A cosa penso quando corro - Storia di un incontro con Milano
Le prime corse di settembre sono tutte state scandite da un leitmotiv abbastanza persistente: è un anno che mi sono trasferito a Milano!
E che anno. Mi sembra che in questo lasso di tempo sia successo… tutto, e di tutto.
Una disamina in poche righe sarebbe minimale, ingiusta, noiosa. Però c’è un aspetto che mi interessa approfondire. Dopo aver vissuto la costruzione (graduale) di un rapporto intensissimo con Bologna, come ho costruito il mio rapporto con Milano? I suoi spazi, le sue distanze: la fisicità di un luogo.
Prossima gara: Maratona di Ravenna, 13 novembre
Km percorsi: 361.23
L'idea di Milano
Quando nomini la parola Milano a un’anziana del paese, la vedrai sgranare gli occhi. Milano agli occhi e alle orecchie di una persona abituata a vivere in campagna da tutta la vita non è una città: è un’idea, è un concetto.
Se Roma è la città del potere politico, dello Stato, del “Governo” (e’ gveran, in romagnolo), Milano evoca concetti più torbidi - non per forza negativi. Sei investito da uno sguardo in cui ammirazione, timore e angoscia si uniscono.
L’ammirazione, perché se vai a Milano sicuramente stai andando a fare qualcosa di importante - leggasi “che c’entra con i soldi”;
Il timore, perché stai andando in un posto di cui parlano sempre al telegiornale (quando al telegiornale passano le buone notizie la tv è già spenta o si stanno già lavando i piatti);
L'angoscia, perché stai andando lontano da casa, in un posto tanto diverso da tutto ciò a cui sei abituato, il cui solo nome evoca una monolitica idea di futuro.
Un futuro che a Milano arriva generalmente prima che nel resto d’Italia.
Difatti, per una persona che viene dalla campagna Milano è perfettamente aderente al cliché con cui la si dipinge: una città veloce.
Non hai tempo di fare il mensile della metro dieci giorni fa che è già quasi metà settembre.
Milano è tanto veloce che spesso mi sono ritrovato nella condizione di volerla rallentare.
Perché snaturare una città veloce per indole e vocazione? Vale la pena, solo per il fine ultimo di renderla più mia? Che senso può avere, in una città così rapida perdersi senza un preciso motivo tra le borghesissime case di Sant’Ambrogio?
E poi, passeggiare a zonzo tra Cordusio, Brera e la Scala, misurare i passi che separano la Biblioteca degli Alberi e il quartiere Isola. Intravedere il disegno delle Tre Torri da Piazza di Santa Maria delle Grazie. Farsi di corsa il tratto tra fermata Lotto e San Siro per non perdersi il fischio d'inizio.
Ecco come ho reso Milano la mia Milano.
Pianeta M
Ebbene, tanti luoghi di Milano per me non sono altro che nomi sulla mappa della metro. Si crea una geografia mentale iper-geometrica (futuristica nella sua essenza) di linee e di punti che alle volte si intersecano in snodi da cui divergono linee colorate.
Tra tanti aspetti di Milano, uno mi ha particolarmente colpito da persona che viene da fuori, catapultata nel tran tran del “devo andare da qui a qui e devo farlo nel minor tempo possibile”: la fortissima connessione tra la città e la sua linea metropolitana.
Ricordarsi l’ordine delle fermate diventa presto un gioco di memoria, finché il cervello non comincia a interiorizzare il tutto e scendere alla fermata giusta senza sbagliarsi è automatico - in 12 mesi ricordo un solo errore involontario.
Ogni linea della metro ha poi una sua precisa identità: la borghese linea rossa; la lugubre linea gialla (l'ho più volte definita "un ambulatorio"); l’iper moderna linea lilla, senza pilota; la verde, che quando fu costruita doveva sembrare modernissima. Chissà come uscirà la linea blu (attesa a breve)...
Un reticolo efficientissimo, affidabilissimo: basta uscire di casa con poco anticipo e la metro ti porterà esattamente dove devi essere, o a poca distanza.
