72 ore (e una mezza maratona) a Madrid - la gara. Pt. 2
Iniziare benissimo. Finire malissimo.
Qui, in caso te la fossi persa, trovi la parte 1 del racconto.
Ebbene sì.
In una gara di corsa su lunga distanza succede anche questo. Iniziare benissimo e finire malissimo.
Dopo le (troppe) parole spese sull’impressione madrilena che ho riservato alla capitale nella scorsa puntata, si torna a parlare di corsa, visto che tra i tanti piatti forti della capatina spagnola c’era proprio la scusa di correre la prima gara all’estero.
Com’è andata, quindi?
Partirei dallo spirito con cui sono arrivato in città per l’impresa. Lo spirito di uno che post maratona opta per non fare alcun allenamento specifico per la distanza dimezzata. Che non vuol dire che io non mi sia allenato, anzi.
Non fraintendetemi. Mi sono presentato all’evento più che pronto per concludere in tranquillità la gara.
Non ho raffinato i meccanismi per performare al massimo sulla distanza più breve di 21 kilometri e 97 metri - a differenza di quanto fatto l’anno scorso, quando dopo la maratona di Roma ho allenato nello specifico la velocità sulla mezza maratona per chiudere entro l’ora e trenta la gara di Verona.
È stata una scelta calcolata, che mi ha permesso di godermi con tranquillità la città, senza esasperare l’aspetto competitivo. A volte bisogna fare la pace con il proprio senso di competitività e godersi le cose come vengono.
Infatti, innaffierei questa premessa sullo spirito con cui mi sono presentato alla gara con un paio (abbondante) di litri di birra - che va giù come acqua, in Spagna.
Da professionista di certe situazioni - e da previdente corridore - volendo godermi a pieno la gara del giorno dopo, ho consumato nell’ora e mezza precedente il sonno circa due litri di acqua, onde assicurarmi l’espulsione della cerveza dal corpo.
Missione compiuta.
La mattina dopo mi reco alla partenza fresco e riposato come una rosa. Le sensazioni sono buonissime.
Mi sento meglio di quanto avrei sperato - in riferimento allo stato delle gambe, del sentire o meno gli arti inferiori pronti allo sforzo; non per la birra di troppo.
E infatti, il rettilineo lunghissimo che conduce ai palazzi modernissimi di Nuevos Ministerios, e poi di fronte al rinnovato Santiago Bernabeu - la Madrid più nuova, insomma - se ne va. Sono i primi 5 kilometri.
La giornata è meravigliosa. La temperatura è semplicemente perfetta, non tira vento. Il sole è piacevole, il tepore del sole non è asfissiante e l’asfalto non brucia. Le sensazioni circa quella che potrebbe essere la performance finale migliorano.
Sono al culmine della gioia, tutto gira per il verso giusto… E proprio sul più bello giro per una rotonda e cosa vedo? Una discesa!
Colto dal senso di felicità che prende il runner che sa di poter fare affidamento sulla forza inerziale della gravità per farsi trasformare qualche metro, mi lancio leggiadro giù per questa discesa - ho scoperto con mia sorpresa che Madrid è tutta un saliscendi: non ai livelli di Lisbona, ma si difende.
Imboccata con gaudio la discesa succede quello che sarebbe stato meglio non fosse successo.
Un dolore al ginocchio si palesa. Sì, il mio ginocchio destro dolorante fa cucu.
Il colmo in tutto questo è che per la prima volta nella mia carriera da runner ho a che fare con un problema al ginocchio: proprio così, al kilometro 7 di una gara che si sta mettendo benissimo, nel corso di una giornata splendida, il mio ginocchio destro mi fa uno scherzetto.
Rido tra me e me. Massì, cosa vuoi che sia. Ci corro su e non ci penso. Alla fine mancano solo 14 kilometri. Cosa vuoi che siano 14 kilometri?
L’idea di continuare si rivelerà pessima. Ma andiamo con ordine.
Arrivo al kilometro 10 e i tempi di percorrenza mi stupiscono. Di sto passo concludo la gara entro una dignitosissima forbice di tempo tra l’ora e trenta e l’ora e trentacinque. Che senza allenamento specifico per la distanza non è mica male dai. Sta andando tutto per il meglio, mentre le discese di Madrid si susseguono, una dopo l’altra.
L’atmosfera in città è pazzesca. Una carica incredibile, un’adrenalina palpabile. Sembra che, a differenza di quanto non accada in Italia, in Spagna siano felici di avere la capitale paralizzata per una domenica intera. A ogni curva, su tutti i rettilinei è un accrocchio di persone con trombette, megafoni, cartelli; alcuni sventolano bandiere, chi della Bretagna, chi dell’Olanda, chi a bande rosse-giallo-rosse. Stanno tutti lì a incitare, Vamos Campeones, Andale Andale.
Inganno il pensiero latente del mio ginocchio - il dolore monta - scherzando con la gente per la strada. Faccio un po’ il pagliaccio, insomma. Dopotutto, ridere è una specie di analgesico che per stemperare il dolore di ore e ore di fatica funziona sempre.
Arrivo al kilometro 15 più o meno tranquillo, nonostante il dolore stia diventando sempre più forte; ancora sei e tutto questo sarà finito. Tra due ali di folla, approccio una delle poche salite disseminate lungo il percorso.
Il ginocchio comincia a fare veramente malissimo. La performance comincia a risentirne. Ripasso La Gran Via, la Puerta del Sol, il viale di fronte al Museo del Prado praticamente con le lacrime agli occhi per il folore cane.
Ho tenuto duro e sono arrivato al traguardo finale. Con un ultimo scatto sono riuscito a tenere il tempo inferiore a un’ora quarantacinque minuti. È stata, nonostante un’ottima condizione a livello di fiato e livelli di stanchezza finali pressoché nulli, la mia peggior prestazione sulla distanza.
Arrivato al traguardo piango dal dolore. Non riesco a piegare la gamba, fare le scale è dolorosissimo: azioni come alzarsi dal letto, passeggiare, sedersi sono un’agonia.
È brutto da dire, ma con il senno di poi avrei voluto avere la maturità e la saggezza di fermarmi. Solo che ho promesso di prendere le cose come vengono e accolgo anche questa testardaggine, così come è venuta.
È stata una lezione, che è arrivata con durezza e che credo abbia lasciato, anche in questo caso, il messaggio che doveva lasciare.
E così, al termine di una stagione che dal punto di vista della performance è stata fallimentare sotto (quasi) ogni aspetto, raccolgo una serie di punti da cui cominciare a lavorare e su cui concentrare i miei sforzi.
Oggi, a quasi due settimane di distanza, il dolore al ginocchio è quasi completamente passato. Ho ricominciato i miei allenamenti per aumentare la forza: per migliorare la tenuta del corpo, la salute dei tendini - aspetti che ho trascurato durante tutta la stagione.
Presto si ricomincia a correre. Un piede davanti all’altro, come sempre, verso le nuove avventure da vivere su A cosa penso quando corro?
PS. In questa puntata su Madrid una menzione non può non essere fatta al mio amico Elvio, che era con me a Madrid e cha ha concluso la sua prima Maratona non solo in maniera egregia - con un super tempo di esordio - ma che al termine della performance era molto meno malconcio di quanto non sia mai stato io al termine di una qualsiasi mia gara.