La maratona di New York non è una gara come tutte le altre
Racconto della 52esima edizione della Maratona più popolare al Mondo
La maratona di New York è la corsa su lunga distanza per eccellenza, quell’evento che anche un non appassionato di running sa essere il più importante.
Puoi non essere il più appassionato conoscitore dei Beatles, ma per cultura generale sai che Yellow Submarine l’hanno cantata i Fab Four.
Mi piace questa definizione musicale, nei giorni dell’uscita di Now and Then: la New York Marathon è la Yellow Submarine delle gare di corsa.
L’edizione 2023, corsa il 5 novembre 2023, è destinata a entrare nel novero delle corse più belle mai disputate nella Grande Mela, oltre che tra le gare più emozionanti dell’anno.
Ma tu c’eri a New York?
Una premessa doverosa: ho tentato l’iscrizione alla maratona, ma i processi di selezione sono molto rigidi, e molto costosi. Oltre alla componente economica, per aggiudicarsi un pettorale nella gara di corsa più partecipata - e quindi richiesta - al Mondo ci vuole una buona dose di fortuna, e un’organizzazione meticolosa che parta con un buon anticipo.
La mia iscrizione alla lottery per aggiudicare un quantitativo di pettorali ad alcuni fortunati estratti (circa un 10% delle centinaia di migliaia di persone iscritte) non ha portato all’esito sperato.
A proposito: sapete qual è il modo in cui si è notificati di aver vinto la lottery per la partecipazione alla Maratona di New York? Il giorno dell’estrazione vi ritrovate sul conto corrente un bel -300 Euro (prezzo del pettorale per i runner internazionali).
Il giorno dell’estrazione ho trovato sulla mia pagina profilo un bel: not extracted (e i 300 Euro erano sul conto).
Ho cercato di raccontare al meglio la manifestazione, dividendo il racconto in tre parti:
La maratona di tutti noi
Il nuovo record di Tamirat Tola nella gara maschile
La commovente prestazione di Hellen Obiri nella gara femminile
Per raccontare al meglio il clima di questo straordinario evento sportivo, mi sono assicurato di chiedere una mano a chi domenica 5 novembre ha tagliato il traguardo: Federico, del Ravenna Runners Club. Lo ringrazio per la disponibilità, e per il resoconto dettagliatissimo che ho condensato nel prossimo paragrafo.
La maratona di tutti noi
La gara dei professionisti è solo la punta dell’iceberg di quello che succede alla maratona di New York. E pur avendoci regalato in questa edizione bellissimi epiloghi sia per la maschile che per la femminile resta forse la parte meno umanamente rilevante della giornata.
Perché a New York ci sono innanzitutto i runners normali - con quel poco che resta di normale in un maratoneta -, che corrono la propria gara, contro/per/insieme a loro stessi: ognuno con il proprio bagaglio di aspettative, sogni, obiettivi. Con una persona, o una causa nel cuore.
E i runners normali, in questa edizione, sono stati tanti: più di cinquantamila.
Ne ho parlato con Federico che domenica 5 novembre 2023 ha esordito sulla distanza della maratona proprio a New York.
I problemi pratici di una maratona
Quella della maratona di New York - dice Federico - è una giornata fatta innanzitutto di problemi pratici. Dietro a un evento così grande c’è una logistica non semplice da organizzare: per esempio, ci sono cinquantamila persone da muovere in uno stesso punto di partenza.
Per garantire ordine nelle operazioni tutto comincia prestissimo: sveglia alle quattro del mattino.
Tutto fila liscio: traghetto fino a Staten Island; poi in pulmini gialli stile scuolabus di Otto dei Simpson fino alla zona di ingresso alle griglie.
Fino allo start della wave dei non professionisti, si rincorrono nella mente dei partecipanti i classici dubbi che affliggono tutti i runners il giorno della gara: cosa ci sarà in hotel per colazione? Mi porto qualcosa da mangiare alla partenza? Farà freddo? Vado in bagno ora, o aspetto che la fila si sia diradata? La numero 1 si gestisce in qualche modo, ma la numero 2? Nei bagni chimici?
Federico ci aveva avvertiti: una giornata di problemi pratici.
Emozionarsi a New York
Superata la venialità delle pur non secondarie questioni pratiche, New York - racconta Federico - è l’emozione negli occhi dei partecipanti con cui si scambiano alcune battute per stemperare l’ansia.
