Domande e risposte per la Venere Influencer
Dopo l'uscita della campagna del ministero del Turismo gli animi si sono sbolliti e, forse, a freddo possiamo parlare con più cautela
Ormai un mese fa è uscita la famosa campagna del Ministero del Turismo che ha come testimonial La Venere Influencer - o sui social @venereitalia23. Che suona un po’ come i nomi che ti davi da ragazzino sui videogiochi perché sei fan di Michael Jordan, o di Lebron James.
A meno che nelle ultime due settimane non si sia vissuti sotto un sasso, si dovrebbe sapere che in Italia il Napoli ha vinto lo scudetto, le milanesi sono in semifinale di Champions e che la Venere di Botticelli in maglietta e pantaloni Zara è in giro per la penisola, tra Polignano e le Dolomiti.
Ora, su questa campagna promozionale è stato detto di tutto e di più (probabilmente anche troppo di più). Su tante delle cose dette ritengo che sarebbe stato meglio procedere con cautela, specie da parte di chi, come me, è del settore - che è una frase che fa rabbrividire già così. Ma tant’è.
Prendiamo, ad esempio, l’argomento dei 9 milioni di Euro. I 9 milioni di soldi nostri usati per la realizzazione della campagna.
No, care tutti! I 9 milioni non sono andati in toto all’agenzia creativa che ha ideato ed eseguito il concept - sotto la guida, ricordiamolo, di una committenza sul cui gusto possiamo stare a discutere per settimane, se il Twiga in Italia ce lo fanno passare come epitome di successo e di cool - giusto che la parola risuoni boomer.
I 9 milioni di euro servono nella loro quasi totalità a distribuire su canali a pagamento, digitali e non, la pubblicità con testimonial d’eccezione. E, forse, sono pure pochi, visto che i costi delle affissioni in luoghi cruciali per turisti (come gli aeroporti) sono decisamente alti.
Ma accantoniamo queste polemiche, accantoniamo anche la polemica sull’esecuzione della campagna - sulla quale anche io ho le mie dovute perplessità, beninteso -, accantoniamo frasi che fanno più danni che altro al settore e ai suoi professionisti come Mio cuggino o il mio falegname per 30 mila lire lo facevano meglio.
Accantoniamole perché primo: spesso sono portate avanti da persone che non hanno la minima idea di quello che va dietro l’ideazione di un prodotto pubblicitario simile, dal brief del cliente ai continui cambi di rotta e aggiustamenti - spesso immotivati - da parte della committenza (se la committenza fosse di qualità ancora meglio, e ho detto tutto); secondo: avviliscono il settore, delegittimando i professionisti digitali della loro professionalità.
Accantoniamo anche le poco trasparenti e - sì, stavolta si può dire - inqualificabili operazioni di acquisto di follower per i profili social e di recensioni positive da parte di utenti inesistenti messo in atto dal Ministero per mascherare i mal di pancia del pubblico italiano.
Alla Venere vorrei fare due domande. Con l’aggiunta di un caveat fondamentale: che il target di questa campagna non sono gli italiani - già, proprio così, questa campagna non è pensata per invogliare gli italiani a restare in Italia per le loro vacanze.
Prima domanda. Era davvero necessaria un’intera campagna, mossa da un concept di una semplicità quasi banale, con un angolo comunicativo unico (quello del turismo fashion in luoghi talmente da favola da essere quasi finti, con la bicicletta con il cestino e i limoni sul tavolo), per ricordare a persone straniere alto spendenti che l’Italia, Paese da anni in cima alla lista dei desideri di viaggio di mezzo mondo, ha da offrire ai suoi visitatori il Colosseo, Piazza San Marco e la Pizza?
Come se già non lo sapessero, i tour operators e gli organizzatori di viaggi, che da Oltreoceano questi sono i desiderata dei turisti (e, diciamocelo, se un turista passasse per Roma e non vedesse il Colosseo gli diremmo “che sei venuto a Roma a fare”).
Seconda domanda. È salutare fornire un’influencer come modello di visitatore al turista target? Attenzione: non polemizzo con il mestiere dell’influencer, è una battaglia contro i mulini a vento, probabilmente anche anacronistica.
Ma se uno dei problemi che affliggono l’ecosistema già fragile delle città d’arte italiana (Venezia su tutte) è il turismo di massa, presso città come Roma, Firenze, Venezia snaturate dalla cannibalizzazione dei luoghi da parte di attività dipinte di verde-bianco-rosso che cacciano l’unicità locale fuori dai centri storici in favore della proposta cheap di quello che vogliono vedere, fotografare e mangiare i turisti, non credo che esasperare il tratto-influencer nella comunicazione del nostro Paese possa aiutare a mitigare il fenomeno. Anzi.
Continuiamo a ritrovare i centri storici invasi di attività che di italiano hanno nulla, trappole per turisti; e i turisti cacciati dentro a tour tritacarne in cui le visite sono tutte uguali, dove dare un’occhiata e fotografare è l’unica attività concessa e possibile perché non c’è tempo, né voglia di approfondire: bisogna riprendere, immortalare, fare finta. E capirci nulla.
Cos’hai visto in Italia? Non lo so, so solo che era molto italiano, vah che bella foto. Questo è quello che comunica la campagna, nel suo sotto testo. Niente di vero, o autentico: solo l’apparire in Italia, l’essere in Italia per dire di esserci stato. Tanto che le foto stock scelte sono spopolate. Piazza San Marco è idealmente vuota, fuori dal Colosseo ci sono al massimo i piccioni.
Arrivo, selfie, posto sui social e via.
Ah, la Dolce Vita.
Richiamiamo a gran voce turisti, ma che turisti richiamiamo? Che esperienze vogliamo promuovere, che Italia vogliamo mostrare? E finisce che noi italiani siamo trattati per come ci mostriamo: maschere in un parco giochi a misura di turista.
Ma, come si dice, pecunia non olet, e i soldi di turisti che si barricano dietro le fotocamere dei loro smartphone a mangiare Fettuccine Alfredo non puzzano di certo.
Peccato. Poteva essere l’occasione per dare un taglio nuovo, geniale, alla meraviglia che questo Paese ha da offrire, comunicandola in maniera degna e consona alle risonanze di pubblici tanto lontani quanto attratti dalla nostra Italia per tutto il di più invisibile che essa ha da offrire.