Chissenefrega della musica
Breve storia di come sono finito a suonare Tame Impala con Garage Band. Uno sfogo pro musica.
La settimana di Sanremo si è consumata abbastanza in fretta quest’anno.
Chi doveva fare musica l’ha fatta. Chi doveva suonarla l’ha suonata. Qualcuno ha vinto, qualcuno ha perso. Ci siamo scannati: chi ha ragione? Fedez, sua moglie, Rosacoso, Gianni Morandi - o Vasco Rossi che è stato a casa sua.
Chi doveva avere i suoi 15 minuti di gloria li ha avuti. Tante grazie. Torniamo a noi.
Nel profluvio di frasi e di parole spese sulla kermesse musical-politica nazional-popolare popolar-polemica più attesa dell’anno io devo dire di avere avuto due fortune principali.
E una sfortuna di fondo - che non dipende strettamente da Sanremo, ma che Sanremo ha contribuito a farmi… percepire.
La prima fortuna che ho avuto è quella di non avere la televisione. La seconda fortuna è quella di avere un lavoro appassionante, che riesce a tenermi lontano dallo schermo del telefono per almeno i 2/3 della mia giornata (da sveglio).
Bonus. Aggiungo la dedizione con la quale sto preparando la maratona di Parigi, che sta occupando tanto tempo e tanto spazio; alla quale sto dando tempo e spazio. Gli allenamenti si stanno intensificando in frequenza, volume, intensità, e questo non può che rendermi felice.
Veniamo alla sfortuna.
Che sì, per quanto possa sembrare strano Sanremo è anche musica - e a me fare musica manca.
Qui in Toscana sto vivendo il più lungo periodo della mia vita lontano da qualsiasi tipo di strumento musicale.
Capirai, si sopravvive per un paio di mesi senza strumenti musicali…
Sto scoprendo che sì, si sopravvive, ma è faticoso. Sì, faticoso. Non uso la parola a sproposito.
È chiaro, le sfighe nella vita sono altre, d’accordo - come sempre.
Ma questa è una rubrica che nasce dall’idea di un tizio di discutere quanto sia bello passare ore e ore della proprio vita in strada a correre. Così, a caso, senza motivi particolari. Prendiamoci una licenza domenicale dalle cose importantil e leggi questa storia di nulla importanza e nessuna utilità.
L’antefatto di questa vicenda - l’emersione della triste realtà che fare musica di questa mancanza - si consuma in ufficio. E dove se non nel tempio del dovere?
Abbiamo la fortuna di avere un ufficio molto bello e confortevole, molto bianco. Un mix letale tra il polo nord - glaciale e digitale sono parole che potrebbero rimandare allo stesso campo semantico - e quella specie di limbo dove Harry Potter pensa di essere morto ma in realtà si fa solo una bella chiacchierata con Albus Silente.
In ufficio ci sono queste ampie vetrate che mostrano, lontane, le vette più alte dei monti Apuani. Alla sera, il sole che cala sul Tirreno dipinge queste vette di rosa - un quadretto idilliaco, se non si trattasse, appunto, dell’ufficio.
È venerdì. Fuori c’è un tramonto particolarmente rosa.
Nessuna call in programma, nessuna riunione. Poche persone che bazzicano in giro. Ho tempo per fare le cose mie. Mi metto a lavorare su uno script che mi serve a fare cose su un foglio di calcolo (tipo Excel per dire) - cose top secret, e comunque noioso per una newsletter domenicale.
Ebbene sì amiche e amici di ACPQC? mi sono appassionato di questa roba qua - sono cose, che ho scoperto richiedere una grande creatività.
Sono in ufficio, lavoro su qualcosa di appassionante. Fuori c’è questa luce rosa bellissima. Ho una tazza di thè caldo davanti.
Perfetto. Mi trovo in un meraviglioso soft spot. Sai che c’è? Perché non mettere su un po’ di musica, in cuffia magari.
Vado su YouTube. Che musica metto su per non rovinare questo momento di pace e serenità? Scrivo il nome del primo artista che mi passa per la testa. Viene fuori una playlist con il best of. Va bene, va’ mo che mi metto a fare il pignolo e cercare cose complicate e perdo la concentrazione…
Parte questa canzone.
Il senso di totale euforia che ho provato all’ascolto di questo brano è difficile da spiegare.
Tame Impala non è nuovo alla creazione di quelli che sono letteralmente delle specie di soundscape - paesaggi di suono. Neanche me la ricordavo questa particolare canzone - e sono andato a sentire il concerto lo scorso settembre.
La coincidenza perfetta - al posto giusto nel momento giusto. La canzone giusta per l’ambiente giusto.
Lì per lì ho fatto finta di continuare a lavorare.
La verità è che avevo una voglia tremenda di suonare. Avrei voluto prendere la chitarra, attaccare un amplificatore, utilizzare qualsiasi effetto mi fosse venuto in mente e riprodurre quel brano.
Torno a casa; riascolto il brano in macchina. Che peccato non avere una chitarra qui, a disposizione.
Eppure, che strano: c’è sempre stata una chitarra a disposizione
Mi ingegno: deve pur esserci un modo con cui suonare questo brano, proprio qui, proprio ora.
Mi sono sentito compulsivamente, morbosamente attratto dall’idea di dover mettere gli anni che ho impiegato per l’apprendimento dello strumento musicale della chitarra al servizio di quella celestiale melodia. Di ripeterla, di appropriarmene.
E quindi, mentre a Sanremo i Black Eyed Peas sono incalzati da Amadeus con domande come “vi piace l’Italia?” (“No, ci fa cagare, siete il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa…” che cazzo ti dovranno mai rispondere, Amedè?) io apro Garageband sull’Iphone e provo a riprodurre It is not meant to be.
Sì, mi sono ritrovato a tentare di fare musica in questa modalità.
È stato soddisfacente? Nì.
Una via di mezzo. Fare musica è appagante in ogni modo; soprattutto se è poco convenzionale come in questo caso. Allo stesso tempo sento la mancanza dal mio strumento musicale.
Mi considero un po’ un pollo per il fatto di aver sacrificato l’attività del suonare all’altare delle priorità della vita adulta. L’attrazione verso la musica è sempre stata troppo forte. A Milano ho dovuto procurarmi una chitarra.
Qui a Pietrasanta, visto che il tempo di permanenza sarà breve, mi accontenterò di Garageband.
La morale della favola?
Pensavo mi sarebbe bastato ascoltare musica: ho scoperto che per me ascoltare senza fare è un limite.
Ho anche (ri)scoperto che non diventerò mai un musicista famoso. E questa consapevolezza mi ha aiutato in due modi:
Mi ha aiutato a diventare un miglior ascoltatore
Mi ha aiutato a liberarmi dal peso di dover suonare con un secondo fine. Ora suono quando, dove, perché, come mi va. Suono anche male, se non mi gira di suonare bene.
Vi dirò: è una gran soddisfazione e una gran liberazione.