Tante persone sono alla prima maratona, e settano un’aspettativa alta: i mesi di preparazione sono stati tanti, e intensi. Non basta ritirare la medaglia, si vuole fare bene.
Poi c’è il momento da brividi dell’inno americano, in un silenzio oltremondano.
Quindi, finalmente, la partenza: c’è chi è troppo felice di essere sul percorso e immortala la sua presenza sul ponte di Verrazzano, per gridarla al mondo social, e chi si distingue tra la folla perché la sua corsa non è un semplice gesto atletico, ma porta con sé i segni di qualcuno di speciale che non c’è più.
Come se la corsa su lunga distanza fosse un canale privilegiato per convogliare energie e avvicinarsi, in qualche modo, a una dimensione di spritualità non intellegibile.
I quartieri di New York
Tra le ali di folla che sostengono i runnner durante tutto il percorso, i primi 15 kilometri scivolano via quasi per inerzia. I quartieri si sorpassano con i loro colori e il loro folklore: prima Brooklyn, poi, dopo il ponte di Queensboro - dove si avvistano i primi runners affetti da crampi - Manhattan, il Bronx, con i motivi del Black Live Matters, e Harlem, con le sue bande colorate e il suo calore inconfondibile.
Intanto, le prime avvisaglie della fatica che sopraggiunge tagliano le gambe, appannano la mente e smorzano l’entusiasmo: la maratona non è una gara come tutte le altre.
Finalmente, Central Park: è finita? Beh sì, ma in realtà no. L’arrivo della gara è a Central Park (ed entrare nel parco sicuramente rincuora i partecipanti), ma il polmone verde di New York non è la solita area cani italiana del Nord-Est (il parco è lungo 4 kilometri e per visitarlo con calma c’è chi afferma ci vogliano due giorni).
Gli ultimi 400 metri di questa maratona, poi, non sono il classico arrivo su pista d’atterraggio, stile Fori Imperiali a Roma, o Champs-Elysees a Parigi. Un finale di saliscendi infingardi, che non danno un attimo di tregua alle gambe fino al traguardo.
E al traguardo, infine, la fatica si scioglie in un sorriso: e la gioia di indossare la medaglia della maratona più iconica del Mondo è godimento puro.
Parola di Federico: che ringrazio di cuore per la meravigliosa testimonianza che mi ha lasciato. Spero di avervi trasmesso anche solo una frazione dell’emozione che il suo racconto mi ha lasciato (trovate alcune foto della sua impresa sul suo profilo Instagram @fedepado_fisio).
Occhio a Tamirat Tola
Con i suoi ponti, i suoi saliscendi, l’arrivo in falsopiano, quello di New York non è il tracciato più indicato per quegli atleti top che sono alla ricerca di un tempo monstre - ce lo ha ricordato il racconto di Federico.
Kipchoge non ha mai corso a New York, per dire.
New York non si sceglie per approcciare il muro delle due ore. New York si sceglie perché se tagli il traguardo davanti a tutti, a Central Park, entri per forza in una speciale hall of fame. Ancor più che per meriti atletici, nella città dell’abusatissimo termine melting pot, ci entri quasi da icona pop.
Tamirat Tola, trentadue anni, etiope, in una speciale hall of fame ci è entrato alla grande già l’anno scorso e per meriti atletici: con la vittoria in Maratona al mondiale di Eugene, Oregon.
Ma non è tutto.
Perché nella congiunzione astrale benedetta delle perfette condizioni climatiche del 5 novembre 2023 (meteo, vento, temperatura) Tola ha stabilito un nuovo record del percorso: neanche dieci secondi tra il nuovo best time e il precedente (2 ore, 4 minuti, 58 secondi per Tola, contro il 2.05.06 di Geoffry Mutai nel 2011). Ma sempre di un nuovo course record si tratta.
La performance dell’etiope è stata di altissimo livello per almeno tre quarti di gara. Riassumiamola in quattro punti salienti:
Si fa in gruppo i primi 10 kilometri - compreso il passaggio spezzagambe sul ponte di Verrazzano: la gara inizia subito con una brusca salita.
