Il passaggio del testimone impossibile
Storia di una rivalità impossibile nel podismo su strada: quella tra Eliud Kipchoge e Kelvin Kiptum
Buongiorno e buon 2 Giugno a tutte e tutti!
Come sempre, vi invito ad ascoltare Storie di Corsa, il podcast ufficiale (ufficialissimo) di questa newsletter. La puntata di giugno è in arrivo. Qui, intanto, non l’ultimo episodio, ma il primo, rudimentale, raw e selvaggio sulla Barkley Marathons, forse la gara di trail running più dura e affascinante al mondo.
Cadere con stile
Il 17 aprile 2023, alle 10:37 di un mattino del Massachusetts grigio e nuvoloso, Eliud Kipchoge si trova nel gruppetto di testa che conduce la 127esima edizione della maratona di Boston. E fin qui, nulla di strano.
Kipchoge arriva all’appuntamento con la seconda major annuale da favoritissimo. Tanti saluti: si arriva alla gara senza se e con pochi ma, e i nomi degli atleti che lo circondano sono un contorno che i giornalisti sportivi si sentono quasi costretti a inserire nei loro articoli - poco importa che a correre con lui fossero due suoi connazionali già vincitori su un tracciato ostico per la presenza di dislivelli insidiosi. Attorno alla performance di Kipchoge la stampa sportiva tratteggia un macroscopico hysteron proteron: una figura retorica in cui le parole invertono l’ordine cronologico con cui accadono due eventi contigui e correlati.
Un verso dantesco ci aiuta a capire:
Tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito(Dante, Paradiso, canto XXII, 109-110)
In breve: Kipchoge ha già vinto prima ancora di aver corso un solo passo della propria gara. È alla ricerca della sua sedicesima vittoria su diciotto partecipazioni, nonché del quinto titolo in una major, dopo aver conquistato Chicago, Tokyo (anche con l’oro olimpico), Londra (per quattro volte) e la sua Berlino (per cinque volte).
A 39 anni, per completare il grande slam delle maratone - che si trasformerebbe automaticamente in un career golden slam, visto il doppio oro olimpico -, costruito nell’arco di una carriera decennale nella corsa su strada, il suo destino passa dalle colline di Boston. Annuncia la propria partecipazione con il suo solito stile dimesso, con il suo tono comunicativo pacato, anticlimatico:
«Sono felice di annunciare che ad aprile parteciperò alla maratona di Boston, un nuovo capitolo del mio viaggio nelle Abbott World Marathon Majors. Buona fortuna a tutti i corridori che correranno a Boston nel 2023».
All’eccitazione che lui non fa trapelare sopperisce l’ambiente del podismo, in visibilio ogni volta che Eliud Kipchoge scende in strada. È consapevole che questa gara è diversa rispetto alla maggior parte delle competizioni cui lui è abituato. Al di là del percorso con i suoi saliscendi improvvisi, e della non ammissione dei pace makers, o lepri (runner che tirano la volata ai primi nel gruppo, generalmente per la prima metà di gara), la maratona di Boston somiglia a una gara olimpica, più che ad una grande major europea - e che problema c’è, se Kipchoge di maratone olimpiche ne ha già vinte due?
E invece, i problemi ci sono: Kipchoge molla. Circa a metà gara, poco dopo l’ora dalla partenza, poco prima di quel punto sul percorso collocato al 30esimo chilometro che si chiama Hearthbreak Hill - collina del cuore infranto, vi rimando alla puntata sulla Maratona di Boston del mio podcast per approfondire - Kipchoge lascia scappare il gruppetto di testa, e tra lui e chi conduce si apre una voragine che non sarà mai colmata.
Ottavo in due ore, nove minuti e ventitré secondi: il tempo più lento che, ad oggi, Kipchoge abbia mai corso in una gara ufficiale. Kipchoge con il suo solito tono saggio e pacato ha ricamato sopra allo scivolone - chiamiamo pure così un ottavo posto in una major difficilissima, in cui la media dei tempi dei vincitori resta molto alta - una retorica della sconfitta molto positiva.
È la vita: quello che è accaduto è accaduto, non sempre abbiamo il controllo su quello che succede. Si va avanti.
Eppure, attorno al campione comincia a serpeggiare un clima funebre, questo scivolone sa di resa incondizionata più che di errore nell’approccio di una gara: improvvisamente, diventa chiaro a tutti il peso dei 39 anni nell’equazione che separa Kipchoge dal diventare the greatest of all time - come non lo fosse già, complice l’attivazione di una macchina mediatica e commerciale senza precedenti per un corridore di lunga distanza che Nike ha costruito attorno a lui. In tutta risposta, Kipchoge attutisce la caduta con l’aplomb del campione: appena cinque mesi dopo, a settembre, sfila per primo sotto la porta di Brandeburgo e vince la sua quinta maratona di Berlino, con un tempo inferiore alle due ore e tre minuti. Domanda spontanea: è un tempo alto per chi nello stesso percorso, 365 giorni prima aveva corso in appena due ore, un minuto e nove secondi?
