A cosa penso quando corro? durante queste settimane sembra essere ferma in un’impasse.
Il motivo è presto detto: quello che dovrebbe essere il momento in cui faccio mente locale su quello che mi capita di pensare durante la corsa, o fare durante un allenamento (o una gara) si ritrova privato di un elemento fondamentale e basilare. La corsa stessa.
Come raccontavo nelle scorse puntate sto proseguendo sulla via della cautela il recupero da un infortunio tanto noioso, quanto insidioso al tendine d’achille destro.
Le cure continuano, e sembrano procedere bene: il dolore, pian piano, sembra stia sparendo. I passi tornano ad essere distesi, fare le scale non è più un’agonia. Torno ad apprezzare la bellezza della normalità, per quanto retorica possa sembrare questa frase.
Ma resta il problema: è una newsletter sulla corsa e siamo a gennaio. Le gare sono in letargo, non ci sono eventi in vista, e per di più io sono azzoppato.
Ho passato una settimana a chiedermi: cosa mi invento, ora? Cosa racconto a tutte quelle persone che si sono iscritte a una newsletter sulla corsa?
In questa puntata:
Se non puoi correre…
Come cambiano le cose
Dalla corsa al nuoto: un insegnamento
Se non puoi correre…
Nella mia vita il running in queste settimane è sostituito dal nuoto. Non lo avrei mai e poi mai pensato, ma nuotare mi sta piacendo tantissimo.
È un’attività che mi sta traghettando in maniera indolore durante il più tipico dei gennaio, lunghissimo, freddo e piovoso. Un mese in cui il tempo è distorto, dilatato: ma in cui le giornate restano drammaticamente di 24 ore.
In passato ho provato a farmi piacere l’idea di nuotare, ma sempre con scarsi risultati.
È tutto cominciato da molto piccolo, con qualche lezione di nuoto alla piscina comunale: l’idea che non ci fossero gol o canestri da segnare non mi faceva apprezzare questo sport. Insomma, da piccolo l’idea che in alcuni sport si potesse vincere andando dal punto A al punto B più velocemente degli altri non mi attirava granché.
Negli anni successivi, non ho mai pensato si potesse trattare di qualcosa di adatto a me. I motivi di questa mia insofferenza sono, tra gli altri: il fastidio dell’acqua nel naso, l’odore del cloro, la mancanza di vedute e l’impossibilità di praticare questo sport più o meno dappertutto.
O forse, mi sono fatto infastidire dall’idea di dover imparare da zero uno schema motorio più complesso di quello della corsa.
Non ne ho ricordi precisi, ma qui di seguito c’è una rappresentazione di come deve essere andata la mia prima lezione di nuoto.
Come sono cambiate le cose?
Come succede spesso (quasi sempre) le cose sono cambiate.
Innanzitutto, gli sport in cui si va più velocemente degli altri da un punto A a un punto B sono tra i miei preferiti.
È anche cambiato il mio modo di vedere le cose. Credo sia stato un insegnamento della corsa, ma ho cominciato ad apprezzare quello che è difficile, fuori dalla portata. Con una nota a margine: fuori dalla portata è un concetto relativo (molto relativo).
Nuotare per tre kilometri consecutivi è fuori dalla mia portata? Certo che sì, allo stesso modo in cui nuotare per 100 metri consecutivi era fuori dalla mia portata fino a due settimane fa. E allo stesso, identico modo in cui tre anni fa, quando ho cominciato a correre, la maratona era assolutamente fuori dalla mia portata.
È solo facendo le cose, sbattendoci la testa, che la portata si allarga. Per questo non mi piace il concetto di cose impensabili, ma solo di cose fuori portata momentanea.
Nuotare per me è difficile. Ci voleva un impegno che mi richiedesse un costante sforzo mentale nel mantenere alta la concentrazione. Lo trovo un modo bellissimo per svuotare in maniera continuativa la testa per la durata dell’intera ora di allenamento.
Dalla corsa al nuoto: un insegnamento
Non nascondo che, dall’alto delle mie quattro lezioni, mi sento migliorato. «È normale», mi dice il maestro.
Nella fase iniziale di qualsiasi sport si assiste ad una curva di miglioramento esponenziale, che va ad appiattirsi man mano che le ore spese a compiere ripetitivamente un gesto specifico, o uno schema motorio, si accumulano. E pian piano si passa dall’incorporare, dal riprogrammare il corpo per l’esecuzione, al raffinare un gesto già pienamente installato all’interno dell’hardware-corpo.
La grande fortuna che ho - e che credo rappresenti un grande vantaggio - è possedere una certa sensibilità nei confronti del mio corpo.
Una sensibilità che uso a mio vantaggio nel pensare ed eseguire tutti i movimenti che è utile compiere durante il nuoto. Utilizzo questa sensibilità per soppesare i gesti che compio in acqua, prenderci confidenza in maniera critica, avendo sempre una cognizione chiara della posizione del mio corpo nello spazio, e dei suoi movimenti. Quando sbaglio riesco quasi sempre a capire cosa sbaglio, e a correggermi velocemente.
È una dote non innata, e credo che la corsa me l’abbia donata: e proprio la corsa è un ottimo banco di prova per affinare questa caratteristica.
Consiglio spesso (dal basso della mia umilissima esperienza) a chi mi chiede «ma come faccio a cominciare a correre?» di tentare di vincere l’impulso a correre tutte, ma proprio tutte le proprie corse iniziali con le cuffie, all’ascolto di un podcast, o della musica.
Sia chiaro: io adoro correre con le cuffie alle orecchie; non me ne priverei mai, ad esempio, durante una corsa sul tapis roulant, o durante certi lunghi infiniti dove la compagnia di un bel podcast mi ha aiutato.
Ma come ho riportato anche di recente, apprezzo sempre di più l’idea di correre senza distrazioni, in ascolto delle sensazioni che arrivano dal corpo.
Lo trovo il modo migliore per cominciare a prendere confidenza con il gesto, soprattutto per chi è all’inizio. Ad esempio, con una concentrazione meticolosa sugli esercizi di tecnica: visualizzando i movimenti, scorporandoli e riproducendoli attraverso il proprio corpo.
Ecco allora come la corsa mi ha donato la capacità di riconoscere il mio corpo in movimento, ascoltarne i segnali. E basta partire da cose minime, come rilassare le spalle quando -involontariamente - si tendono durante lo sforzo; oppure, dal riposizionare le braccia per evitare dispendi inutili di energia.
Mi sento così legato a questa attività da rivederla un po’ in tutto quello che faccio: è una cosa tipica di noi runner. Dal vedere certi cicli di vita come le fasi di una gara di lunga distanza, fino ad emozionarsi quando qualcuno, in un contesto random non legato al podismo, dice: «non è uno sprint, è una maratona». Eh sì, ha proprio ragione.
Anche se il tempo degli augurii è finito, sarei tentato di augurare a tuttə di cominciare quel progetto, quello sport, quella cosa che temevano. Perché no, non è impossibile, è solo fuori portata al momento attuale, ma la strada c’è, è lì e aspetta solo di essere percorsa.
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