Dal kilometro dieci Tola scappa: letteralmente. Un cambio di passo imperioso: una di quelle mosse che agli altri partecipanti sarà sembrata «troppo anche per lui»: avranno pensato, senza prenderlo sul serio, «esagerato, lo riprendiamo tra 15 kilometri con la lingua per terra».
Ma Tola è serissimo. La parte centrale di gara è una prova di running semplicemente fuori di testa: per uno split di tre miglia (circa 5 kilometri) corre ad un passo che in proiezione porterebbe ad una prova da un’ora e 56 minuti (!!!); per uno stretch di venti kilometri all’interno della gara, Tola corre più veloce di quanto non abbia fatto Kiptum nella gara del record mondiale, a Chicago.
Chiude con un negative split, distaccando il secondo arrivato di quasi due minuti.
Tutto questo, as a One man show: niente lepri, nessun pacer. Un uomo solo al comando: una prova che entra nella storia delle major - le 6 maratone più importanti al Mondo (Londra, Berlino, Chicago, New York, Boston, Tokyo).
Parigi 2024 è dietro l’angolo: non facciamoci acciecare troppo dalla narrativa del predestinato attorno a Kiptum. Perché l’Etiopia c’è, come sempre, con atleti di livello assoluto come Tola.
Hellen Obiri: o dell’emozione
Ma è la gara femminile il pezzo forte della giornata.
Gli ultimi kilometri sono commoventi: perché la neocampionessa Hellen Obiri non ha semplicemente vinto una maratona. Con la sua corsa a tratti rabbiosa ci ha raccontato la storia di un riscatto, chiudendo un cerchio. Ci arriviamo tra poco.
Raccontiamo brevemente la gara.
A differenza di quanto non sia accaduto per la maschile, la gara femminile vede un gruppetto di testa compatto fino in fondo. A guidare la volata finale sono cinque atlete, che arriveranno a 30 secondi di distanza l’una dall’altra: Hellen Obiri, Letesenbet Gidey, Sharon Lokedi; leggermente staccate, Brigid Kosgei e Mary Ngugi. Quattro atlete keniane e una etiope (Gidey).
L’ultimo miglio diventa una corsa a tre: Obiri, Lokedi, Gidey. La mossa decisiva della gara è a 400 metri dal traguardo: Obiri attacca. Sharon Lokedi, campionessa uscente, cede. Solo Letesenbet Gidey segue Obiri.
Ma Hellen Obiri negli ultimi 200 metri sale ancora di livello. La corsa elegante e composita di Gidey - enfant prodige del mezzofondo - non tiene il passo dello strappo della keniana, che con una decina di falcate furenti fino al traguardo si assicura 6 secondi di vantaggio sulla rivale.
Un gesto atletico che, non conoscendo la storia di Obiri alla maratona di New York, può apparire famelico, un allungo quasi disperato: come se l’agonismo centrasse fino a un certo punto, e in palio ci fosse qualcosa di più che un qualsiasi premio in denaro o la vittoria nell’evento podistico più partecipato e importante al mondo.
C’è un perché.
Dopo una carriera di assoluto rilievo nel mezzofondo - specialità i 5000 metri piani - Hellen Obiri nel 2022 esordisce in maratona proprio a New York (il tutto è raccontato in questo bel video documentario: ringrazio Marco per avermelo fatto scoprire). Il finale di questa avventura non è quello sperato: Obiri esce dalla zona di arrivo in sedia a rotelle, pesantemente debilitata.
Cinque mesi dopo la prima esperienza newyorkese - definita «terribile» dalla diretta interessata - Obiri ottiene il suo primo successo in maratona, a Boston. Una major, non una maratona come tutte le altre.
Se affrontare i propri fallimenti è così complesso che la psiche umana si è dovuta inventare meccanismi sofisticati come la rimozione per evitare di farci finire faccia a faccia con i nostri drammi, già poteva stupire il ritorno in griglia di Obiri a Boston: figuriamoci a New York, ad appena un anno dalla debacle.
E invece, senza alcun tipo di paura Hellen Obiri si è presa la sua rivincita sul percorso di New York.
Il cerchio è stato chiuso dall’impegno e dall’intelligenza di un’atleta straordinaria: l’epilogo è prezioso e commovente.
Link, letture, video della settimana
Un altro video prezioso di Floberg Runs (qui il link).
Una pubblicazione sulla corsa: essenzialmente tecnica, interessante, per nerd e meno nerd del running (qui il link)
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