amici.
Il regalo ideale del mio Natale è quello di poter tornare a correre: ho già chiamato Elvio, Pio (e quest’anno forse anche Steve) e spero di riuscire a trascinarmeli dietro anche quest’anno.
Vorrei fare una battuta un po’ romagnola (ma che poi ogni idioletto regionale riadatta) del tipo «speriamo che non duri da Natale a Santo Stefano» - detto di oggetti di scarsa qualità e mala fattura. Incrociate le dita per me.
Altri regali
A cosa penso quando corro? sta continuando a crescere ogni giorno, e nell’imminenza delle festività mi appresto a sfiorare un numero per me impensabile fino a qualche mese fa di 150 iscrizioni.
Innanzitutto, grazie a tutte e tutti. Perché se il numero di iscritti a una newsletter è un po’ come il numero di followers su Instagram - in gergo una vanity metric, ossia una metrica che ci fa belli davanti a un consesso di persone a cui siamo più o meno legati socialmente o affettivamente - quello che conta è che A cosa penso quando corro? viene letta.
Il tasso di apertura di questa newsletter si avvicina al 60%: un numero che mi conferma che quello che scrivo in questo spazio su questo sport, su questa pratica controintuitiva che è la corsa sulle lunghe distanze vi interessa - oppure vi divertite tuttə ad aprire la mail solo per cestinarla.
Ci terrei a ringraziarvi una per uno: davvero vorrei. Ringraziare chi mi ha dato un consiglio, chi un parere, chi ha dissentito con alcune mie posizioni, chi con il progetto intero - ma continua a leggere - chi continua a darmi spunti e a sostenermi.
Tra poche ore saremo subissati di meme e umorismo sardonico su quanto sia stressante incontrare gente a Natale, e di quanto non sia preferibile starsene per conto proprio.
E invece io vorrei stringere la mano a tuttə, ringraziarvi di cuore per tutto l’affetto e la vicinanza che mi avete fatto sentire durante il 2023 di A cosa penso quando corro?. Esiste qualcosa di più retorico, ma allo stesso tempo di più incredibilmente vero, di senza di voi tutto questo non sarebbe stato possibile?
Ci sentiamo la prossima settimana per l’ultima puntata dell’anno!
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Mentre sto leggendo probabilmente sarai fuori a correre e spero per te anche ad assaporare la piacevolezza di un corpo che non da dolore.
Anche io sono passato da un infortunio al tedine d'Achille che è durato parecchi mesi e leggere le tue parole mi hanno fatto tornare in mente momenti non proprio belli.
Spero quindi che per te questa corsa sia un godimento del corpo e dell'anima.