Ma quando ci parli di corsa?
Manca meno di un mese alla Maratona di Parigi. Come sta andando la mia preparazione?
Sono più o meno tre mesi che la newsletter A cosa penso quando corro? del vostro sempre affezionatissimo parla di tutto fuorché di quello che recita il titolo - titolo della rubrica domenicale più varia di sempre.
In effetti, sono passati tre mesi e mezzo dall’ultima volta in cui ho corso i 42 kilometri. Tante cose sono successe, tante cose sono passate.
Già subito dopo la gara di casa, a Ravenna, ho rivelato la mia prossima destinazione - uccidendo seduta stante l’hype di un’ipotetica rivelazione con conferenza stampa, stile “dove giocherà Cristiano Ronaldo il prossimo anno?”.
Les Champs Elysees mi attendono, con la loro luce, la loro napoleonica larghezza e pompa, tra Place de la Concorde e quel super pacchiano arco fatto tirar su dal nano in celebrazione della sua nanica persona.
Nati larghi non tanto per volontà di maestà, quanto per ragioni di ordine pubblico - dopo Rivoluzione, moti del ‘21, ‘31, ‘48, e stufa di barricate in strade strette e anguste, l’intellighenzia gallica ha ben pensato di allargare l’allargabile per evitare ulteriori casini - la Storia dell’Avenue più famosa del mondo sarà segnata dal passaggio sul traguardo della mente brillante che dà forma ad A cosa penso quando corro?.
Come mi sto preparando a tutto questo?
La scorsa volta ho parlato di bicchiere mezzo pieno dopo che, a più o meno cinque settimane dalla gara, ho temuto di dover annunciare il ritiro visti persistenti problemi al mio piede sinistro.
Poi l’osteopatia, l’antidolorifico, il ghiaccio e le preghiere mi hanno fatto, in qualche modo, arrivare al giorno della gara, coronato da una - nonostante tutto - dignitosa prestazione. Qui il racconto.
Insomma, già prima della gara mi sono messo sulle difensive: non andrà come speravo perché questo questo e questo punto della preparazione sono andati a farsi fottere.
A guardare le cose con più distacco, credo che in occasione della preparazione della Maratona di Ravenna ci sia stata, da parte mia, troppa seriosità. Il modo in cui parlavo di me stesso, del mio impegno; il modo in cui pensavo al mio impegno; il senso di necessità stentata con cui affrontavo ogni allenamento.
Tutto troppo poco rilassato. Come il sorriso che provi ad abbozzare quando, mentre sei fuori a fare aperitivo con amici di amici, il più social del gruppo invita tutti a fare un selfie. Non che tu non voglia sorridere, o ce l’abbia con qualcuno, ma esce tutto… innaturale.
Sono caduto nella trappola nella quale speravo non sarei mai finito: la trappola dei runners dei gruppi Facebook.
Che si sparano questi poemi in ottave su quanto sia stata eroica la loro impresa di camminare per una maratona (!!!), di quanto sia qualcosa di fuori dal comune completare una maratona (e lo è! ne sono comunque convinto) e di quanto sia stata infinita la loro sofferenza durante la corsa - una tortura cinese, in pratica.
Il traguardo? Una liberazione. 30 con le gambe, 10 con la testa, 2 con il cuore e 195 metri con le lacrime agli occhi.
Concludono paragonando la maratona alle fasi della vita - in questo caso io fui più originale nel riportare la distanza di 42 kilometri a un calendario cosmico. Fine.
Il risultato è, in breve, un editoriale di Gramellini (per i e le più audaci, credo che con ChatGpt dovremmo migliorare questo sito).
Lo svantaggio di essere caduto in questa trappola mortale del runner da gruppo Facebook? Ho aggiunto tensione laddove sarebbe stato fondamentale, invece, toglierla.
Un titanismo leggermente esagerato e grottesco, che ho notato essere particolarmente diffuso in particolare tra i maratoneti, si era impossessato di me in maniera latente.
Che cos’è cambiato, quindi stavolta?
Questa volta sto vivendo la preparazione con più… leggerezza!
Non sto tacitamente affermando di stare sottovalutando, togliendo serietà o dissacrando la maratona. Anzi.
Non fraintendetemi: ho aperto l’anno parlando della mia volontà di mettere l’intenzionalità al centro di qualsiasi mia decisione importante e/o azione. E resta il fatto che una maratona va preparata con almeno un pochino di criterio, a meno che non la si voglia trasformare in un incubo, o in un fallimento.
Questa volta, però, senza aver mai saltato un allenamento e senza aver mai corso neanche un kilometro in meno del necessario, sento che il mio rapporto con la corsa ha preso forme piacevolmente franche e oneste. E le sensazioni sono, di nuovo, positive.
Sto affrontando la preparazione con una serenità che non provavo dai tempi degli allenamenti per la maratona di Roma - ormai un anno esatto fa.
Ne stanno beneficiando quasi tutti gli aspetti del mio rapporto con lo sport: il rapporto con l’allenamento, il rapporto con le fasi più impegnative da un punto di vista fisico (i lunghi, i lavori di qualità), il rapporto con l’alimentazione e con il riposo.
Allentare la tensione sulle aspettative e sui connotati più titanici (un lato un po’ kitsch, stile pubblicità di Sanremo con Morandi e Amadeus) della corsa mi sta ridando smalto. Il recupero è più rapido, le distanze si allungano, i tempi si accorciano, il morale è alto durante ogni momento dell’allenamento.
Sarà l’aria salubre del mare, la transizione da paesaggi di provincia denuclearizzata a là Chiedimi se sono felice (tipo così, con i Cernusco, le nebbie lombarde su paesi che finiscono tutti in -ate) a paesaggi in un certo senso più familiari, caldi, da riviera (anche se davanti al Twiga quella sensazione di rigurgito da schiparapadabibidibo parte sempre).
Fatto sta che non me la voglio gufare, ma… sta andando tutto bene.
Il tempo è poco: solo quattro settimane allo start. Ma la voglia di correre è tanta e questa volta i kilometri non spaventano.
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