Tu devi solo aggrapparti, chiedere “permesso”, incollare il muso al cellulare e il tuo sistema nervoso centrale, dopo un paio di settimane di abitudine, ti farà scendere alla fermata giusta.
Camminare Milano
Se la metro, con le sue fenomenali perfomance, è l’emblema di una città votata alla velocità - in altre città in Italia c’è la metro, ma non è nulla di paragonabile a quella di Milano, per numero di zone servite ed efficienza - camminare una città come Milano è un gesto che ha del rivoluzionario.
Nulla di futuristico nel camminare: andare dal punto a al punto b con le proprie gambe resta un atto che conserva qualche motivo di antico, primitivo fascino, e necessità.
Mentre si cammina in compagnia si raccontano le barzellette per passare il tempo; oppure, si raccontano storie. Mentre camminiamo ci trasformiamo in narratori: il moto delle gambe è una fucina di idee.
Cosa differenzia l’essere umano da tante specie animali se non la capacità di creare narrazioni più o meno complesse? Di intrattenere, ferire, umiliare o costruire attraverso esse.
Ecco, camminare mi aiuta a evitare il reflusso delle idee, il ristagno, la palude del pensiero: in effetti le idee migliori mi sono venute camminando - o correndo. Insomma, due condizioni erano necessarie: stare sulle mie gambe; il moto delle stesse.
Ho camminato per tutta Milano, in un solo giorno.
È stato un giorno di febbraio. Una domenica di sole, senza Serie A. Passare una domenica di tiepido sole di febbraio, dopo mesi di grigio, tra le mura di casa non era un’idea che mi soddisfacesse.
Alle 9 del mattino sono uscito con lo zaino in spalla: "Perché non camminare Milano? Milano senza mezzi: cosa c’è sopra la metropolitana? Senza fretta, senza la pressione di dover essere lì per forza alle ore x".
Ho sfruttato quest’esperienza per un motivo principale: unire i puntini, appunto. Cosa si trova dietro un nome stampato sulla mappa della metro, e connesso ad altri punti da direttrici colorate? Conoscevo a memoria quei nomi: come dicevo, li ho perfettamente assimilati, interiorizzati.
È stato una specie di stupore continuo vedere per la prima volta i punti prendere una propria materiale concretezza. Era un continuo "Ah ma quindi questa è Gioia? Ah ma quindi proprio questa è Conciliazione?".
Da un lato, lo splendore della paleocristiana capitale Mediolano che si respira tra le colonne di Sant’Ambrogio; dall'altro, lo sfolgorante fascino di Gae Aulenti, con la torre Unicredit e la sua guglia altissima.
Le Tre Torri, con i loro nomi esotici e Santa Maria delle Grazie, con il suo ammattonato rosso, quasi nordeuropeo.
Dove l’altezza dei grattacieli non nasconde la sua sfida al cielo, la materialità di quelle stesse strade su cui camminavano Leonardo Da Vinci, Manzoni, Gadda - dando alla loro arte il gusto dell’ossobuco o dello zafferano - mi ricorda l’umanità di una delle città più sfuggenti in cui mi sia mai ritrovato.
Conclusione: incontrare Milano
Nella mia testa lo so: Milano sarà per me una città di passaggio. Non sono tenuto a farmela andare bene.
Però, lasciarla andare senza averle dato la possibilità di raccontarmi minimamente cosa ha tenuto in serbo per me della sua storia millenaria sarebbe una specie di torto verso tutto ciò in cui credo.
Ho incontrato Milano quando l’ho rallentata, quando ho rallentato: nel momento in cui, camminando, le ho concesso di mostrarmi cosa c’è dietro la rapidità e la velocità, ho capito che anche questo incontro mi avrebbe dato qualcosa.
Appena posso rallentare a Milano lo faccio.
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Questa settimana ho ascoltato:
Ripassone di Tame Impala visto che ieri sera sono stato a sentirli dal vivo all'Ippodromo di Milano. Sempre un bellissimo spettacolo.