La danza della pioggia
Contro questa cosa che nella nostra testa l'Universo fa le cose per farci dispetto
Da quando sto in Toscana ho cominciato a guardare ossessivamente le previsioni del tempo.
O meglio: sono quasi due anni che controllo ossessivamente, sistematicamente, puntuale come le bollette, le previsioni del tempo. In Toscana questa cosa si è acuita.
Il motivo è presto detto.
Non che non si possa correre sotto la pioggia, anzi, è anche piacevole sgambettare mentre l’acqua scende. Un gesto che ha dell’anarchico: sottomessi alla credenza che la pioggia = male e il sole = bene, uscire di corsa con il maltempo conserva quel nonsoché di epico.
Io sto fuori a fare sport, voi statevene pure rintanati al caldo, con la vostra tisana e il vostro bel libro - un pomeriggio idilliaco.
Il problema è che correre sotto la pioggia non è… pratico. Le scarpe di inzuppano, serve mettere l’impermeabile - praticamente una serra per funghi cutanei una volta che si approcciano distanze superiori ai 5 kilometri. Se c’è temporale, poi, non devo neanche dirlo che non si può correre.
Finché ho vissuto a Milano il rapporto tra pioggia e corsa non è stato problematico. Con il mio abbonamento in palestra ho potuto godere dei benefici di un caldo posto sul tapis roulant anche qualora all’esterno imperversassero le peggiori intemperie, coccolato da quella musica orrenda che passano in tutti i clubs più alla moda di Milano. Quel crossover tra rap della più bassa lega e raeggeton che non puoi evitare nonostante le cuffie, e che studi scientifici hanno dimostrato favorisca il catabolismo muscolare.
Qui in Toscana non ho trovato palestre. O meglio, ho trovato palestre, un paio. La prima: un garage, montato su da ammiocuggino e assuocuggino, che mi hanno chiesto una quota mensile che a Milano (non scherzo) ho sentito richiedere solo nei club Virgin - sì, quelli dei vip, delle mogli-trofeo degli imprenditori e dei solopreneurs più in dell’Hinterland.
La seconda: un garage un po’ più grande, con chiusura alle 19.30. Dal lunedì al venerdì. Niente weekend.
La mia decisione è poi caduta sull’iscrizione presso la pista di atletica, la pista di atletica di Pietrasanta - nella quale ho visto allenarsi più volte Samuele Ceccarelli, “quello-che-ha-battuto-(sverniciato)-Jacobs”, neo campione del mondo dei 60 metri indoor.
Sperare che il tempo sia buono è diventato una specie di sport. Il telefono è una specie di Pizia: se mi sono comportato bene, allora il cielo mi premierà con sole. Altrimenti un nubifragio.
Oppure, proprio come la Pizia, la risposta che il meteo dà è la diplomazia. E procede a mettere tutti i simboli possibili sole-pioggia-nuvole (un po’ tipo “non sappiamo neanche noi cosa potrebbe succedere”). Almeno loro in ogni caso ci prendono.
Voglio ripeterlo: sì, capita anche di allenarsi con la pioggia, è successo, succederà. Ma quanto rinfranca lo spirito il sole, o comunque una serena seratina primaverile, senza l’ansia che si potrebbe essere colpiti da un fortunale da un momento all’altro?
Il problema dove sta? Sta nel fatto che sperare che il tempo sia buono è una cosa. Ossessionarsi è un’altra cosa. Questa ossessione mi ha portato a due riflessioni fondamentali.
Ho ammorbato talmente tanto il mio cervello con la questione del meteo che credo di avere acquisito una specie di potere sopra esso: non ha mai piovuto durante una mia corsa, ora che mi trovo in Toscana. Il mio penultimo superlungo, due settimane fa, tra nuvole e vento, è stato benedetto da qualche goccia: niente più. So che me la sono tirata, ma che coincidenza!
Ossessionarmi per il meteo è il più inutile spreco di energie mentali a cui io riesca a pensare.
Perché?
Domenica scorsa, a guardare le previsioni della settimana presente mi sono sinceramente incazzato. Pioggia. Tutti i giorni. E nei giorni in cui il meteo mette quella nuvoletta con la pioggia e il sole del cazzo, dove il sole ovviamente è al mattino: poi la sera, quando io mi devo allenare, si fa brutto. Pensa che sfiga. Questi allenamenti proprio non li devo fare.
Il mio lato pollice-verde, impegnato socialmente mi diceva “ma meno male che piove, vuoi mettere le tue corse con il rischio siccità?”; l’altro lato, quello cafone e malvagio, alla siccità da poco peso: chissene importa, ho una maratona da preparare.
E quindi giù a pensare a quanto sia ingiusto con me il meteo: a febbraio neanche una goccia e ora che ci avviciniamo al clou acqua a catinelle tutti i giorni? Davvero?
Ebbene sì. A rifletterci un attimo fa impressione pensare a dove mi sono impantanato.
Ma la lezione fondamentale che ho imparato è che non è che il tempo è brutto in quanto vuole darmi un segno del fatto che quello che faccio abbia una connotazione rivolta al bene o al male. A fare così, finisce che siamo dei calvinisti del meteo “Se sei stato bravo e la tua missione è virtuosa allora c’è il sole e che essa sia benedetta; se sei stato malvagio e cattivo, che piova! E che ogni tuo affare si sciolga nella pioggia!”.
Al meteo semplicemente non frega nulla delle maratone che devo correre, degli appuntamenti che ho, delle mie giornate di ferie. Chiamala sfiga, chiamalo destino, chiamalo karma: la verità è che nessuno, nell’Universo, ce l’ha davvero con me.
Dubito che l’Universo sappia addirittura che esisto.