A corredo del tempo finale di Kipchoge a Berlino 2023 giustapponiamo un’altra cifra. Tirate fuori tutte e due le mani e con le dita contate fino a nove. Ecco: solo nove esseri umani nella storia del podismo su strada sono scesi sotto le due ore e tre minuti in una maratona. Vi basta? No, non basta: neanche questo è sufficiente a cancellare un leggero senso di delusione che aleggia intorno a Kipchoge. C’è qualcosa che, a livello sportivo e (lo ripeto) solo puramente sportivo, scricchiola.
La promessa
Dopo l’evento Ineos 1:59 Challenge - in cui nel 2019 un team di super scienziati con l’appoggio di un committente molto facoltoso aveva sintetizzato nell’enorme laboratorio a cielo aperto del Prater di Vienna le condizioni di gara perfette in cui portare Kipchoge a correre la prima maratona documentata sotto il muro delle due ore (impresa per altro riuscita, pur non essendo il tempo finale omologabile a finalità di assegnazione del record del Mondo) - credo che tanti di noi si fossero convinti non solo che il limite della maratona sotto le due ore sarebbe caduto anche in condizioni naturali, e cioè nel corso di una gara vera, ufficiale, ma anche che a riuscirci sarebbe stato proprio Eliud Kipchoge.
Come mai proprio Eliud Kipchoge? Calcoliamo di nuovo - oggi va così. Alla data odierna, giugno 2024, solo quattro persone hanno corso una maratona sotto le due ore e due minuti. A settembre 2022 il numero era dimezzato - oltre a Kipchoge, solo Kenenisa Bekele era stato in grado di scendere sotto la soglia di 2:02. Dei due, solo Eliud era riuscito a compiere l’impresa più di una volta, pur senza contare le due prove non ufficiali della Ineos 1:59 Challenge e dell’evento Nike del 2017 Breaking2 - illustre precedente finito “male”.
Kipchoge ci ha fatto intravedere la possibilità che uno dei limes sportivi più epici, e cioè l’abbattimento del muro delle due ore in una maratona ufficiale - impresa paragonata all’allunaggio o alla conquista dell’Everest - fosse realizzabile e, soprattutto, a portata di mano. E noi abbiamo addossato su di lui il peso di colmare il gap con questa impresa.
A inizio 2023 il sogno era tutt’altro che finito; al contrario, era nel massimo della sua vitalità. A settembre 2022 a Berlino - se non lì, dove? - Kipchoge aveva frantumato il (suo) record mondiale del 2018: da 2:01:39 era sceso a 2:01:09. Togliere trenta secondi a un personale a livelli in cui tutto comincia a ridursi a questioni di due, tre, dieci secondi massimo, è qualcosa di incredibile. La linea del record del mondo della maratona è un asintoto che tende verso il limite delle due ore e il numero di coloro che riescono ad avvicinarsi a questo traguardo è filtrato da un imbuto invisibile. Ma Kipchoge nell’autunno del 2022, a 38 anni rimaneva l’eletto: prendendo a prestito la terminologia applicata al basket, potremmo dire the chosen one.
E nonostante, tutto, Kipchoge resta l’eletto. L’incomprensione tra lui e il percorso di Boston è colmabile tanto quanto i 70 secondi che separano il suo miglior tempo dal fatidico 1:59:59. D’altronde, la sua partecipazione a quella maratona nulla aveva a che fare con il famoso record: era, tutt’al più, il tentativo di andare a prendersi la quinta delle sei major - sottolineiamolo: nessuno, ma proprio nessuno, si aspettava che Kipchoge sarebbe andato sotto le due ore a Boston, men che meno Kipchoge stesso.
Eppure, le vicende interne di uno sport dai profondi tratti anacronistici, le cui vittorie si costruiscono da lontano, le cui imprese richiedono tempo, pazienza programmazione, per una volta sembrano rispondere alle dinamiche del mondo entro cui sono immerse: la velocità repentina, «un fiato | di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi». Appena un mese dopo la vittoria di Kipchoge a Berlino 2023, sulle strade di Chicago, tutto cambia.
Il meteorite
La prima vittoria di Eliud Kipchoge in una major risale al 12 ottobre 2014, dieci anni fa, mi verrebbe da accodarmi a chi, per dare un senso alla misura, contrappunta il termine cronologico a un evento del tempo: quando l’Italia ancora partecipava ai mondiali di calcio - vi ricordate il morso di Suarez a Chiellini?
È curioso che proprio sulle strade della città che lo aveva lanciato nel mondo dei grandi del podismo - dal 2014 per lui inizia un filotto di vittorie in maratona che si conclude solo a Boston nove anni dopo - si sia consumata in tutta la sua violenta forza distruttiva la più magniloquente cesura con un passato recentissimo.
L’artefice è Kelvin Kiptum, un ragazzino di ventiquattro anni connazionale di Kipchoge, che nell’ottobre 2023, al tempo della gara è uno dei quattro uomini che sono stati in grado di scendere sotto le due ore e due minuti in una maratona ufficiale. Per fare ciò gli è bastata una prova, quella di esordio: Valencia, dicembre 2022, pronti via, Kiptum è il più veloce esordiente di sempre, con due ore, un minuto e cinquantatré secondi. Lì per lì, siamo rimasti stupiti: poco altro.
E allora Kiptum appena sei giorni dopo la debacle di Kipchoge vince la sua prima Major, la maratona di Londra. Due ore, un minuto, venticinque secondi. Ricapitolando: una gara per entrare nel consesso di coloro che hanno corso sotto le 2:02; due gare per accoppiarsi a Kipchoge e diventare uno dei due esseri umani in grado di ripetere l’impresa più di una volta. Ancora una volta, l’universo non sembra essere ricettivo abbastanza all’avvento di questo freak atletico.
A fine anno, Kiptum mette un’altra major nel mirino: Chicago. Comincia la gara come uno dei tanti atleti che costituiscono un field ricchissimo. La finisce da campione e detentore del record mondiale della maratona, con due ore e trentacinque secondi. Tradotto: il record di Kipchoge dell’anno precedente è stato polverizzato con un -34 secondi. Da 70, i secondi che mancano all’obiettivo di correre una maratona in 1:59:59 sono dimezzati.
E finalmente, il mondo si accorge di Kelvin Kiptum.
Il terzo principio della dinamica
Ve lo ricordate Isaac Newton? Scomodiamo il grande padre della meccanica classica per concludere questa puntata: ripassiamo il terzo principio della dinamica.
A un'azione è sempre opposta un'uguale reazione: ovvero, le azioni vicendevoli di due corpi l'uno sull'altro sono sempre uguali e dirette verso parti opposte
Il successo mediatico di Kiptum è stato direttamente proporzionale alla velocità con cui abbiamo cominciato a sistemare i pezzi di un puzzle invisibile, che assume chiarezza solo con il senno di poi, quello in cui Eliud Kipchoge ha passato ad un altro il testimone nella corsa verso uno dei più affascinanti traguardi sportivi. Il Neil Armstrong, l’Edmund Hillary della situazione sarà un altro.
Con la stessa velocità che è il segno dell’esistenza di Kiptum, abbiamo inventato una narrazione: finalmente, uno sport fatto di vescovi-conte che coesistevano pacificamente in un panorama frastagliato, non dominato da un’autorità centrale (almeno fino all’arrivo di Kipchoge), aveva la sua grande rivalità, i suoi due poli di attrazione; la sua grande storia. La sua grande occasione per uscire ed essere raccontato in maniera interessante ai tanti.
Nel novembre 2023, Kiptum rilascia un annuncio. Nella sua prossima maratona prima delle olimpiadi di Parigi, quella di Rotterdam, ad aprile dell’anno successivo,
se il tempo sarà buono, se starò bene, proverò a limare ulteriormente il mio record
La frase, presa così, è diplomatica abbastanza perché Kiptum possa cautelarsi qualsiasi sia il risultato. Dalla nostra prospettiva di spettatori in attesa del prossimo colpo di scena, nessuno ha impiegato più di mezzo secondo per interpretarla come un guanto di sfida alla soglia delle due ore. I pettorali per la maratona di Rotterdam, uno degli eventi podistici più importanti in Europa, terminano in poche ore.
Il conto alla rovescia comincia: ma l’orologio si ferma prima del previsto, la sera dell’11 febbraio 2024. Un incidente d’auto si porta via Kelvin Kiptum. Insieme a lui, l’allenatore Gervais Hakizimana e la promessa al mondo di essere il primo uomo a scendere sotto le due ore in una maratona ufficiale.
Insieme a tutto questo, si porta via anche qualcosa di infinitamente meno importante a livello umano, ma decisamente non trascurabile a livello sportivo: la possibilità di vederlo gareggiare nella maratona olimpica di Parigi 2024 con e contro il più grande maratoneta di tutti i tempi, Eliud Kipchoge. Con, perché entrambi avrebbero gareggiato con la stessa divisa, quella del Kenya; contro, perché, come scrive la redazione di Ultimo Uomo «la rivalità è uno stimolo costante a migliorarsi, il motore dello sport».
Non esistono foto dei due insieme, tutto quello che si trova online sono montaggi, vere e proprie giustapposizioni di foto che li ritraggono. Non avrei potuto pensare a un’occasione migliore delle Olimpiadi di Parigi per rimediare.
Questa storia sarà approfondita in maniera dettagliata nell’episodio di giugno di Storie di Corsa, in uscita nelle prossime settimane su Spotify e su tutte le piattaforme di streaming audio.
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